Amori e disamori

AMORI E DISAMORI NELLA COPPIA

Amori nei personaggi della letteratura
L’amore dei letterati e il senso della realtà
L’amore nella dinamica di coppia 1
Amore, un sentimento complesso 2
Senza amicizia, solitudine nella coppia 3
C’è un’età per amare?
Innamoramento o depressione? 3bis
Passioni, sentimenti e ormoni
I due volti dell’amore 4
Le coincidenze dell’amore
Partner imposti e quelli scelti male
Le unioni di facciata
Il partner ideale
Partner gregari e partner prevalenti 5
Sindrome di Cleopatra e complesso del dongiovanni
Coppie bizzarre e insensate
La gelosia nella coppia 6
Amori travolgenti, ma instabili 7
I litigi della coppia
Crisi festive della coppia
Le coppie edipiche 8
Partner insoddisfatti dei genitori
Il compromesso: a repentaglio la coppia 9
Menage fiacchi ma indissolubili 10
L’amore immaginato: sentimento poetico che a volte ha risvolti drammatici 11
I pericoli dei partner competitivi 12
I Pigmalione in amore 13
Il dislivello d’eta’ nella coppia 14
Il mondo sommerso di alcune coppie 15
Il triangolo nella coppia 16
Le coppie aperte 17
Le coppie (quasi) impossibili 18
Amore ed eros di sovrani, condottieri e dittatori 19
Amori cruenti e scellerati
Forzati dell’eros 20
Seduttrici, un simbol passato di moda 21
Cicisbei e concubine
Il genere maschile e quello femminile
L’Italia al maschile
L’Italia al femminile
comportamenti e amori della gioventu’ d’oggi (37)
Single e divorzi spint
Ipocrisie sociali
Il senso del pudore
E se fosse una terapia antidepressiva?

L’amore nei personaggi della letteratura (36)

La letteratura identifica l’amore in un sentimento emblematico, denso di allegorie. Particolarmente singolare è quello tra Laudamia e Protesilao. Quando quest’ultimo morì nella guerra di Troia, sua moglie Laudamia dipinse a memoria il suo ritratto. Ermes, commosso da quel gesto, fece tornare in vita Protesilao perché avesse un ultimo amplesso con Laudamia. Poi gli scomparve nell’Ade e lei morì bruciata assieme al ritratto del marito.
Amore a lieto fine tra Alcesti e Admeto. A quest’ultimo Apollo promise che al momento della morte avrebbe potuto farsi sostituire. La bella Alcesti, innamorata di lui, accettò di morire al posto dell’amato. Ma Persefone, toccata da quel sacrificio, graziò Alcesti. Pigmalione, re di Cipro, s’innamorò della statua di Afrodite, la sposò e la depose nel letto nuziale. La dea, a quel punto, diede vita alla statua e Pigmalione potè amarla.
Archiloco cantò con versi purissimi l’amore per Neobule, fanciulla che infiammò la sua fantasia, ma che egli non conosceva. Mimnermo, suonatore di flauto, declamò rime bellissime per un’altra ragazza, Nannò, con la quale non ebbe mai rapporti d’alcun genere. Il poeta Alceo cantò l’amore puramente “spirituale”. La poetessa Saffo scrisse: «La cosa più bella è quella che si ama».
Anche i grandi amori frutto di tradimenti sono esaltati. Nessuna disapprovazione per Lancillotto che tradì il sovrano e ne amò la moglie, la regina Ginevra. Ed anche il legame incestuoso di Paolo e Francesca, cognati, continua a commuove.
L’amore è descritto come irrazionale e bislacco, come nel caso dell’attrazione di Angelica per Medoro. Scrive l’Ariosto che Angelica, era altezzosa, e «non le pareva che alcun fosse di lei degno». Annoiata dall’amore di Orlando e stanca dei corteggiamenti dei nobili, si lasciò sedurre dalla bellezza di Medoro, un semplice fante saraceno. Orlando, che per lei aveva abbandonato l’esercito cattolico e aveva tradito Carlo Magno, disperato, perse il senno!
Carlo Goldoni ne Gli innamorati, mostrò come l’amore si può trasformare in bagarre. Nelle sue Memorie, raccontò che la quella commedia gliela ispirò una vicenda reale. «Avevo ascoltato – scrive l’Autore – le liti, le grida, le disperazioni, i fazzoletti strappati, i vetri rotti, i coltelli lanciati dai due innamorati: la figlia dell’abate Piero Poloni, e Bartolomeo Pinto. La travagliata passionale dei due giovani aveva aspetti comici e drammatici, umoristici e seri tanto che mi indusse a narrarla».
Capolavoro dello scrittore inglese Samuel Richardson il personaggio di Clarissa Harlowe. Fanciulla virtuosa, educata in una buona famiglia, avendo ceduto la verginità al libertino Loverace, muore di crepacure.
Goethe ne I dolori del giovane Werther descrisse l’innamoramento senza speranza. Werther è innamorato di Carlotta, ma la ragazza è promessa sposa ad un altro, scelto dai suoi genitori. Non potendo avere l’amata, Werther si suicida. L’opera sconvolse la gioventù del tempo, facendo aumentare i suicidi. La vicenda è l’eco di un’avventura di Goethe che, nelle Lettere a Lotte racconta di aveva amato inutilmente Charlotte Buff, che alla fine sposò un altro, e di avere pensato al suicidio.
Anche Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, ebbero un influsso pericoloso, e il poeta si augurò che l’opera fosse letta da persone equilibrate. Nel racconto un giovane ama una donna che il tragico destino vuole che stia per andare sposa ad un altro. Il suicidio dell’innamorato mette fine al suo tormento.
Eccentrici amorosi li troviamo ne Il rosso e il nero di Stendhal, saga di sentimenti sconsiderati, che l’Autore ricavò da una storia accaduta. Il protagonista, Giuliano Sorel, ama la signora Rênal del cui figlio egli è precettore. Ma quella relazione è sulla bocca di tutti, e Sorel, per evitare lo scandalo fugge a Parigi. Qui s’innamora di Matilde, figlia del suo ospite. Quando Sorel sta per sposare la ragazza, la signora Rênal, ancora innamorata, fa di tutto per discreditalo e impedirgli di sposare la ragazza. Saputo dell’intrigo, Sorel tenta di uccidere la vecchia fiamma, ma la ferisce solamente. Però viene condannato a morte, e nemmeno le preghiere della stessa Rênal, ancora innamorata, ottengono la clemenza della Corte. Il romanzo esalta l’irragionevolezza dell’amore; la Rênal rappresenta l’insanabile contraddizione della sudditanza all’educazione moraleggiante e dell’inalienabile bisogno di libertà.
In un altro romanzo di Stendhal, La Certosa di Parma, tre personaggi, Clelia Conti, la duchessa Sanseverina e Frabrizio danno vita ad una irragionevole schermaglia amorosa .
Nella tragedia Maria Maddalena di Chistian Friedrich Hebbel, la protagonista, Clara, dopo aver ceduto alla volontà di Leonardo, vive in attesa dell’espiazione e della propria morte “liberatrice”. Un’altra Clara, personaggio del romanzo Il padrone delle ferriere di Georges Ohnet, sdegnosa, triste, conformista, a causa del suo carattere non raggiungerà la felicità sospirata.
Carolina Invernizio, nei suoi romanzi d’appendice, da L’orfanella di Collegno a La vendetta di una pazza, ha tratteggiato personaggi in preda a sortilegi amorosi e a drammi passionali che hanno fatto, purtroppo, da modelli a molte generazioni. Nel romanzo di Emily Brontë Cime tempestose l’inesperta Caterina e il fatale Heathcliff danno vita a un torbido amore. Un’altra Caterina, protagonista del romanzo L’ereditiera dello statunitense Henry James è vittima del cacciatore di dote Morris Townsend. Caterina, una volta concesso il suo cuore, non smette d’amare l’uomo che l’ha sedotta, anche quando egli l’abbandona per sempre. Caterina Ivanova, personaggio dell’omonimo dramma di Leonid Andreev, è al centro di foschi adulteri, di passioni travolgenti e preda di demoni che dirigono l’orchestra dei suoi sentimenti
Il Cirano di Bergerac, di Edmond Rostand, figura romantica, ma decadente, ha commosso le platee per il suo stile amatorio e la sua delicatezza d’animo.
Ma in questo caleidoscopio di personaggi, i più singolari e strani sono Renzo e Lucia. La promessa sposa sembra avere un blocco verso la parola amore: non la pronunzia mai. Renzo è molto inibito, per cui, in pratica, nel romanzo, i promessi sposi di un matrimonio sempre differito, paradossalmente, non parlano mai d’amore.
Quando Leone Tolstoj iniziò la stesura di Anna Karenina, la immaginò brutta e antipatica, perché riteneva che così fosse ogni adultera, essendo una donna immorale. L’autore la descrisse fisicamente disdicevole. In seguito, rielaborando l’opera, Tolstoj finì con l’innamorarsi di quel personaggio, e descrisse Anna bella e dal portamento dolce. Tuttavia, il romanziere, per non trasgredire ai principi morali, non trovò altra soluzione per una donna infedele, che il suicidio.
Romanzi e opere di teatro mostrano spesso un “taglio” dell’amore fatto di brame intricate e di avvenimenti strappalacrime. Shakespeare ne da’ due esempi drammatici, Giulietta e Romeo e l’Otello, toccando le corde più esasperate: la straziante fatalità e la gelosia.
Personaggi come Sorel, la Rênal, la Sanseverina, Jacopo Ortis, Werther, Clara, Catherina, Ivanova, Renzo, Lucia, Romeo e Giulietta, Otello, Anna Karenina, e via dicendo, hanno condito di risvolti romantici storie melense, tragiche e crudeli, trasmettendo la cultura di un romanticume decadente.
Nella letteratura, dunque, l’amore è trattato agitando le corde più drammatiche e quelle più incoerenti ed effimere. Molti letterati lo descrivono come vertigine, inquietudine, esperienza patologica e irrazionale, oppure come sogno.
Se l’amore è inspiegabile e complicato, non è la letteratura che lo rende comprensibile, anzi, in qualche caso ne ingarbuglia ancor più le acque.
Fortunatamente l’amore tra persone comuni, non quello tra personaggi letterari, ha anche momenti felici.

l’innamoramento dei letterati e l’amore nella realta’ (27)

Nelle loro opere gli scrittori descrivono gli aspetti più esaltanti dell’amore, con sfaccettature elettrizzanti e in qualche caso praticamente irrealizzabili. I romanzi raccontano amori teneri, dirompenti, ambigui, mistici o contraddittori, amori che travolgono e che coinvolgono tutta la vita. Secondo D’Annunzio l’amore è un turbine. Saffo lo considera ambiguo. Tolstoij fornì un esempio del potere dell’olfatto sull’amore e sulla sessualità. In Guerra e Pace il principe Pierre, ballando con Elena, si sente così attratto dal profumo della pelle di quella donna tanto da non poter fare a meno di chiederle di stare con lui.
I poeti e i romanzieri sono spesso amanti appassionati. Le memorie di Casanova sono un caleidoscopio di amori e di congiungimenti, vissuti nella realtà dall’Autore.
D. H. Lawrence descrisse in L’amante di lady Chatterley la sua vicenda personale: sua moglie lo tradiva ed egli volle giustificarla, così come fece per Lady Chatterley. Anaïs Nin racconta in Incesto la sua drammatica passione.
Spesso gli scrittori traducono l’esperienza sentimentale in poesia, in romanzo, in diari, con toni appassionati, o malinconici, o esaltati. Per i romanzieri e per i poeti l’amore è la cosa più seria della vita. Guido Guinizzelli afferma che: «Al cor gentile ripara sempre Amore». E Guido Calvalcanti rincara: «Io non pensava che lo cor giammai/ avesse di sospir’tormento tanto».
L’amore è una dolcezza che prende il cuore: «Amor e ‘l cor gentile sono una cosa» dice Dante Alighieri nella Vita nuova. Ma Dante, oltre che “innamorato letterario” fu uomo che non tralasciò mai di avere concrete relazioni. Così se da un lato “amava” in maniera celestiale Beatrice, dall’altro ebbe moglie e figli, e, pare anche qualche avventura nel suo girovagare per l’Italia.
Per Francesco Petrarca l’amore determina la qualità della vita. Dalla tristezza di un amore che non poté realizzare, Petrarca sviluppò una indagine psicologica che coinvolse ogni sua esperienza. Il poeta incontrò Laura nella Chiesa di Santa Chiara ad Avignone e la immortalò nel suo Canzoniere. Quell’amore spirituale, non corrisposto, suscitò in lui il senso della labilità della vita. Le pene d’amore sono smarrimento, tristezza di vivere, dramma di morte. Laura è il centro dell’universo, come ogni donna per lo spasimante. Al Petrarca, la passione per Laura durò, tra esaltazione e disperazione, vent’anni, e cessò con la morte della donna. Fu un amore che ebbe picchi e abissi di disperazione, ma fu il carburante che fece lievitare l’ispirazione di quell’artista.
Cosa abbia provato Laura per Francesco Petrarca, e come ella lo abbia accolto, si può solo immaginarlo. Laura, compiaciuta dall’insistenza con cui il poeta le offriva il suo amore, influenzata dall’idea cristiana di dare una mano agli afflitti, oscillò tra il diniego e la trasgressione. Ad un certo punto sembrò che Laura stesse per cedere alle lusinghe del poeta; ma poi, forse perché era maritata, forse perché spaventata dall’audacia dello spasimante, si ritrasse. Forse un’altra ragione più banale la frenò: secondo alcuni studiosi Laura non era attratta fisicamente dal suo spasimante perché lo trovava goffo e senza fascino.
Petrarca, non avendo risolto la conflittualità tra amore celestiale e necessità terrene, malgrado si struggesse per Laura, intratteneva varie relazioni con altre donne, dalle quali ebbe anche dei figli. Come si vede, anche animi sentimentali come quello del Petrarca vivono le contraddizioni della passione!
Quando Giovanni Boccaccio s’innamorò a prima vista della sposa di un nobile, Maria dei Conti D’Aquino, incontrata in una chiesa di Napoli, diversamente da ciò che era capitato a Dante e a Petrarca, da uomo pratico, ne fece la sua amante.
Con il Boccaccio, infatti, la donna-angelicata, fonte di virtù, di rispetto, di purezza, di trepida adorazione e di bellezza irraggiungibile, prende una svolta terrena e l’amore non è più solamente sentimento celestiale, ma passione mondana. Poiché la sofferenza amorosa provoca tensione, Boccaccio pensava che separare l’amore dal desiderio è alquanto frustrante, tant’è che per lui fu impossibile negare la complementarietà di eros e sentimento.
Nell’800, Dostoevskij appena uscito dal carcere, dove era stato rinchiuso per le sue idee politiche, e dove aveva rischiato il plotone di esecuzione, incontrò e subito sposò Marija Dimitrievna, vedova di un ufficiale. Fëdor s’invaghì sensualmente di quella signora che forse rappresentava l’ideale femminile che egli aveva “sognato” in carcere. Placata la furia dei sensi, anche a causa di una grave malattia di Marija, lo scrittore abbandonò la moglie e intraprese un viaggio in Europa con un’altra donna, la effervescente, brillante e giovane Apollonija Prokof’evna Suslova, che gli esaltava l’istinto d’avventura e lo travolgeva eroticamente.
Per lei Dostoevskij scialacquò quasi tutto il proprio patrimonio. Apollonia rappresentava il fascino dell’imprevisto, l’azzardo che accendeva la sensualità. Lo scrittore fu travolto da quella avventura amorosa. In seguito Dostoevskij, che tuttavia non viveva solo di sensualità e d’avventura, rimase affascinato dalla purezza della ventenne dattilografa Anna Grigor’evna Snitkina, che aveva assunto per dettarle la prima stesura de “Il giocatore”. Le doti intellettuali e la bontà d’animo della giovane affascinata dal talento del grande artista, toccarono l’animo di Fëdor, il quale, mortagli la moglie, pensò di sposare la segretaria. Anna rimase la sua devota e solerte custode del resto della sua vita.
In un certo senso, lo scrittore russo affermò di aver percorso grazie alle tre donne più importanti della sua vita, un itinerario sentimentale “completo”: egli passò dalla sensualità con la vedova Dimitrievna, all’estrosità passionale con Apollonija per approdare infine all’amore maturo e intellettuale con Anna.
Ma se questo tragitto passionale procurò allo scrittore una maturazione sentimentale, è probabile che il suo modo di fare, come accade in questi casi, non riscosse consensi nelle sue partner!
Sensuale fu l’idea dell’amore in Luigi Settembrini. Il letterato e patriota napoletano, ingegno illuminista e oppositore della tirannide, è ricordato per la sua azione rivoluzionaria ma non per la sua gioiosa sessualità. In carcere Settembrini scrisse un libro, I Neoplatonici, racconto erotico che narra un amore nella antica Grecia. Di quell’opera Benedetto Croce escluse la pubblicazione e de I Neoplatonici e non se ne parlò più in letteratura.
Wolfgang Goethe, innamorato raffinato ne Le Affinità elettive evoca amori celestiali e sintonie perfette. Le più belle poesie di Goethe scaturirono dalla immensa capacità di quell’autore di provare sempre nuove ebbrezze d’amore. Ma nella realtà Goethe non credeva alla “costanza” sentimentale: « È un cliché voluto dall’ipocrisia» diceva. A settantatre anni il poeta chiese la mano della diciannovenne Ulrike Levetzow.
Tuttavia, nei romanzi l’amore è considerato un dono concesso una sola volta nella vita. A volte è persino un sentimento che conduce alla follia, come nella vicenda descritta nell’Orlando Furioso. Orlando, innamorato di Angelica, perde il senno perché lei gli si nega. L’amore quotidiano è meno letterario; frammisto a problemi pratici, spesso è condizionato dalle banalità dell’esistenza. La vita d’ogni giorno fa da filtro e da sordina ai travolgenti amori descritti dalla letteratura e questo serve al buon senso. Tuttavia, molta gente, dominata dalle storie romanzate, non riesce a trovare l’amore perché non s’accontenta più della realtà e pretende di realizzare l’unione scoperta nel romanzo.
Ma confondere la letteratura con la realtà è pericoloso. Del resto, come s’è visto, spesso nemmeno i più sentimentali letterati sono caduti in questa trappola.

l’amore nella dinamica di coppia 1

L’amore è tra le situazioni più complesse della vita. Gli innamorati mostrano un assorbimento completo dell’attenzione l’un l’altro, tanto che, quando flirtano, è evidente la mancanza del loro coinvolgimento e del loro interesse nei confronti delle altre persone e dei fatti che accadono attorno a loro. Questa intensa attrazione che lega l’un l’altro gli innamorati alimenta in loro la convinzione che l’amore possa isolarli dal resto della vita. Tuttavia, se si guarda la storia dell’umanità la convinzione che un’altra persona mediante l’amore possa soddisfare la maggior parte dei nostri bisogni ha una base culturale abbastanza recente. Questo sentimento così articolato era sconosciuto a Greci e Latini, ed è stato ignorato per tanto tempo dai popoli dell’estremo Oriente, dagli antichi Cinesi e dai Giapponesi. La tipologia affettiva, che esalta il sentimento d’amore come la sublimità più auspicabile, è stata introdotta dalla cultura occidentale, che ha educato le masse a ritenere l’innamoramento l’elemento fondamentale della vita di un individuo. Basta leggere qualche romanzo per rendersi conto di come la letteratura abbia alimentato questo sentimento nei suoi vari aspetti tra i partner.
L’amore, lungi dall’essere un comportamento che si realizza nella stessa misura per tutti, ha invece una variegata serie di forme e di sfumature. Vi sono amori che cominciano con una prepotente attrazione fisica, e altri che cominciano con una amicizia o per ammirazione. Amori ossessivi complicati dalla gelosia, dall’egocentrismo e dal narcisismo, e amori composti e tranquilli grazie a un forte self control.
L’amore che si sviluppa a prima vista è una circostanza che rischia di far scegliere compagni sbagliati. Speso finisce quando i partner pronunziano frasi come “non avevo capito che lui/lei fosse così” e in queste circostanze non resta alcun tipo di legame.
In quanto all’amore pragmatico o razionale, questo è un rapporto basato sull’amicizia, ma manca di una forti spinte passionali. Vi sono partner che si comportano come se amarsi fosse un dovere e considerano l’amore una specie di obbligo per venire incontro ai bisogni dell’altro. Un caso emblematico al riguardo è rappresentato dall’amore che legò Clara Wieck a Robert Schumann. La signora Schumann, concertista di primo piano, fu una consorte affettuosa che aiutò tutta la vita il marito, egocentrico e bisognoso di attenzioni e puntelli psicologici, rinunziando spesso, “per senso del dovere”, alle proprie necessità e alla propria carriera.
L’amore solamente erotico, invece, è fatto di puro edonismo ludico, ed è profondamente incentrato sulla bellezza e sull’avvenenza. Ma quando l’attrazione fisica viene meno i due partner smettono di stare assieme senza troppo drammi. Un esempio è dato dalla passione violenta che colse D’Annunzio per la Duse, e dall’altrettanta indifferenza dimostrata dal Vate per quella donna, quando la sua passione scemò.
Ci sono coppie che attribuiscono la massima importanza alla attività svolte assieme vedi il caso di Simone de Beauvor e Jean P. Sartre, di Bertrand Russell e sua moglie Dora, e altre che ritengono che l’amore sia soprattutto desiderarsi carnalmente, come evidenzia la passione che travolse la scrittrice Anaïs Nin ed Herry Miller. Vi sono invece amori puramente sentimentali al pari di quello che legò Luigi Pirandello a Marta Abba in cui mancava o quasi il requisito della passione sensuale e dell’eros.
L’amore-attaccamento è la forma più esasperata di ritorno all’infanzia. Si tratta di una variazione delle esperienze particolarmente ansiose della perdita dell’oggetto d’amore, frequente nei primi anni della vita e che viene proiettato, in seguito, da alcuni adulti, nel rapporto di coppia. Chi vive di amore-attaccamento sollecita continuamente nel partner sicurezza e dedizione; vuole essere tranquillizzato, vuole essere accudito, e presenta una grande fragilità in caso d’abbandono. È questo il caso in cui si osservano le più potenti reazioni emotive quando il rapporto finisce, perché si ricreano le situazioni della angoscia di separazione tipiche dell’infanzia. Un esempio di questo legame lo da il rapporto affettivo che unì il pittore Marc Chagall alla bella Susy Rosenfeld, compagna e ispiratrice di ogni azione della sua vita, tanto che, quando ella morì, Chagall cadde nella più cupa disperazione e tentò anche il suicidio. Chagall affermava che i drammi della sua vita erano stati, quando era bambino, la separazione dalla madre, e da adulto la perdita della donna amata.
In quanto all’infatuazione, essa si manifesta come passione incontenibile per una persona idealizzata e mai vista com’è nella realtà. Al pari dell’amore a prima vista, l’infatuazione, proprio perché inebria e fa perdere il senso della realtà, è piena di pericoli perché è un rapporto nevrotizzante, che finisce per inghiottire tempo, energie, sogni, e che prima o poi fa cadere nella disillusione e nella frustrazione. Per guarire da questa forma di coinvolgimento tanto pericolosa, bisogna conoscere realisticamente la persona oggetto dell’infatuazione cosa che nove volte su dieci pone termine alla idealizzazione. L’infatuazione è un sentimento “superficiale”, perché non si basa su una conoscenza vera della persona amata, ma su una esaltazione della fantasia. Il poeta William Butler Yeats sognò sempre una notte d’amore con la scrittrice Maud Gonne che aveva immaginato essere la sua donna ideale. Quando, alla fine, la Gonne, dopo la lunga e assillante corte di Yeats gli si concesse, il poeta, “trovando che la Maud reale non era come egli aveva immaginato” ebbe una disastrosa defaillance.
Il poeta Montale amò e desiderò senza riuscire mai ad avvicinare, Dora Markus, un’ebrea viennese della quale s’era infatuato avendola vista in una fotografia assieme al critico letterario Bobi Balzen. Secondo alcuni, però, Eugenio Montale si sarebbe inventata l’esistenza di Dora, per poterla cantare come musa ispiratrice. Montale s’infatuava facilmente e s’innamorò di una donna, appena conosciuta, l’austriaca Gerti Frankl Tolazzi, che gli ispirò la lirica Il carnevale di Gerti e che il poeta incontrò una sola volta, a casa del critico Matteo Marangoni, ma preferì “ricordarla con la fantasia” piuttosto che legarsi a lei.
L’infatuazione è il mal d’amore tipico degli adolescenti, che “prendono la cotta“ per una star del cinema o della canzone, in ogni caso per una personalità che primeggia nel firmamento dello spettacolo o della musica. I fan sono capaci di fare qualsiasi cosa per andare a letto col proprio idolo. A volte alcuni divi hanno trovato nelle camere da letto, nascosti tra le lenzuola, fan decisi a tutto, pur di fare all’amore con il loro idolo. Le star più gettonate sono ossessionate dalle avance dei sostenitori più agguerriti, che in alcuni casi diventano una pericolosa insidia. Ma senza arrivare a questi eccessi, non è insolito che allievi adolescenti si infatuino di quei docenti che hanno più carisma e che sono particolarmente accattivanti. Agli inizi del Novecento era questo un caso classico; oggi, con la libertà sessuale raggiunta, i giovani dedicano invece le loro attenzioni più ai coetanei.
Secondo i biochimici, l’amore provoca un senso di benessere paragonabile all’effetto endorfina, e il potenziamento dell’amore, su base romantica, sarebbe dovuto a una sostanza la feniletilamina, che però crea l’effetto “dipendenza”, tipica di chi è innamorato. La crisi che segue alla separazione, dopo la fine di un amore, sempre secondo i biochimici, è molto simile a quella causata dalla sospensione delle anfetamine. L’amore, insomma, sarebbe legato a reazioni chimiche, e le varie esperienze che esso provoca, senso di dolcezza, ottundimento o esaltazione dei sensi, estasi, passione, sono molto simili a quelle provocate da droghe come l’oppio, la morfina, la cocaina, i barbiturici, la marijuana e l’alcool. Per alcuni ricercatori come Liebowitz e Kaplan, l’amore è regolato soprattutto dal testosterone, dalla dopamina, e dalla noradrenalina, che fanno da afrodisiaci e da stimolanti per la passione.
Insomma, non è solo la letteratura che esalta l’amore, ma anche le sostanze chimiche sarebbero “responsabili” di questo travolgente sentimento, che però per certi versi è pericoloso e problematico.
Come dire che chi è innamorato lo è perché sotto l’effetto di una serie di droghe, chimiche, psicologiche e sociali. Ma andate a farlo capire agli innamorati…

amore, un sentimento complesso 2

Dal tempo in cui Catullo e Saffo esternavano le proprie passioni, al periodo della filosofia Patristica che lo riteneva poco coerente con la vita virtuosa, a Sant’Agostino che condannava l’amore persino nel matrimonio, ai dottori della Chiesa che disapprovavano l’amore per una creatura umana, ritenendo che quel sentimento dovesse essere riservato solo a Dio, al Medio Evo, quando tra marito e moglie non s’usava l’amore, al tempo in cui era vivo solo sotto forma d’adulterio tra il Trovatore e la castellana, al Romanticismo, che lo considerò presupposto del matrimonio il concetto d’amore ha subito molte evoluzioni
Secondo alcuni è il più nobile dei sentimenti. I delusi e i pessimisti invece lo ritengono semplicemente una malattia che acceca la ragione. Accecato dall’amore fu Catullo che amò Clodia, moglie di Metello Celere e sorella-amante di Pubblio Clodio. Clodia (o Lesbia) come la chiamò il poeta, possedeva il cuore e la mente di Catullo e lo faceva soffrire e disperare quando lo abbandonava e lo tradiva a destra e a manca con chicchessia. E tuttavia, Catullo, pur geloso e disperato, non riusciva a staccarsi da quella donna, e quando lei lo richiamava a sé, egli accorreva felice, malgrado, in precedenza l’avesse maledetta per le di lei infedeltà. L’amore troppo geloso produce prima o poi odio e relazioni turbinose. Otello diventa assassino immaginando il tradimento di Desdemona.
Gli psicologi trovano che l’amore geloso sia un rigurgito dell’infanzia, quando il minore amando la madre o la minore il padre, provano gelosia verso l’altro genitore che, ritengono, sia la persona che si frappone tra loro e il loro oggetto d’amore.
Chi è “svezzato” da questa dipendenza, ritiene chi ama “follemente” un soggetto da psicanalizzare.
I neuropsichiatri, sostengono che l’impeto amoroso se non è controllato può diventare oppressivo. Invece l’amore sereno e senza struggimenti può essere un “fattore protettivo” del miocardio. Infatti, amare ed essere amati “serenamente” procura benessere all’organo cardiaco, fa diminuire l’ansia, lo stress e la depressione.
Ci sono grandi amori e passioni limitate, amori eterni e brevi incontri, amori fisici e amori spirituali; amori che creano gioia e amori che tormentano. Amori intellettuali e amori materiali. Alcuni sognano l’amore come i naufraghi sognano una spiaggia.
L’amore-sensuale in qualche caso è piuttosto effimero: quando nasce solo da un incontro fisico, dopo l’esaltazione iniziale, inevitabilmente finisce perché esalta l’attimo fuggente ma è senza programmi.
L’amore-passione, invece è basato sull’attrazione psicologica, sull’idealizzazione del partner. È il più romantico degli amori. La frenesia dell’infatuazione è una carica emotiva intensa, colma di pathos ma non dura a lungo. Infatti, l’infatuazione, è “cieca” e per questo è causa di forti disillusioni.
L’amore-amicizia è il più ricco e vario. Si basa sull’affinità delle idee, sulla comunanza dei gusti; è costante, senza spiacevoli sorprese. L’amore-amicizia proprio perché si basa su sentimenti e sintonie, prepara a un lungo percorso. Intesa, affiatamento, inclinazioni comuni e sintonia psicologica garantiscono la stabilità al rapporto.
Molte persone lamentano di non avere mai incontrato l’amore. Ma il più delle volte si tratta di individui che vivono un letargo affettivo, egoisti incapaci di saper dare sincera affettuosità, di miopi al punto da non saper riconoscere l’anima gemella. Essi tuttavia pretendono d’avere( magari “gratis”, cioè senza dare contropartita) l’amore che li consoli. Chi sa riconoscere la persona che meglio può stargli vicino, sceglie la persona giusta. Ma guai a non vivificare la fiamma: in amore è pericoloso vivere di ”rendita”.
A volte si crede d’amare invece si soffoca il partner e lo si rende schiavo del nostro egoismo. In questi casi l’amore agisce come un veleno.
Dalle biografie di grandi personalità, in vari campi dell’arte, della scienza e della politica si capisce che senza amore non vi può essere ispirazione e quando manca vengono meno le motivazioni per le grandi realizzazioni.
Senza le vibrazioni dell’amore non si ha carica vitale e pur nondimeno l’amore può essere causa di morte: la letteratura e la vita ci porta tanti esempi. Il giovane Werther distrutto da un amore impossibile si suicida. Si toglie la vita Didone, abbandonata da Enea. Medea compie una strage per l’amore perduto. Si tratta di esempi letterari che purtroppo hanno quotidianamente riscontro nella realtà.
Afferma il sociologo Armando Torno che senza i sussulti dell’amore l’animo è freddo.«Solo chi ama, o spera d’amare, ha una particolare vitalità».
Lo scrittore Giovanni Papini, intellettuale ribelle, sarcastico, ma anche depresso, descrisse così la sua necessità di trovare l’anima gemella: «Conobbi, fanciullo appena, le ansie degli amori casti; perdetti da grande, regolarmente, come tutti, la mia verginità; passai attraverso gli amori illeciti e le passioni proibite e i fidanzamenti approvati, ho finito (anch’io) nel seno delle gioie legittime del santo matrimonio. E allora si potrebbe dire : «Che cosa ti manca?» Mi è mancato soltanto questo: la donna ideale, la donna che prende davvero l’anima e la muta».
Non sempre però l’amore lenisce le carenze affettive. Il languore romantico, la malinconia sentimentale, arrovellano l’animo con tortuose introspezioni. Lo psicoanalista Theodor Reik è del parere che se l’amore è corrisposto tacita l’insicurezza, ma se manca o viene meno provoca un senso di fallimento, una sconfitta insopportabile che fa patire le pene dell’inferno. Se il partner ritiene che l’altro o l’altra abbiano perso interesse per lui, viene sconvolto dall’insicurezza o travolto dall’ira.
Un uomo ha ucciso i figlioletti e si è dato la morte per “punire” la moglie che non voleva più vivere sotto lo stesso tetto; un ragazzo, che in precedenza aveva abbandonato la fidanzata, quando ci ripensa, vuole ritornare con lei; ma lei è ormai legata ad un altro uomo e gli si rifiuta. Allora lo spasimante la trascina sotto i binari di un convoglio della metropolitana trovando la morte assieme all’«amata»; un uomo abbandonato dalla moglie, non rassegnandosi alla decisioni della sposa, uccide i suoceri, un cognato e una parente.
Molte persone psicologicamente deboli finiscono in depressione a causa dei loro “insuccessi di coppia”. Da un rapporto dell’Eurispes i fatti di sangue familiari sono i più numerosi tra i delitti: secondo l’inchiesta il 70% delle vittime sono donne(nel 41% dei casi si tratta della moglie o di una convivente).
Insomma, sebbene l’amore sia un sentimento esaltate, appagante, vitalizzante, in tanti casi, è sconvolgente.
Non sempre la fine di un rapporto coincide con la fine dei sentimenti. Se l’angoscia della separazione permane molto dopo la conclusione del rapporto, essendo un sentimento frustrante produce reazioni emotive inconsulte. Il sistema “arcaico” di risposta alla “perdita di qualcosa o di qualcuno ” è veemente e incontenibile, e provoca disperazione e violenza.

senza amicizia, solitudine nella coppia 3

Affermava lo psicologo Alfred Adler che «l’individuo che non s’interessa dei suoi simili incontra nella vita numerose difficoltà,ed è anche colui che maggiormente fallisce».
Se questo è vero in generale, è oltremodo determinante nei rapporti tra partner. E tuttavia, spesso molti di coloro che si proclamano innamorati, non curano l’amicizia con la persona amata: «Ci amiamo. Che bisogno c’è di essere “anche” amici?». Le coppie spesso stabiliscono rapporti “momentanei”, fragili, occasionali, senza dialogo. Paradossalmente, in un’epoca di grandi comunicazioni, molti partner stentano a scambiarsi confidenze e non riescono a migliorare la loro reciproca comprensione. Partner assieme da venti e più anni non si sono mai parlati “veramente”, e hanno scambiato solo frasi di circostanza, determinate da esigenze pratiche, da contingenze momentanee. Mai una parola che chiarisca la base del loro legame, mai una partecipazione al mondo dell’altro. Secondo un vecchio luogo comune l’amicizia tra uomo e donna è di secondaria importanza. Anzi, non può esistere. Si ignora così che è proprio l’amicizia a produrre l’armonia nella relazione, che smussa le differenze.
L’atavica incomunicabilità tra universo maschile e quello femminile dipende dalla riluttanza che uomini e donne hanno ad aprirsi a confidenze reciproche. Si tratta di una idiosincrasia che non fa solidificare i rapporti tra i sessi.
Anche ai nostri giorni non è infrequente, nelle riunioni miste, vedere che gli uomini si aggregano fra loro per parlare di sport o di politica, e le donne fanno comunella per discutere i propri problemi. I due mondi rimangono scissi per mancanza di una cultura all’amicizia tra i sessi.
L’amicizia tra partner comporta vantaggi, stimola alla stessa sintonia, fa viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda. Amicizia è interessarsi a ciò che sta a cuore all’altro, saperlo ascoltare e venirgli incontro. È comprendere la sensibilità del partner, non offendere i suoi gusti, dimostrare di gradire il tempo passato in sua compagnia. È saper apprezzare il partner, essere disposti a qualche sacrificio per fargli piacere; è rendergli attraente il tempo trascorso assieme.
Purtroppo però, a volte, il concetto d’amicizia è frainteso e così, equivocando sul “potere” di questo sentimento, c’è chi pretende che il partner sia sempre disponibile e ciò anche senza mostrargli mai gratitudine. Il peggior modo di stare assieme è considerare il rapporto di coppia una sorta di pattumiera nella quale scaricare gli aspetti meno opportuni del proprio carattere. C’è infatti chi utilizza l’unione di coppia per brontolare, rimproverare e recriminare, o magari per sottolineare i difetti dell’altro. Denigrare il proprio compagno/ compagna, non accettare mai il suo punto di vista, mettersi in concorrenza con lui, fondare la propria autostima sminuendo il suo valore, non apprezzare mai qualunque cosa faccia è il peggior modo di stare in coppia.
Soddisfare il proprio narcisismo e rinforzare la propria autostima traballante sulla pelle del partner è un’operazione infantile e pericolosa per la vita assieme.
Quando il flirt nasce dall’attrazione sessuale: in questi casi l’unione vive male se i due non sviluppano anche con gusti, desideri e aspirazioni “compatibili”, e se si basano solo sull’ esteriorità, senza svelarsi mai “l’interno”. C’è chi mantiene “sotto controllo” la propria trasparenza interiore, ritenendo che l’amicizia con l’altro sesso non sia possibile. Se questo accade, la coppia è costruita su due solitudini: quella della donna e quella dell’uomo, e la solitudine non aiuta a fronteggiare le incomprensioni e i disagi della vita di coppia, anzi comporta incomprensioni, reciproche accuse, e forti delusioni.
Prototipo dell’amore-amicizia fu il rapporto che legò il filosofo Abelardo ad Eloisa. Le lettere che i due si scambiarono testimoniano quanto profondo e intellettualmente affiatato fosse il loro legame. Una grande amicizia e un grande amore legarono Boris Pasternák., reduce da diverse esperienze, a Olga Ivinskaja, più giovane di lui di trenta anni. La “miracolosa presenza” di Olga lo rinnovò e gli ispirò il personaggio di Lara, figura principale del romanzo Il dottor Zivago. La Ivinskaja fu vicina a Boris anche quando il PCUS gli impose di allinearsi alle direttive del partito: «l’unica consolazione mi viene dall’amore e dall’amicizia per una donna» ebbe a dire lo scrittore.
Altro grande amore-amicizia fu quello che si instaurò tra Corrado Alvaro e sua moglie, Laura Babini, che lo aiutò nei momenti più tristi della vita. «La mia migliore amica» disse di lei Corrado. L’amicizia e l’amore tra lo scrittore tedesco Hans Fallada e Anna fu come lo stesso Hans ebbe a dire « uno di quei rapporti che salvano dalla catastrofe esistenziale e che risolvono l’agonia di una vita». Lo scrittore narrò la storia di quel ménage e di “quell’amicizia” nel romanzo E adesso pover’uomo?, venduto in milioni di copie e tradotto in venti lingue.
Quando Yann Andréa Lemmée lesse il primo libro di Marguerite Duras aveva vent’anni e lei ne aveva sessantuno. Per cinque anni il giovane scrisse una infinità di lettere alla donna che lo aveva stregato e affascinato con le sue idee e le sue opere. Alla fine Marguerite conquistata dall’amicizia di quel fan lo invitò a casa sua. Da quel momento i due vissero assieme. Lui scrisse la biografia della Duras, e la loro fu una simbiosi “amicale”, che durò sedici anni, cioè fino alla morte della scrittrice. Andréa dopo il lutto non volle più stare con nessuno e scrisse un secondo libro biografico sul rapporto “sintonico” con quella donna che aveva cambiato la sua vita.
Grande amica e consigliera di Enrico II di Francia , oltre che amante, fu l’onnipresente e onnipotente Diana di Poitiers. Come sarebbe stata la conduzione di quella nazione, senza gli interventi di quella donna? I duchi di Guisa sarebbero potuti diventare tanto potenti senza il suo intervento? Quali sarebbero stati i rapporti tra Francia e Inghilterra, senza i consigli di Diana “al suo re”? Per ragioni di etichetta Enrico la chiamava “madame” e lei “sire”. Ma la loro conversazione aveva il tono di una reciproca amicizia.
Il buon rapporto di coppia si instaura in maniera lenta e complessa. Senza sincera amicizia la relazione manifesta prima o poi la sua instabilità; il rapporto va in brandelli e i lacci oppressivi creano una dolorosa insopprimibile realtà in comune.
L’amicizia tuttavia non è garanzia di durata dell’amore (i campi dell’amicizia e quelli dell’amore sono diversi) ma è una premessa che evita, se la passione finisce, l’accanimento e il malanimo durante la separazione.
E non è poco che, quando il sentimento finisce, se l’amicizia perdura, grazie ad essa i due partner possano civilmente restare collegati.

C’è un’età per amare? Il dislivello di eta’ nella coppia (11)

Esiste davvero un’età per l’amore? Secondo un luogo comune l’amore è retaggio della giovinezza e tuttavia passioni e tenerezze non si esauriscono nel primo periodo della vita.
Infatti spesso non è l’età che decide se un cuore non sia più in condizione di amare: è la mancanza di interessi, di entusiasmi, di idee che mette in pensione l’amore. Di “vecchi” se ne trovano anche sotto i trent’anni. Il discorso diventa assolutamente settario nei confronti delle donne mature: per esse il maschilismo non ammette che abbiano gradevoli incontri. La società ritiene che far figli sia il principale dovere delle donne, e che esse, una volta in menopausa, non dovrebbero avere velleità amatorie. E invece, e giustamente, sono molte le donne che rifiutano il pensionamento dell’amore. Paola Borboni a settantadue anni, sposò Bruno Vilar, di quarant’anni più giovane di lei. Era settantenne la marchesa Anne Marie du Deffand quando s’innamorò del quarantottenne politico inglese Horace Walpole, col quale instaurò una relazione amorosa. Ornella Muti (45 anni) è legata a Stefano Piccolo (37), Irene Pivetti (37) ad Alberto Brambilla (27), Alessandra La Capria(33) a Francesco Venditti (23 anni). L’attrice Barbara de Rossi, quarantenne, sta con il ballerino Branko Tasanovic, di 29 anni.
L’arcigno Machiavelli, in età matura, confessò: «Ho lasciato i pensieri delle cose grandi e gravi perché non mi diletta più tanto leggere le cose antiche, né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci su Venere».
Una passione travolse il cinquantaseienne Voltaire per l’adolescente nipotina Denise che lo adorava, essendo affascinata dalla sua vivacità intellettuale. Richard Wagner continuò ad amare fino a tarda età. Bertrand Russell fu tenero amante fino a tarda età. L’ottantenne Alberto Sordi afferma: «Vivere a lungo non deve essere una condanna, bensì un vantaggio».
In Giappone agli inizi del Novecento molte donne, arrivate alla maturità, stanche del gravoso carico familiare, divorziarono. Bertold Brecht, ne La vecchia signora indegna, racconta di una settantenne che si ribella alla vita piatta condotta fino a quel momento e che da quel momento comincia a divertirsi.
Jean-Paul Belmondo a sessantasei anni confessa ancora il bisogno di amare. A ottanta anni l’umorista Bob Hope, spiegò: «Arrivare a questa età significa ricordare più date e più cose, non smettere d’amare». Secondo l’attore Renato Cucciolla, quando si è anziani l’amore è una ricetta per non deprimersi. A sessantaquattro anni l’attore ha avuto un figlio dalla trentatreenne Alida Sessa.
Marlon Brando a settantuno anni ha avuto il suo dodicesimo figlio e Anthony Quinn ebbe a settant’anni un figlio dalla segretaria Kathy Benvin. Ernesto Calindri, ultranovantenne, affermò che ancora l’attività che più esaltante era fare l’amore.
Stefano Zecchi si è sposato a 54 anni con la ventiseienne Sara Fioretta. Leo Ferrè ebbe un figlio a 62 anni. John Wayne a 60 anni.
A settanta anni Bette Davis s’innamorò perdutamente del suo giovane segretario e la soprano Lina Cavalieri ebbe diverse focose relazioni fino a tarda età.
Produttività lavorativa, arguzia mentale e ars amandi sono aspetti di un’unica forza vitale. Chi è longevo nel campo dell’arte, della politica, del lavoro e delle scienze e degli interessi mentali e culturali è anche efficiente in amore.
Victor Hugo a sessanta anni scrisse Lavoratori del mare e I Miserabili e si legò alla giovanissima Juliette Douret. Wolfhang Goethe a cinquantotto s’innamorò della diciannovenne Minna Herzlieb. Passione ricordata nella figura di Ottilia, protagonista de Le affinità elettive. A settantatré anni lo scrittore chiese la mano della diciannovenne Ulrike Levetzow. Nove anni dopo completò il Faust.
Giuseppe Verdi fu un longevo spirito creativo: compose il Falstaff quando aveva 80 anni, e fu un infaticabile amante fino agli ultimi anni della sua vita.
Il Premio Nobel Guglielmo Marconi a 70 anni s’innamorò di una ventenne che egli chiamava affettuosamente Nene. Il pittore Marc Chagall a novantasette anni, era in piena attività lavorativa ed erotica come testimoniò Juliette Douviner. Il generale austriaco Radetzky a settanta anni si legò ad Hannah, la fida governante quarantenne, che gli stava vicino anche in camera da letto.
Lo statista Otto Bismarck‑Schonhausen abbandonò la politica alla ragguardevole età di 75 anni, e si ritirò a Friedrichsruh, in compagnia di una lontana parente, che aveva trent’anni meno di lui, e che fu la sua tenera amante.
Galileo Galilei a sessantasei anni s’innamorò della trentenne Alessandra Bocchineri Buonamici. Gaspare Gozzi si unì alla poetessa dell’Arcadia, Luigia Bergalli (in arte Irminda Partenide), di dieci anni più anziana di lui. A metà del ‘700, Benjamin Franklin nel suo saggio Advice to a Young Man enunciava “buone ragioni” per scegliere una donna matura. Il sessantacinquenne Francisco Goya y Lucientes s’innamorò della ventenne Leocadilla Zorilla e con lei visse gli ultimi anni della sua vita
Edgard Allan Poe sposò la tredicenne Virginia Clemm, figlia di una sorella della madre dello scrittore. Il matrimonio fu celebrato perché i testimoni che mentirono la età della sposa. Bela Bartok sposò l’allieva Marta Ziegler che aveva sedici anni meno di lui. Lo scultore Auguste Rodin a sessantatrè anni iniziò una relazione con la ventisettenne pittrice Gwen John.
Charles Chaplin a trent’anni sposò la sedicenne Mildred Harris. A quarantatré conobbe la ventenne Paulette Goddard e se ne innamorò pazzamente. A 54 ebbe la straordinaria vicenda con Oona, di trentacinque anni più giovane di lui. Charlie a 73 anni ebbe l’ultimo figlio.
Il sessantanovenne Carlo Cassola sposò Paola Natali, che aveva trentacinque anni meno di lui. E un amore senile legò anche il sessantenne Pasternak alla trentenne Olga Ivinskaja, dalla quale ebbe una figlia, Irina Emilianova.
Anche Totò ebbe relazioni “sbilanciate”: quando incontrò Franca Faldini lui aveva 54 anni e lei 21, eppure tra i due si instaurò un legame che si concluse sono alla morte del comico. Giuliana de Sio aveva vent’anni quando si legò al regista Elio Petri. Anche la loro fu un’unione molto solida che solo la morte del regista troncò. In quanto a Renato Rascel il comico sposò la soubrette Giuditta Saltarini, che aveva trent’anni meno di lui. Placido Domingo a cinquantasei anni convive con la ventenne Alessandra Duller. Il cinquantenne José Carreras si è innamorato della ventottenne Petra Schlapp. Luciano Pavarotti a sessanta anni s’è unito a Nicoletta Mantovani. L’attore Carlo Croccolo a settantacinque anni, in terze nozze, sposò una trentasettenne. Alberto Moravia si legò alla trentenne scrittrice spagnola Carmen Llera. L’attore Gary Grant sposò Barbara Harris di quaranta anni più giovane di lui affermando: « A ottantadue anni faccio ancora all’amore».
Lo scrittore Norman Mailer sposò in seste nozze Norris, che aveva trentacinque meno di lui. II novantacinquenne architetto, scrittore e regista Luis Tranker ha avuto un figlio dalla sua governante, la trentaduenne Martina Holler.
L’ultrasettantenne narratore Erskine Caldwell sposò una donna che aveva trent’anni meno di lui e che gli diede un figlio. A ottantatré anni, Giovanni Malagodi, leader dei liberali sposò la trentacinquenne Elena Iannotta. Arturo Toscanini ebbe una travolgente esuberanza erotica: a 66 anni si legò alla pianista Ada Colleoni Mainardi. Seicento lettere e trecento telegrammi testimoniano l’attività, i pensieri, le passioni e la vita del grande maestro. L’esuberante Pablo Picasso, a sessantacinque anni si legò ad una liceale, Geneviève Laporte.
Anche molte donne amano avere rapporti con uomini più giovani: Il mensile Le Temps Retrouvé ha condotto un’inchiesta dalla quale risulta che fare all’amore dopo una certa età non è problematico se si è efficienti e motivati e se in gioventù non si sono avuti problemi psicologici, sociali e sessuali.
«La pressione sociale rende invivibile l’eros degli anziani e condanna il ménage sbilanciato; anche se in tanti altri casi nemmeno il discredito sociale ha cancellato il buon esito di unioni tra persone anziane o tra anziani e giovani» afferma lo psicologo G. H. Hartmann. E tuttavia, non sempre è possibile prescindere dal giudizio sociale.
Non solo, ma un tempo s’era abusato nell’accettare il dislivello dalla coppia. Infatti, nell’antichità maschi ricchi e anziani impalmavano giovanissime, concesse loro da avide famiglie. Dal Quattrocento al Settecento le donne siciliane si sposavano tra i dodici anni e i diciotto anni con uomini più grandi di loro. Lo stesso accadeva in Puglia, nel secoli XVI e XVII, ove l’età del matrimonio delle donne era tra i quindici e i venti anni. Nei primi del Novecento, in Basilicata, le donne andavano all’altare a sedici anni. Ma quando le giovani non trovavano efficiente l’anziano marito, si consolavano con qualche coetaneo.
Innamoramento o depressione? (24)

Non sempre gli stati depressivi e i conflitti psichici vengono affrontati cercando di risolvere i problemi che sono alla base. Oltre che nella nevrosi, a volte, come afferma lo psicoanalista Otto Rank, essi si “materializzano” addirittura nell’opera d’arte. In qualche caso, a ben guardare, una “circostanza” alternativa alla depressione è persino l’innamoramento, che diviene così una risposta deviata all’insoddisfazione e alla malinconia. Ma il sentimento amoroso non cura la depressione, la“occulta” temporaneamente. Infatti l’angoscia depressiva, “spostata” dalla sua forma originale, diventa angoscia d’amore.
Diceva Eleonora Duse che sentiva il “bisogno” impellente d’amare soprattutto nei momenti di maggiore fragilità. La “divina” affermava di “cercare d’innamorarsi” proprio quando si sentiva più depressa. Una riflessione che sottolinea come i processi psicologici della malinconia stanno alla base delle angosce degli innamorati. L’amore è invocato durante i periodi di maggiore scoramento: nell’adolescenza, costellata da smarrimenti, insicurezze e tristezze; nell’età adulta quando l’insuccesso lavorativo, il fallimento di coppia, l’esito sfavorevole di un progetto politico, artistico, sociale, appaiono come sconfitte cocenti che mettono a repentaglio l’autostima, e creano un’inquietudine depressiva con relativo bisogno d’amore “riparatore”.
L’innamoramento può mettere sicuramente a soqquadro anche una mente tranquilla, per cui è facile immaginare quanto sia dirompente se si sviluppa su una situazione psicologica già resa instabile da afflizioni e sconforti. Poiché la persona depressa è psicologicamente fragile e poco resistente a sentimenti forti, difficilmente essa riesce a gestire una situazione così densa di implicazioni dirompenti come l’amore. Per il depresso, imbarcarsi in una prova amorosa può essere un rischio con risultati più negativi che positivi. Infatti il soggetto afflitto da depressione non riesce a recuperare il buon umore attraverso l’amore, anzi in lui si innescano gelosie, conflittualità e tormenti, che finiscono col creare una situazione ingovernabile. Chi è già afflitto da paure infantili, sarà un partner gelosissimo, stizzoso, permaloso, molto più di quanto non lo sia qualsiasi partner che non soffra di turbe di abbandono.
«Se sono felice, non ho una grande esigenza d’amare…» affermava Eleonora Duse. I suoi innamoramenti erano così rabbiosi, così straripanti di stizze, così colmi di gelosie che non sgorgavano dalla gioia, ma dalla tristezza ed erano quasi sempre pervasi da insoddisfazione. L’attrice in piena crisi depressiva, si legò a Martino Cafiero, sperando che quell’uomo, con la sua superficialità la salvasse dall’angoscia. Ma l’esperienza fu deludente, così come lo fu quella con Tebaldo Checchi, il modesto attore che l’attrice sposò durante un periodo di travagliate insoddisfazioni. Dopo avere avuta una bambina da Checchi, la Duse si separò dal marito e si legò a Flavio Andò, fidando, ma invano, che almeno lui la tirasse fuori dalla spirale aggrovigliata dei tortuosi e dolorosi marasmi della sua anima.
Ancora più irriflessiva fu la passione ardente dell’attrice per D’Annunzio, funambolico e spregiudicato in amore così come nella vita. Quella passione da un lato diede corda al narcisismo di Eleonora ma finì per travolgerla e paralizzarla. Tutte quelle scelte sentimentali furono dettate all’attrice dal proprio bisogno di mettere a tacere le ferite narcisistiche che tormentavano la sua mente.
La valutazione che la Duse faceva dei suoi partner era dettata dai grovigli interni che l’assillavano sin da quando era adolescente. L’attrice, “narcisista bambina”, giocando all’innamorata, sperava di dominare l’uomo con cui stava e nel contempo sognava di essere al centro dei suoi pensieri e delle sue azioni. Le cose però spesso andavano diversamente, ed Eleonora si ritrovava tragicamente sola, con ferite narcisistiche che bruciavano più delle piaghe.
Sono molti gli esempi in cui l’amore è stato un bisogno “alternativo”. Giosuè Carducci quando si sentiva “imbolognire” cioè quando era avvilito della vita piatta e scialba che conduceva a Bologna, cercava nell’avventura sentimentale una compensazione alla propria depressione. Pablo Picasso non riusciva a superare l’empasse della carenza di creatività se non s’innamorava. Franz Kafka, eternamente depresso, era sempre in cerca di una passione amorosa che lo salvasse dall’angoscia; ma non riuscì mai a concretizzare la sua aspettativa.
Pure Giacomo Leopardi, per guarire il suo complesso d’inferiorità, cercò sempre ma in vano di avviare un dialogo amoroso con una donna, ma proprio perché sempre insicuro di sé non seppe mai portare a termine nessun consistente progetto al riguardo.
Se l’amore è utilizzato come alternativa all’angoscia, come espediente per compensare la malinconia, può accadere che diventi “un masso” capace di schiacciare più che di fortificare
Per questa ragione molte persone affermano di non trovare nell’amore il conforto desiderato e finiscono col ritenerlo una esperienza poco fruttuosa. Esso può diventare un problema se viene sperimentato nel periodo e nella maniera meno adatta. Immaginiamo una persona affetta da tachicardia, che imprudentemente per superare quel malessere inforchi la bicicletta cercando, come terapia contro l’affanno cardiaco, di percorrere molti chilometri in salita!
Più una personalità è forte, più è in grado di affrontare gli ordinari travagli d’amore, se invece è zoppa, scivola nel terreno minato dei sentimenti. Non è infrequente infatti, che il bisogno di una relazione amorosa, paradossalmente, non dipenda da una esigenza solare, ma sia il campanello d’allarme di uno stato malinconico.
Amare è un buon esercizio psichico, così come la ginnastica è positiva per il fisico. Ma non sempre la ginnastica porta benessere: con problemi cardiaci non possono fare esercizi atletici, così come non si avrà una sana relazione amorosa se la situazione psicologica di base è compromessa.
Alcune persone affermano di non avere mai sperimentato un amore cristallino, gioioso e sano, e dubitano persino che possa esistere. Ciò accade quando si è psicodipendenti, rancorosi, ostili, ombrosi; oppure quando si vuole essere sempre padroni del partner e non si sa mai offrirgli nulla di ciò che può renderlo veramente felice. Chi non è in grado di viaggiare in sintonia con un’altra persona, incorre in malintesi, ostilità, e recriminazioni, cioè mette in moto le condizioni peggiori per non avere mai un rapporto tenero e profondo.
La gente crede che “Federico” sia innamoratissimo della sua “Melina”, perché è gelosissimo di lei, ignorando che chi è tormentato dal quel sentimento non ha tempo d’amare, tutto preso com’è dalla propria infantile angoscia di abbandono. “Litigano sempre, ma si amano” dicono amici e parenti di un’altra coppia, non rendendosi conto che i contrasti, a volte violenti e maneschi, sono un sintomo della nevrosi di base, piuttosto che un aspetto dell’amore.
Così, quando ci sono conflitti interni irrisolti, difficilmente è possibile fruire dei vantaggi dell’innamoramento, e in questi casi ci si chiede: si tratta di amore o di depressione?

passioni, sentimenti e ormoni (33)

I poeti si affannano a manifestare le “sfumature” della loro anima e ad interrogare gli astri per le loro passioni d’amore; maghi e fattucchiere consultano le stelle o adoperano filtri segreti per “aiutare” gli innamorati, per assistere chi è travolto dalla gelosia, o per fare innamorare qualche “distratto”.
Eppure, secondo quanto scoperto da una équipe di neurobiologi, basterebbe che fossero regolati i livelli di due ormoni, la serotonina e l’ossitocina per mettere a posto in maniera “scientifica” i disturbi della coppia.
La psichiatra Donatella Marazziti dell’Università di Pisa ha condotto una interessante ricerca, mostrando che il livello di serotonina negli “innamorati freschi” è del 40% più basso della norma: ciò porterebbe alla conclusione che la passione amorosa, con quell’insistente pensare a una persona, può essere paragonata a un disturbo psichico. In pratica gli innamorati avrebbero la stessa carenza che si riscontra analizzando i livelli di serotonina nelle persone affette da disturbi ossessivi compulsivi.
Nel Congresso di Psichiatria della “Sopsi”, “Dal disturbo alla malattia”, tenutosi a Roma qualche mese addietro, si è evidenziato che alcuni sentimenti sono regolati dall’ossitocina, ormone che tra l’altro faciliterebbe l’attaccamento monogamico tra i partner.
Le ricerche della Marazziti hanno dimostrato che l’ossitocina sarebbe la causa principale della monogamia nei topi della prateria e in alcune specie di scimmie. La connessione ossitocina-monogamia è stata evidenziata anche da studi condotti negli Stati Uniti. Paradossalmente, allora potremmo indurre il partner a non distrarsi, aumentando il livello di ossitocina nel suo sangue, e di converso, evitare l’ossessione della gelosia, facendo diminuire i livelli di serotonina.
Non più dunque pozioni magiche, spilli conficcati nelle foto, scongiuri e pratiche esoteriche per mantenere in vita un rapporto. Basta semplicemente controllare i livelli ematici e aumentare o diminuire l’apporto dei due ormoni.
Nel 1950 due neuroscienziati, James Olds e Piter Milner scoprirono che un neurotrasmettitore, la dopamina, stimola la ricerca del piacere. Infatti essi osservarono un aumento di dopamina nel ratto quando gli veniva mostrata una femmina. Stesso aumento di dopamina lo notarono anche negli esseri umani in concomitanza di un evento sessuale. J.Kanskpek nel 1998, e R Swarting nel 2001 hanno trovato che alcune aree cerebrali si attivano proprio in attesa di fare all’amore. Inoltre, due studiosi dell’Università di Essen, Hartwing Hanser ed Hermann Englert, hanno constatato gli effetti inibitori della prolattina, e lo stretto rapporto tra diminuzione della prolattina nel sangue e aumento dell’effusione sessuale. Con l’aiuto della risonanza magnetica, si sono messe in luce quattro aree cerebrali nelle quali ha probabilmente sede la passione amorosa, e si è visto che quando queste aree sono “occupate” da impulsi d’amore, diminuiscono l’aggressività e la litigiosità.
Forse questo modo di procedere nel campo dell’amore, ad alcuni potrà risultare spoetizzante. Tuttavia conoscere la sede di un fenomeno fisio-psichico può aprire la strada ad even­tuali terapie. Aldus Huxley, nel suo “Il mondo nuovo” lo aveva previsto. E forse qualcosa del genere anche Giulio Verne l’aveva intuito.
È probabile per ciò che in futuro, grazie a qualche prodotto ormonale venduto in farmacia, i sentimenti potranno essere normalizzati e omologati in parametri socialmente approvati. È probabile che vi saranno dialoghi di questo tipo:
«Dottore, mio marito mi tradisce»
«Non si preoccupi signora, gli faccia ingollare questo sciroppo a base di ossitocina, e vedrà che tutto si aggiusta!» .
Quando il giovanotto gelosissimo lamenterà di non riuscire ad avere un attimo di pace, l’endocrinologo – consultato dal paziente innamorato follemente-, gli consiglierà, per non essere più geloso, di far calare il suo livello di serotonina: «Prenda questo prodotto e vedrà che tutto si sistema».
Qualche nostalgico penserà che è meglio una disillusione, uno sporadico tradimento, un po’ di gelosia, l’incognita del calo del desiderio, l’imprevisto dell’infedeltà, i malintesi e le “naturali” liti di coppia, piuttosto che vivere una relazione biologicamente trattata, cosa che potrebbe risultare una specie di camicia di forza che impedisce sentimenti “genuini”. E tuttavia, poiché i disturbi di coppia sono perniciosi, forse, in futuro, dopo avere tentato inutilmente con i ragionamenti, si potrà intervenire per via ormonale per appianare i litigi dei partner, regolando serotonina e ossitocina.
La conoscenza dei meccanismi fisiologici ed ormonali dell’amore non è l’unica novità: si è appurato che la sede della pau­ra sta nell’amigdala sicché sarà possibile rendere il vigliacco un eroe, il timido un audace.
Per i poeti e per i “sentimentali” che rifuggono dall’ipotesi meccanicistica, queste scoperte sono sconvolgenti e sgradevoli. Per coloro che ritengono il cer­vel­lo un semplice stru­mento attra­verso cui agisce l’anima, queste scoperte sembrano orripilanti o irrilevanti. I più entusiasti invece si augurano che col tempo, visto che non sempre col ragionamento si riesce ad educare, si potrà essere in grado di “correggere” i comportamenti umani agendo fisiologicamente. L’indifferente e l’apatico potranno diventare appassionati; i gelosi più indulgenti.
Forse si arriveranno a curare con successo le malformazioni comportamentali dei serial killer o le deformazioni psicologiche degli psicopatici criminali.
Qualcuno potrebbe obiettare che modificando il tasso ormonale dell’individuo si rischia di trasformare la personalità niente più che una com­posizione biochimica. Infatti, se è impossibile ignorare che l’uomo è un misto di fattori biochimici e di strutture neuro-fisiologiche, non bisogna sottovalutare che i comportamenti degli individui dipendono, in maniera determinante, dall’ambiente e dalla cultura. Quest’ultima considerazione rende in definitiva la personalità il risultato della patrimonio di conoscenze e delle esperienze vissute “in diretta”.
Chi vive in un ambiente degradato palesa caratteristiche comportamentali diverse da chi proviene da altro tipo di condizioni sociali. Ciò spiega come i comportamenti dell’individuo siano il risultato delle condizioni sociali e non traggano origine, come qualcuno immagina, dalle congiunzioni astrali, né possono essere “corretti” dagli interventi di maghi ed esorcisti.
Infatti, i comportamenti possono invece essere indirizzati correttamente solo dal buon uso del ragionamento e del senso di responsabilità. C’è allora da sperare che l’umanità riesca a trovare dentro di sé quel buon senso e quell’equilibrio emotivo che sono le condizioni indispensabili per una vita serena, regolata dalla ragionevolezza. E ciò, indipendentemente dai valori del tasso ematico della serotonina e dell’ossitocina.
Insomma, bisogna augurarsi che le passioni siano regolate più dai fattori psicologici che non dai livelli ormonali.
Ma forse è chiedere troppo all’umanità.

I due volti dell’amore 4

Le passioni amorose più soddisfacenti sono sostenute da legami affettivi e intellettivi e non si basano solo sul coinvolgimento fisico. Un tempo, invece, le unioni si stabilivano su intrecci tribali, commerciali, dinastici, o magari di semplice convenienza, e poco spazio era lasciato all’amore. Spesso, era la volontà dei genitori o del clan a condizionare le scelte tra partner. Fortunatamente tutto ciò è ormai solo “storia passata”. Le vicende umane da quando cessò quel genere di imposizione hanno registrato sempre più la nascita di grandi affetti.
Un tenero e sincero amore legò lo scrittore andaluso Rafael Alberti alla bellissima poetessa Maria Teresa Léon, e questa sintonia permise loro di scrivere un libro a due mani: La tartaruga. «Di lei so tutto in anticipo e lei di me intuisce ogni mio desiderio» scrisse l’Alberti, sottolineando la grande intesa che li univa.
Un amore profondo coinvolse Riccardo Gualino, finanziere del primo Novecento, e la moglie, Cesarina Gurgo, L’armonia tra loro si sviluppò sebbene avessero entrambi personalità forti. «Col trascorrere degli anni – scrisse Gualino – i nostri vincoli si rinsaldarono a tal punto che negli ultimi tempi mi pareva di formare con lei un essere solo…»
Una love story legò per cinquanta anni Winston Churchill alla moglie Clementine Hozier. Anche se il loro rapporto non fu immune da incomprensioni ed amarezze, Clementine sosteneva che Winnie le aveva fatto dimenticare le sofferenze dell’infanzia e aveva contribuito a cancellare in lei l’odio che, a causa di un orribile padre, aveva nutrito per il maschio. Churchill sosteneva che Clementine, fedele e affettuosa, lo aveva ricompensato di una madre “affettivamente assente” e distratta, la quale gli aveva lesinato l’affetto. Clementine invece lo sostenne sempre nelle occasioni più gravi, anche in campo politico e strategico.
Il romanziere tedesco Rudolf Ditzen, conosciuto come Hans Fallada, scrisse che prima di incontrare Anna Lorten, che sposò nel 1926 e con la quale visse felicemente, aveva avuto una vita non solo scialba ma anche “cosparsa di piaghe”. La sua infanzia fu afflitta da malanni, la gioventù rattristata dal senso di colpa per avere ferito a duello un compagno di studi, dolori che lo spinsero più volte a tentare il suicidio. Fallada visse “sempre nel buio” e fu anche in una clinica per malattie nervose. Venne fuori dalal sua depressione solo con l’aiuto di Anna, la quale «ridiede la speranza ad un uomo che era senza più speranza». L’amore tra Rudolf e Anna «fu uno di quei rapporti che salvano dalla catastrofe esistenziale e che risolvono l’agonia di una vita».
Fallada narrò quel ménage nel romanzo E adesso pover’uomo?, venduto in milioni di copie. In esso è tracciato l’ottimismo di Anna che non disarma mai e che infonde coraggio al marito, rassegnato al peggio. Quale migliore testimonianza di gratitudine per la donna che lo aveva salvato dalla disperazione?
Alfred Hitchcock sposò Alma Reville perché la ritenne “la miglior tecnica del montaggio degli Studios”. Ma non fu solo la convenienza per la carriera che fece innamorare Alfred e Alma. La verità è che l’uno non poteva fare a meno della professionalità dell’altra e i due si amarono teneramente per molti anni e lavorarono assieme con grande affetto.
Non bisogna però illudersi che il grande amore sia immune da defaillance. Anche gli amori più teneri a volte possono avere una sincope. Ma se sono amori veri anche dopo la separazione non viene meno la stima tra i partner.
Pablo Neruda, amò, teneramente riamato per diciotto anni Delia Del Carril. Quando la loro storia cessò il poeta disse: «È stato bello, ma nessuna passione può essere considerata eterna». In seguito lo scrittore ebbe un’appassionata storia d’amore con la giovane cilena Matilde Urrutia, che divenne sua consorte, ma non rinnegò mai “la sua Delia”, che definiva dolcissima.
Amore equilibrato e maturo legò il compositore ungherese Zoltàn Kodàly ad Emma Gruber, compositrice ed esperta linguista, che lo aiutò nelle ricerche musicali. Emma, di origine tedesca, tradusse le opere di pedagogia musicale di Zoltàn, contribuendo alla loro diffusione fuori dall’Ungheria. Emma morì vittima di un incidente e lasciò il marito nella disperazione.
Una grande passione legò Yann Andréa Lemmée alla scrittrice francese Marguerite Duras. Quando Yann lesse un libro della Duras aveva vent’anni e lei sessantuno. Per cinque anni il giovane scrisse una infinità di lettere alla donna che l’aveva affascinato. Alla fine, nel 1980, Marguerite lo invitò a casa sua. Da quel momento Yann si trasferì nella dimora della scrittrice e i due vissero assieme in felicità e in simbiosi per sedici anni, fino alla morte della scrittrice, della quale Yann scrisse anche la biografia. Andrèa rimase distrutto dopo la perdita dell’amata e scrisse un secondo libro biografico sul rapporto con la donna che aveva cambiato la sua vita. Raccontò la storia dello sconvolgimento psichico e fisico causato della morte della persona che gli era “entrata fino al più profondo del suo essere”.
Una bellissima storia d’amore la troviamo in Danimarca, nel Settecento, tra Johann Friedrich Struensee, medico privato del matto re Cristiano VII, e Caterina Matilde, moglie di quel sovrano folle. I due si amarono teneramente ed essendo il re incapace d’intendere e volere, la regina, nominata reggente, passò allo Struensee un potere assoluto. Friedrich, statista d’alto livello, promosse numerose riforme: l’abolizione della tortura, la libertà di stampa, una legislazione progressista in materia matrimoniale e costituì una burocrazia efficiente.
Ma un gruppo di invidiosi a corte, facendo leva sull’opinione pubblica urtata dalla liaison tra ministro e regina, ordì una congiura. Lo Struensee venne giustiziato e la regina, cacciata dal regno tornò nell’Hannover dove morì di crepacuore. “L’invidia e bieco perbenismo, fecero perdere alla Danimarca un intelligente e buon riformatore e una amabile regina” commentò lo storico danese David Ghiuffer.
L’intesa amorosa, la configurazione romantica dei sentimenti, sono l’anima di ogni buon rapporto di coppia e la nostra cultura, fortunatamente, esalta e sollecita questi valori.
Quanto tempo è passato da quando, nel Medio Evo, si riteneva sconveniente che i partner si amassero, perché, si diceva, «l’amore è un sentimento così nobile che deve essere riservato esclusivamente per la divinità».

le coincidenze dell’amore (21)

A volte avvenimenti strani o eccezionali uniscono due persone che altrimenti mai avrebbero avuto modo d’incontrarsi.
Singolare per esempio fu la circostanza che legò il pianista australiano David Helfgott con l’astrologa Gillian. David schiacciato da un padre che lo volle ad ogni costo musicista di successo, ma che gli creò gravi complessi, dopo una serie di concerti di grande abilità, venne colto da collasso psichico e ricoverato in un ospedale psichiatrico. La sua vita sembrava finita nel ginepraio della follia. L’incontro fortuito con l’astrologa Gillian, donna intelligente e piena di intuito, lo salvò dalla disperazione. Dove i medici avevano fallito, Gillian riuscì: ella intuì il dramma del musicista e ebbe anche il coraggio di sposare “quel pianista matto”. David grazie all’aiuto della moglie, tornò a calcare i palcoscenici dei teatri di tutto il mondo. Sulle vicende che hanno legato i due è stato girato un film, Shine, ed esse stanno anche scrivendo a due mani la loro autobiografia. I casi della vita a volte possono produrre eventi straordinari: anche da un episodio di follia, può dar luogo come nel caso di David e Gillian, un grande amore
Fuori del comune fu pure l’occasione che rese possibile l’unione tra Paul Gauguin e la polinesiana Teha’amana, detta Theruna. Il grande pittore francese aveva sposato una danese, Mette Sophie, dalla quale aveva avuto cinque figli. Ma una crisi esistenziale gli fece abbandonare la famiglia e l’impiego in banca, e lo fece girare per l’Europa dipingendo come un forsennato. Dopo un soggiorno ad Arles, la rottura con l’amico van Gogh lo portò ad imbarcarsi per Hiva Oa, una delle remote Isole Marchesi, dove Gauguin incontrò quella donna, che abitava a oltre diecimila chilometri dalla Francia e che sposò col rito del luogo.
Poco nota è l’imprevedibile circostanza che portò Carlo Pisacane a legarsi con Enrichetta Lazzaro e in conseguenza di ciò, a diventare patriota. Carlo, come ogni perdigiorno, trascorreva molto tempo nelle alcove delle belle signore napoletane. A Napoli, reduce di molte battaglie, in quel tempo rientrò Dionisio Lazzaro, ufficiale di Sua Maestà Borbone e ufficiale molto noto per le sue gesta eroiche. Manco a dirlo Carlo gli sedusse la moglie. Dionisio infuriato giurò di fargliela pagare. Pisacane fuggì da Napoli seguito dalla moglie del Lazzaro, Enrichetta, che innamoratissima di Carlo, non volle perderlo e per lui abbandonò marito e figli. Quella fuga d’amore creò un immenso scandalo, perché il marito tradito pregò il re di Napoli di intervenire in tutte le corti d’Europa per bloccare i fuggitivi. Rifugiatisi a Londra, Carlo ed Enrichetta sfuggirono per caso agli arresti delle autorità inglesi, alle quali il re di Napoli aveva chiesto che fossero estradati. I due amanti ripararono fortunosamente a Parigi, ma anche qui vennero individuati dai gendarmi e solo grazie all’intervento del generale Guglielmo Pepe, che si trovava nella capitale francese, sfuggirono alla galera.
La vita dei due fuggitivi divenne un inferno e nemmeno la nascita di Silvia portò alla coppia un po’ di serenità. Fu così che Pisacane, sempre più perseguitato dal Borbone, decise di vendicarsi, partecipando nel luglio del 1857, all’impresa di Sapri. Ma in quella spedizione, ideata e condotta nel peggiore dei modi, Pisacane divenuto patriota per amore, trovò la morte.
Circostanze squisitamente politiche fecero conoscere Napoleone Bonaparte e Maria Łeczynska Walewska, moglie del nobile italiano Colonna e in seconde nozze, del generale d’Ornano. Maria Walewska, si fece ricevere dall’imperatore per implorarlo di salvare la Polonia dallo smembramento. Ma una volta al cospetto dell’uomo più importante d’Europa, capì che sarebbe andata oltre il programma politico a lei affidatole perché venne travolta dalla passione per Napoleone, il cui magnetismo la sedusse immediatamente. Anche Bonaparte s’invaghì talmente della bellissima donna che da lei ebbe un figlio, a cui venne imposto il nome di Florian, Alexander Colonna Walewski, che in seguito divenne un uomo politico di rilievo nella Francia post napoleonica.
Se non avesse avuto un animo patriottico, Maria Walewska non avrebbe mai incontrato il suo uomo ideale, e Napoleone non avrebbe avuto il sospirato figlio maschio.
Lo scrittore Jorge Luis Borges fu quello che Freud avrebbe chiamato “un figlio edipico. Finché visse sua madre egli rimase sempre dedicato a lei e non solo non volle mai legarsi a nessuna donna, ma impedì che anche una governante entrasse a casa sua. Quando ormai era sessantenne, persa la genitrice, Jorge gioco forza fu costretto a cercare una segretaria che facesse magari anche le veci della scomparsa. Il caso volle che proprio in quei giorni la giovanissima Maria Kodama aveva perso il posto in un’azienda dove lavorava perché la ditta era stata distrutta da un incendio. Sensibile e generosa, la Kodama assistette lo scrittore senza fargli pesare “la perdita della madre”. E non solo: colta e intelligente, la ragazza seppe arricchirsi dell’erudizione di Borges e scrisse e pubblicò anche due libri. Dopo dodici anni, Jorge Louis volle testimoniarle il suo affetto e la sua riconoscenza, sposandola; ma il loro amore, sebbene affettuoso, rimase platonico, dal momento che le angosce edipiche non avevano abbandonato lo scrittore. «Senza Maria – tuttavia ebbe a dire Borges – una parte della mia produzione non sarebbe potuta essere stampata: è stata lei che mi aiutato a rivederla»
Flavio Giulio Valerio, colui che diventerà l’imperatore Costanzo I° Cloro (cioè verde) (così detto per via del suo viso pallido), mentre passava con la sua scorta da Drepane, piccolo e sperduto paesino della Bitinia, si dissetò in un’osteria e poté così ammirare le fattezze della figlia dell’oste, la vivacissima Elena. Quando ripartì portò con sé quella bella ragazza, e ne fece la sua concubina. Una vicenda di poco conto, sembrerebbe, ma che ebbe invece un peso rilevante persino nelle sorti del Cristianesimo. In seguito Costanzo sposò la figliastra di Massimiano, Teodora, per essere aiutato a salire al trono alla morte di Diocleziano. Elena, essendo di umili origini, non sarebbe potuta diventare imperatrice. Ma la figlia dell’oste di Drepane, con la quale Costanzo, buongustaio in fatto di donne, aveva un bel rapporto, voleva ad ogni costo portare avanti la candidatura del proprio figlio Costantino, avuto dall’uomo che la teneva in concubinato, e che era diventato imperatore, affinché potesse governare a Bisanzio dopo la morte del padre. Così, da intrigante, autoritaria e senza scrupoli qual era, Elena si adoperò per emarginare l’imperatrice Teodora e i di lei figli. Elena, che con gli uomini ci sapeva fare, restò dunque al fianco dell’imperatore esercitando una notevole influenza sulle vicende politiche della corte dell’Impero d’Oriente e persino in questioni religiose.
Sebbene l’aristocrazia senatoriale la disprezzasse e apostrofasse Costantino «figlio di concubina», Elena, alla morte di Costanzo, riuscì ad assicurare al figlio la successione al trono. Ma l’azione di quella donna non si fermò a questo: si fece assegnare dal figlio il titolo di Augusta diventando così la prima donna dell’Impero. La storia di Elena da qui in poi è più nota a tutti: nel 327 si convertì, e influì a sua volta sulla conversione del figlio, contribuendo a creare in Oriente un impero Cristiano.
I casi della vita: se Costanzo Cloro non fosse passato quel giorno da Drepane, non si sarebbe invaghito della giovane Elena, i due non si sarebbero messi assieme e tanta storia d’Europa e d’Oriente si sarebbe svolta in altro modo.

i partner imposti e quelli scelti male (25)

Nell’antichità, soprattutto in ambienti sociali elevati, imporre il partner era una pratica inveterata che rendeva infelice la coppia e in qualche caso suscitava tragiche vicende.
In Egitto, Cleopatra, per motivi dinastici, dovette sposare il più giovane dei suoi fratelli, Tolomeo XII Dioniso, che risultò degenerato e mezzo citrullo.
Nel Medio Evo, Rosmunda, figlia di Cunimondo, re dei Gepidi, prigioniera dei Longobardi, fu costretta a sposare il loro re Alboino. In seguitò vendicò l’affronto seducendo Elimichi, luogotenente del re, e inducendolo ad uccidere il sovrano. Dopo il delitto, Rosmunda fuggì a Ravenna con Elmichi, ma Longino, per salvarle la vita, le impose di uccidere l’amante. Elmichi, più svelto, fu lui a sopprimere Rosmunda.
Nel XVI secolo il capo di una nobile famiglia, Francesco Cenci, crudele e dissoluto, “impose se stesso” come partner alla figlia Beatrice, che, pare, fosse di rara bellezza. La ragazza subì le attenzioni del padre fino a quando con l’amante Olimpio Calvetti e i fratelli, diede vita a una congiura che eliminò il feroce Francesco.
Scoperti, i congiurati furono mandati tutti al patibolo.
Tra le famiglie reali era quasi una regola che i matrimoni avvenissero per imposizione.
In Austria Maria Antonietta non era stata istruita per fare la regina fino a quando morirono le sorelle maggiori per un’epidemia di vaiolo. A quel punto toccò alla “selvaggia” Antonietta sposare il Delfino di Francia. La giovane principessa aveva solo undici anni ed ignorava l’etichetta; ma dopo un tirocinio di tre anni, imparò a comportarsi regalmente e ad essere esperta delle vicende amorose. Dopo il matrimonio, il frastornato Luigi XVI, per sette anni non volle dormire con la regale consorte. Il grassoccio e svagato ragazzo che la quindicenne Antonietta aveva sposato preferiva i dolci, il vino, il gioco delle carte e i trastulli solitari. La regina superò le frustrazioni scialacquando nel lusso più insensato.
Luigi XVIII sposò Maria Giuseppa di Savoia, per procura. Poiché la fotografia non era stata inventata, il re conobbe Maria solo dopo il matrimonio: lei non era una bellezza e Sua Maestà ne rimase deluso. Stando così le cose, Luigi rifiutò ogni contatto con la moglie la quale subì stoicamente l’umiliazione e il disprezzo del coniuge. Le qualità della regina, umanità e sensibilità, che non interessarono al marito furono apprezzate da Marguerite Goubillon, sua dama di compagnia, la quale si legò sentimentalmente alla sovrana.
La colta e raffinata contessa Teresa Guiccioli, figlia del conte Gamba-Ghiselli, per volere paterno sposò il vecchio conte Alessandro Guiccioli, attempato e “all’antica”, oltre che bigotto e poco galante. Teresa desiderosa di conoscere gente allegra e di sentirsi corteggiata si trovò inguaiata in un matrimonio mai non consumato. Dopo anni di cruccio, superando, come scrisse nell’autobiografia, le “ipocrite” leggi morali, Teresa divenne l’amante del poeta Byron.
Re Carlo Alberto soffrì l’amarezza di un amore contrastato che lo rese più austero e depresso. La ragion di Stato impose che sposasse Maria Teresa d’Austria, verso la quale non provava trasporto, mentre Carlo amava, riamato, la contessa Maria Antonietta Truchsess di Robilant, moglie di uno dei più prestigiosi ufficiali della corte torinese. Questa liaison durò più o meno segretamente oltre vent’anni.
Nel ‘900 un altro Savoia, Umberto II dovette sposare Maria José, che lui non amava. Sebbene la sposa avesse molte qualità, esse non rispondevano ai requisiti che il principe cercava in una compagna. Umberto, che era innamorato dell’attrice Carla Mignone, in arte Milly, non si rassegnò mai ad avere per moglie Maria Josè.
Sono tanti i Paesi nei quali, e non solo per motivi dinastici, ancora il marito o la moglie vengono imposti. In India, per esempio, il partner è quasi sempre scelto dai genitori. In quel Paese l’amore è una faccenda secondaria nel contratto matrimoniale e alla donna è chiesto di realizzare qualche piccolo lusso per il marito. Spesso nel contratto essa s’impegna a procurare al coniuge un televisore o uno scouter. Se dopo non riesce a farlo, viene malmenata dai familiari dello sposo, e in qualche caso uccisa per dar modo allo sposo di trovare un’altra donna che gli procuri ciò che la precedente non era riuscita a fargli avere.
Non solo l’unione imposta, ma anche la scelta sbagliata del partner comporta problemi. Può accadere che il partner “errato” dopo un po’ non sia più come agli inizi: diventa iracondo, senza attenzioni, e persino manesco. A volte è la donna a non mantenere le doti di dolcezza e di comprensione manifestate in precedenza. In questo modo dissapori, malumori e incomprensioni fanno da sottofondo quotidiano all’unione.
La scrittrice Tina Pizzardo, personalità intelligente e indipendente, ebbe una crisi esistenziale quando comprese che il suo partner, Cesare Pavese, era per lei l’uomo sbagliato. Tina si era illusa che sarebbe stato la sua guida, il suo riferimento culturale e psicologico. Purtroppo Cesare, nell’intimità, si dimostrò immaturo e infantile. La scrittrice sopportò per un po’ l’ipocondria dello scrittore perché, avendo compreso che Cesare era fragile, provava sensi di colpa a troncare quel menage. Ma poi, avvertendo che la sua vita accanto a quell’uomo peggiorava giorno per giorno, tagliò il “cordone ombelicale” che la univa a Pavese, il quale, come la scrittrice affermò, «era sempre più in preda a devastanti autocommiserazioni e implorava amore, come un cane che guaisce».
Lola Montez a quindici anni fuggì dal collegio e sposò un capitano di marina; ma la sua impulsività le fu cattiva consigliera: l’uomo si dimostrò rude e violento. Quando la Montez chiese l’aiuto dei parenti per liberarsi dal marito costoro le impedirono di troncare il matrimonio: «la donna è l’angelo del focolare e non deve mani abbandonarlo». A Lola non rimase che subire le insolenze di quel mascalzone. Ma alla fine, disperata, fuggì dal torturatore, studiò danza classica e divenne una diva apprezzata.
Il suo senso di libertà e la sua gioia di vivere avevano avuto il sopravvento.
Lucia Bosé comprese poco dopo avere sposato Dominguin che s’era messa con l’uomo sbagliato. Tuttavia, legata ai principi e ai pregiudizi borghesi, si rassegnò. Il toreador che per conquistarla aveva sfoderato le sue arti di seduttore, dopo le nozze, non solo tornò ad essere il consueto conquistador de mujeres, ma prese a snobbare la moglie che non accettava la “coppia aperta” e a esibirle, forse anche per sfregio, apertamente e con crudele narcisismo, le proprie plateali distrazioni. Dopo dieci anni, stanca e avvilita, Lucia trovò la forza per dividersi da quell’uomo.
La scrittrice Lietta Tornabuoni desiderando emanciparsi in fretta si sposò a 18 anni, ma si accorse poco dopo di avere commesso un errore. Li per li non ebbe il coraggio di separarsi, in seguito riuscì a farlo: «Dopo sei anni ho trovato la forza per troncare. Da allora non sono più vissuta con un uomo. Non che non sia stata più innamorata, o che non abbia avuto legami felici, li ho avuti, ma con la libertà interiore di “mollare” se non andavano più bene».
Purtroppo anche quando la scelta avviene liberamente e personalmente può risultare sbagliata. In molti casi però il buon senso e la buona volontà di entrambi riescono a salvare la coppia, in altri, invece, nessun accomodamento e nessun compromesso risulta possibile, e tuttavia, alle persone troppo preoccupate di fare “una brutta figura sociale” è difficile troncare persino il rapporto più sgradevole e insopportabile.
Ma saper spezzare la catena a volte fa la differenza tra una vita serena e una infelice.

le unioni “di facciata” (41)

Spesso, soprattutto tra gente che vuole (o deve) curare la propria immagine pubblica, certe unioni sono determinate da motivi politici, commerciali, dinastici, e persino pubblicitari, piuttosto che da un vero trasporto.
A volte è anche l’incapacità a saper scegliere che porta a unioni del tutto formali, quelle che cioè non hanno un substrato d’intesa. In tutti questi casi la coppia vive in funzione della “facciata sociale”.
La sorella della regina d’Inghilterra, Margaret, negli anni 50 del 900, innamoratissima di Peter Towsend, un ex scudiero, avrebbe voluto sposarlo. Ma il suo desiderio fu contestato dalla Corte, dal Governo e dalla stessa Elisabetta la quale invitò la sorella a fare “un matrimonio accettabile per la Corona”. Margaret, nel 1953 sposò Antony Armstrong-Jones, ma l’unione tra i due rimase solo formale, e quando l’apparente intesa venne meno, Margaret finì depressa.
Il caso di Diana Spencer e del Principe di Galles, Carlo d’Inghilterra è emblematico. Carlo amava Camilla Shand, (oggi meglio conosciuta come Camilla Parker Bowles) ma la relazione imbarazzava le alte sfere religiose inglesi e la Corona. L’erede al trono fu pertanto invitato a scegliere una donna che potesse entrare a Corte senza dare problemi. Ma tra Carlo e Diana fu una unione di facciata: il Principe di Galles continuò ad amare Camilla, e Diana, infelice, cercò altrove consolazione. Per anni, tuttavia, i due nascosero il loro imbarazzo e mostrarono in pubblico di essere una coppia unita!
Anche il matrimonio tra John John Kennedy e Carolyn Bassette, una stilista molto nota, dava l’impressione di essere felice. Ma in realtà i due tennevano “una facciata” pubblica, per contentare le ambizioni della frist family d’America, ma la loro unione non era affatto felice. Quel matrimonio era stato caldeggiato dal clan dei Kennedy, e aveva indotto a sognare gli americani che vedevano nei due sposi un replay del matrimonio del presidente John Fitzgerald con Jaqueline Bouvier. Ma invece tra Carolyn e John John non v’era intesa. Carolyn iraconda era schiva della droga, e John John remissivo e poco determinato non sapeva condurre il rapporto. Malgrado la famiglia Kennedy facesse di tutto per far apparire “felice” quella unione, i due vivevano separati. In pubblico, però, per ottemperare ai doveri sociali, si mostravano “uniti”. Purtroppo, quel matrimonio ebbe una fine tragica: l’aereo pilotato da John John nell’estate del 1999 si inabissò nei pressi dell’isola Martha’s Vineyard.
Un matrimonio di facciata fu anche quello di un’altra Kennedy, Kerry, figlia di Bob Kennedy, con Andrew Cuomo, rampollo dell’ex governatore di New York. L’unione voluta per fini politici, dopo 13 anni venne meno malgrado i due, in pubblico, facessero buon viso a cattivo gioco per non dispiacere i loro “clan”.
Anche l’unione tra Maria Callas e Aristotele Onassis è un esempio di unione di facciata. Maria s’invaghì del miliardario perché Meneghini, il suo primo marito era parsimonioso, e la diva, all’apice del successo voleva ostentare il successo della carriera anche con la ricchezza.
Onassis unendosi alla Callas volle forse mostrare di apprezzare la cultura musicale, dote della quale era del tutto carente. Ma i nodi vennero al pettine a causa del divario di interessi e di esperienze che separava i due.
Di facciata fu anche il matrimonio tra il regista Fritz Lang e la sceneggiatrice Thea von Harbou. Il produttore Erich Pommer li fece conoscere nel 1916, perché li utilizzò come soggettisti e sceneggiatori. Quando Lang passò alla regia, la von Harbou scrisse tutti i suoi copioni. Nel 1924 Thea divorziò dall’attore Rudolf Klein-Rogge, e Pommer spinse i due a dare “una facciata” al loro sodalizio artistico: «Pensate come sarebbe bello se la gente vi vedesse uniti nell’arte e uniti nella vita». I due erano però di sensibilità e ideologie discordanti. Lang era figlio di una ebrea, e Thea una militante del partito nazista. La donna, non sopportando il pacifismo del marito denunziò Lang alle SS come ebreo. Avvertito da un amico, il regista fuggì in tempo, assieme a Pommer, prima in Francia e poi negli Usa.
La scrittrice Charlotte Brontë fu protagonista di una storia d’amore disastrosa con Constantin Héger. Costui, un insegnante belga in apparenza culturalmente brillante e carismatico, era debole di carattere. Inoltre Heger che la scrittrice amava perdutamente era marito della padrona della casa nella quale la Brontë abitava a Bruxelles. Costantin, da debole, non solo non si decise mai ad abbandonare la moglie, cosa sulla quale del resto Charlotte non insisté, ma rese infelice la scrittrice con ripicche, gelosie e prevaricazioni.
Alla fine la trentottenne Charlotte, non sopportando più le ambiguità dell’amante, per dare alla sua immagine una esteriorità sociale, sposò il reverendo Nicholls. Ma questo rapporto fu una “unione di facciata”. Infatti i due era molto diversi per carattere e per ideologia. Il matrimonio di Charlotte ebbe però breve durata: alla prima gravidanza la scrittrice, travagliata da complicazioni ginecologiche, finì nella tomba.
A Palermo, a cavallo tra l’800 e il 900, si svolse una vicenda davvero incredibile. Il tenente colonnello dei Bersaglieri Giacomo Barraia-Zacca, di nobile casata, s’innamorò di una leggiadra ragazza che conobbe “a distanza”, mentr’ella era sul balcone. Infatti Giacomo, per andare in caserma, passava e ripassava per viale Libertà, e così ebbe modo di notare più volte la bellissima fanciulla affacciata.
Poiché a quel tempo era impossibile avvicinare la donna di cui si era invaghiti, perché l’etichetta imponeva che l’innamorato si facesse avanti presso la famiglia della prescelta con proposte serie, Giacomo, dopo essersi informato delle generalità della ragazza, mandò un intermediario a casa del padre della fanciulla, per fissare, com’era consueto farsi allora, un colloquio per determinare le modalità del fidanzamento. Il barone Colajanni, genitore della ragazza, soddisfatto delle referenze avute sul giovane, lo invitò assieme alla di lui famiglia per la presentazione ufficiale della figlia.
L’incontro tra consuoceri e futuro genero si svolse in un’atmosfera armoniosa nel salotto roccocò. Alla fine del colloquio il nobile padre della sposa, fece introdurre la figlia perché potesse incontrare finalmente lo spasimante e la sua famiglia. La ragazza entrò nella stanza felice e raggiante e andò incontro al tenente colonnello il quale, invece, alla vista della “promessa sposa” rimase di stucco. Era accaduto un fatto imprevedibile e spiacevole: per un errore di identificazione, Giacomo aveva chiesto, poco prima, al barone padre, in sposa la figlia Carola, ma in realtà non intendeva indicare con quel nome quella ragazza, perché quel nome gli era stato suggerito erroneamente dal mediatore, ma l’altra figlia del Colajanni, Anna Maria.
Così, alla vista di Carola, Giacomo ebbe uno sbandamento. La gaffe era enorme, e il tenente colonnello non ebbe il coraggio chiarire l’increscioso equivoco, né tanto meno di disilludere la ragazza la quale, anche lei, nei mesi passati, aveva adocchiato il bel militare che passava speso sotto casa e aveva immaginato che dedicasse a lei quelle passeggiate. Infatti, vedendo la ragazza felicissima il Barraia-Zurria non ebbe la prontezza di confessarle l’equivoco. A quel punto, l’onore militare, gli impose di mantenere fede a ciò che aveva promesso solennemente al suocero. E così Giacomo, controvoglia, per non “fare brutta figura”, sposò Carola. Per lui fu un matrimonio di facciata, perché Anna Maria rimase sempre nel suo cuore.
Certo, ai giorni nostri questo tipo di sensibilità è venuta meno da un pezzo.
Ma, tutto sommato, forse è meglio così.

il partner ideale (35)

Poiché gli esseri umani sono straordinariamente differenziati e le loro personalità sono eterogenee, non esiste il partner ideale per tutti. Ogni individuo ne sceglie uno ritenendo che sia l’ideale. Sono vari i motivi per i quali viene preferita una persona piuttosto che un’altra; nella scelta, i punti di vista sono assolutamente personali, tant’è che l’attrazione fatale dipende da parametri soggettivi.
C’è chi s’invaghisce per una attrazione fisica, chi è affascinato da un particolare tipo; a volte può intrigare, come “modello ideale”, un aspetto insolito di una persona. Si può essere infervorati da un incontro esaltante, ma non sempre sono valutati gli aspetti “sconsigliabili” della persona che ci intriga.
Le persone “a rischio”, da “attenzionare”, hanno varie caratteristiche.Alcune hanno manie di grandezza, altre sono particolarmente volubili, altre ancora sommergono gli interlocutori raccontando i loro problemi, ma non ascoltano quelli degli altri. Da evitare sono sia le persone che pretendono di regolare minuziosamente la vita altrui imponendo abitudini e gusti; che quelle cronicamente incapaci di ammettere le proprie colpe. Anche le persone testarde e quelle esageratamente gelose sono da scartare, così come quelle che sono rimaste con una personalità infantile anche da adulte. Ed anche quelle che hanno sempre idee, programmi, interessi, diversi dai loro partner e che inoltre non transigono.
Vedere dunque quali caratteristiche a rischio sono presenti in chi ci affascina, è essenziale per evitare sgradite sorprese. Chi fa coppia con un soggetto “a rischio” deve essere in grado di fronteggiare incoerenze e sventatezze del partner “difficile”. E sono anche partner a rischio persone che, pur suscitando un’irresistibile attrazione, per alcuni aspetti costituiscono un pericolo.
Molti ménage, iniziati senza riflettere e gestiti con inesperienza, invece di essere il luogo della felicità, diventano una insopportabile oppressione.
Se l’amore è requisito essenziale per un buon inizio, esso è anche il versante più fragile e meno stabile del ménage: se viene meno, crolla l’edificio che su esso era costruito.
Nei tempi passati l’amore era considerato un optional. Privilegiate erano le condizioni che assicuravano stabilità al rapporto: la capacità della donna di fare molti figli e l’adattabilità a fronteggiare le avverse circostanze della vita.
Il partner veniva scelto per convenienza. Il legame s’instaurava tra persone della stessa categoria e nell’ambito della prossimità sociale (contadini con contadini, camerieri con camerieri, nobili con nobili, etc. etc.).
Quando si attribuì all’amore l’essenza più importante dell’unione, s’intromise un fattore di vulnerabilità. Privilegiando romanticamente il sentimento e il colpo di fulmine, che per sua natura è irragionevole e travolgente, si rischiò che le unioni dipendessero dai capricci del “cuore”. La preminenza dell’amore nella scelta del partner, lungi dal cementare il rapporto, può infatti essere causa di precarietà dello stesso.
Nei secoli passati le unioni erano meno aleatorie, più stabili, perché l’amore aveva un peso trascurabile. Se veniva meno non produceva una destabilizzazione del rapporto. Nei tempi moderni il legame romantico, estroso e imprevedibile, ha paradossalmente reso più insicuro il ménage. Se il sentimento muta, l’unione è finita.
Nel ‘500, il filosofo Montaigne esortava a frenare la passione amorosa, e ad evitare il sentimento smodato perché diceva: “complica il rapporto”. S. Tommaso sconsigliava il matrimonio scaturito da passione violenta. San Gerolamo addirittura vietava l’amore tra coniugi, temendo che la passione terrena distogliesse quella per Dio. Secondo Chateaubriand l’amore tra coniugi è pericoloso perché se viene meno, il rapporto si sfalda.
Cesare Ottaviano Augusto, persuaso assertore della pericolosità dell’amore, si era fatta questa convinzione seguendo le vicissitudini di Giulio Cesare, travolto dalla passione per Cleopatra. Ottaviano meditò a lungo anche sulla sorte del proprio rivale, Marc’Antonio, costretto a stravolgere la propria politica per accontentare l’amata regina d’Egitto. E così Ottaviano si guardò bene dall’innamorarsi di chicchessia e si dichiarò sempre “vaccinato” dall’amore.
L’imperatore Elio Vero, salito al trono nel 136 d.C., non disdegnava altre donne oltre la moglie. A chi lo rimproverava rispondeva con sussiego: «Lo faccio per salvaguardare il mio matrimonio: amare oltremisura una persona è pericoloso».
Scusa maliziosa, che segnala però come la maggior parte della gente la pensava a quel tempo.
Elisabetta I° d’Inghilterra affermava che l’amore, «sentimento che fa perdere la testa», era un lusso che una regina non può permettersi, perché «assieme alla testa, potrebbe perdere anche il trono». Elisabetta sceglieva i suoi preferiti tra i più meritevoli di stima, ma cercò di non innamorarsi mai di nessuno di essi.
A partire dall’Ottocento si sostenne che l’amore rende il rapporto indistruttibile. Da allora difficilmente due persone si mettono assieme se non si amano davvero (o quanto meno se non “credono” di amarsi). E tuttavia, quelli che non riescono a gestire l’amore nelle sue molteplici sfaccettature restano intrappolati in un legame che può diventare un assillo dirompente.
Anna Magnani fu vittima dell’amore: le sue passioni finirono puntualmente nelle secche del fallimento. Anna non sapeva scegliere i partner e di conseguenza non riusciva ad evitare quelli “a rischio”. Dopo un periodo d’intensa passione, finiva l’incanto e l’attrice cadeva nella disperazione. Accadde con Osvaldo Ruggeri, con Goffredo Alessandrini, con Massimo Serrato, con Roberto Rossellini.
Alla fine la Magnani si convinse che «i grandi amori bisognava accettarli senza farsi illusioni e soprattutto senza immaginarli eterni».
Per far durare un ménage, bisogna allora sconsigliare l’amore?
No di certo: e del resto non si concepisce più una coppia che non ostenti amore.
Ma per scegliere il partner giusto serve l’uso dell’intuito e della ragione e soprattutto è necessario avere la fermezza necessaria per evitare quello sbagliato.

partner gregari e partner prevalenti 5

Nel ‘700, il narratore veneto Carlo Gozzi asseriva che le situazioni della commedia umana si possono raggruppare in alcuni schemi tipici. Affermazione che ha un fondo di ragione, se si considera che le vicende narrate dalla letteratura si riassumono in alcune figure psicologiche, così come è possibile sintetizzare in poche tipologie i rapporti di coppia.
Afferma lo psicoanalista Binswanger che, se c’è pur sempre un margine di libertà, tuttavia vi sono alcuni “schemi di lettura ” che servono a decifrare il significato dei comportamenti umani. Questo aiuta a individuare la caratterologia dei partner e il tipo di relazione.
Un carattere tipico è quello del partner gregario, persona incapace di vivere da sola, piscodipendente, e sicura solo quando ha accanto un compagno dominante. Per questo motivo, il partner gregario è disposto a qualsiasi sacrificio pur di mantenere il legame. A causa dell’educazione ricevuta, spesso, ma non sempre, sono le donne ad essere partner gregarie. Se il gregario è un maschio, vuole essere accudito e coccolato e, in qualche caso, per raggiungere lo scopo si mostra incapace e vittima.
I gregari, sia maschi che femmine, soffrono di insufficiente autostima; paradossalmente, però, utilizzano il loro istinto gregario per “strumentalizzare” gli altri ai propri bisogni.
Partner gregario fu Emilio Salgari. A causa di un’infanzia solitaria, Salgari considerava le donne “dee irraggiungibili, avvolte da una luce abbagliante, creature magnifiche e bellissime”, ma anche esseri superiori. Dopo avere sposato la Peruzzi, Salgari riuscì meglio a fronteggiare il bisogno d’essere accudito. Ma quando venne a mancargli la moglie, immaginando di restare senza sostegno, sconvolto dalla depressione, pose fine ai suoi giorni.
Il partner prevalente invece, è dotato di una personalità che tende a sottomettere, se non addirittura a rendere succube l’altro. Nella coppia, si potrebbe supporre che siano più gli uomini ad essere prevalenti, ma non è affatto così: molte donne assumono un ruolo materno e un atteggiamento dirigenziale.
Una unione tra maschio prevalente e una gregaria fu quella tra James Joyce e Nora Barnacle. Nora amò con passione lo scrittore, mentre egli si mostrava infastidito dalla sua compagna che, addirittura, definiva persona “incolta”. Joyce sperava di fare un buon matrimonio con una donna ricca, ma non avendo trovato la persona adatta, dopo ventisette anni, finì con lo sposare la devota Nora che gli era rimasta legata malgrado i profondi dissapori e il disprezzo che lo scrittore le aveva mostrato.
Quando è la donna a prevalere, a volte il suo atteggiamento dipende da una inconscio risentimento verso il mondo maschile, rancore che fa scattare il vittimismo del compagno gregario e che origina un ménage sadomaso.
Di questo tipo fu la coppia Abramo Lincoln e Mary Todd. Lincoln, fu per tutta la vita sottomesso alla moglie, donna autoritaria e violenta, tant’è che il poveretto preferiva non rincasare e dormire in ufficio. Ma l’assenza di Lincoln aumentava la rabbia della donna che se la prendeva con i figli, con la servitù e anche con i fornitori. Il presidente, di conseguenza, ebbe del matrimonio una pessima opinione tant’è che, quando, durante la Guerra di Secessione, un giovane soldato venne accusato di diserzione e il comandante del reggimento chiese a Lincoln di dargli una punizione esemplare, il futuro presidente, saputo che il giovane aveva tentato la fuga per andarsi a sposare, non lo fece fucilare: anzi, gli concesse la grazia a patto che si sposasse subito.
«Ecco – commentò Lincoln – costui presto si pentirà di non essere stato giustiziato».
Anche la pedagogista Maria Montessori fu sottomessa al collega Giuseppe Montesano, col quale aveva una relazione dalla quale era nato un figlio. Dopo il parto, il Montesano, che era il prevalente della coppia, impose a Maria d’abbandonare la creatura in un brefotrofio “per non incorrere in uno scandalo”.
Carattere prevalente fu quello di Bertold Brecht, soprannominato “bel tenebroso” perché il suo fascino e la sua accattivante filosofia immorale, facevano andare in tilt le donne. Brecht, fu un manipolatore di coscienze femminili. Tra le sue “vittime” vi fu Ruth Berlau, che finì alcolizzata. Partner prevalente fu Ernest Hemingway, che si mostrava macho per celare le proprie carenze affettive e le proprie insicurezze.
Carattere prevalente fu anche quello di Italo Svevo. Così egli scrisse alla fidanzata: «Ti sento più che mai mia preda…». E in un’altra lettera inviata a Livia Veneziani, sua promessa sposa, così si espresse: «Com’è cosa bella la violenza in amore. Sai perché mi piace che tu sfuggi? Perché tu non ne vuoi sapere e mi tocca farti violenza».
Prevalente fu la moglie di John Lennon, Yoko Ono, la quale teneva saldamente in pugno il marito e lo costringeva a fare quello che lei voleva. Lei imponeva a John prescrizioni scaramantiche cervellotiche e lunghe astinenze di cibo e sessuali perché, secondo Yoko, il sacrificio e l’astensione dai piaceri lo avrebbero condotto al nirvana e alla chiaroveggenza.
Lennon sopportava senza ribellarsi quelle restrizioni, per un certa passività psicologica. La moglie, per “purificargli la carne”, lo costringeva a guardare la televisione senza l’audio e lo obbligava a non profferire parola per settimane, e lo faceva rimanere a letto per non violare la consegna del silenzio.
La coppia paritetica, invece, è formata da partner che non si prevaricano e non mostrano troppe debolezze emotive. Nei partner paritetici prevale l’equilibrio. In questo genere di legame v’è reciproca amicizia e collaborazione e nessuno dei due sopporta l’invadenza dell’altro, sicché ragionevolezza e discrezione sono alla base di questo rapporto.
I paritetici si comportano senza tirannie; non sono né feticisticamente legati tra loro, né pretendono di avere ruoli protettivi, o atteggiamenti invadenti. Essi sono in grado di vivere la loro stagione amorosa senza sognare improbabili perfezioni, ed utilizzano invece il buon senso.
Paritetiche furono, per citare qualche esempio, le relazioni di Jean P. Sartre con Simone de Beauvoir, il matrimonio dei coniugi Pierre e Marie Curie, le unioni tra Albert Schweitzer e sua moglie Helene Bresslau; tra Cesare Beccaria e Teresa Blasco, tra Bertrand Roussell e Lady Ottoline, e quella della coppia omosessuale Jean Marais e Jean Cocteau.
Il personaggio di Mirandolina, protagonista de La Locandiera di Goldoni e della commedia del tedesco Carlo Blum, che si titola Mirandolina, definisce i lineamenti psicologici della partner paritetica: essa è una donna che, con garbo, determinazione e astuzia si fa valere.
Questa “maschera” rappresenta la libertà dell’irriverenza nei confronti dei luoghi comuni, la parità tra i sessi, e l’affermazione della donna di buon senso.
Mirandolina col suo amore semplice e sincero fronteggia sia le persone più dure che quelle conformiste. Il ménage ravvivato da questo genere di donna, allegra ma nello steso tempo ferma nelle proprie determinazioni, disinnesca l’alterigia, gli egotismi e la superbia del maschio.
Ci si può chiedere se la coppia paritetica è sempre a lungo termine oppure può anch’essa arrivare alla separazione. Se sopraggiungono avvenimenti che fanno cessare l’intesa, i due, dopo aver cercato di “ricucire” le conflittualità, proprio perché vivono di buon senso, non s’intestardiscono a restare assieme. Così, esaurito ogni tentativo di rappacificazione, finiscono col separarsi.
Paradossalmente, invece, è difficile che si disgreghi il ménage in cui uno dei partner è nevroticamente succube dell’altro; o quello in cui il partner prevalente è impegnato a demolire la personalità del gregario, il quale, utilizzando pinte masochistiche, non riesce a riscattare la propria libertà e a liberarsi della schiavitù di un rapporto di coppia che lo soffoca.

Sindrome di cleropatra e complesso del dongiovanni (39)

Nella nostra epoca le apparenze a volte valgono più della sostanza e soprattutto il sex-appeal apre le porte del successo più di ogni altro valore, più della cultura e talvolta persino più dell’intelligenza.
Convinti che la bellezza sia tutto, alcune donne e alcuni uomini che ne sono dotati particolarmente se ne servono cinicamente. La sindrome di Cleopatra è il disturbo sexy-narcisistico che colpisce donne che si ritengono “fatali”. Chi è affetto dal complesso del “dongiovanni” incarna l’archetipo del libertino, cinico ma irresistibile. Superbia e fierezza, egocentrismo e vanità, ostentazione di raffinatezza e, nel contempo, arroganza, ambiguità e irrisione, sono tratti comuni ad entrambe le incarnazione del narcisismo, quella femminile e quella maschile.
Tuttavia, secondo gli psicologi, le persone narcisiste nascondono a malapena una “nevrotica” profonda disistima di sé e così sono, paradossalmente, angosciate.
Il loro narcisismo copre appena le loro insoddisfazioni interne.
L’atteggiamento definito “gallismo”, o “dongiovannismo”, è presente sia nella vita che nella letteratura, così come è comune nella vita e nella letteratura la sindrome di Cleopatra. Per fare degli esempi letterari, il protagonista de “Il bell’Antonio”, di Brancati è il clou della vanità maschile, e Madame Bovary di Flaubert è l’emblema della esibizione narcisistica femminile.
Cleopatra, viziata dal padre, era vanagloriosa, tronfia e dominata da smisurata passione per il potere. Non era bella, ma il suo sex-appeal era irresistibile. Narcisista, astuta, era sicura di arrivare dove voleva utilizzando il proprio eros.
Quando il vecchio Pompeo inviò il figlio in Egitto per “trattare” un’alleanza con la regina, Cleopatra si concesse al giovane, credendo che costui avrebbe sostituito il padre nella guida di Roma. Ma fece male i suoi calcoli: il vecchio Pompeo fu sconfitto da Giulio Cesare. Cleopatra, allora, senza esitazione, abbandonò il figlio del vinto, ed entrò nel letto del vincitore Giulio Cesare e con l’uso appropriato di moine e leziosaggini, lo incantò. Quando questi fu ucciso, la regina non si perse d’animo e sedusse Marc’Antonio, divenuto il numero uno. Costui s’innamorò perdutamente di Cleopatra, ebbe da lei tre figli. Con smodata volontà di primeggiare, l’egiziana spinse l’amante ad attaccare Ottaviano per conquistare l’Impero. Antonio venne però sconfitto e si uccise. Cleopatra non si diede per vinta. Andò da Ottaviano Augusto, nuovo numero uno, sfoderando l’accattivante sex-appeal col quale aveva abbindolato Cesare e Antonio. Ma Ottaviano non si lasciò ammaliare, e la regina,vistasi perduta, pose fine ai propri giorni.
I casi simili a quello di Cleopatra in cui vi è un ossessivo desiderio di primeggiare, hanno origine da un’infanzia vissuta al centro dell’attenzione oppure derivano, viceversa, da un’infanzia sfortunata come quella di Cenerentola, in cui è andato tutto storto. In ogni caso, i comportamenti delle cleopatre e quelli dei dongiovanni testimoniano l’esistenza di ferite narcisistiche e la conseguente necessità di “risarcimento” che si manifesta nel bisogno di essere sempre al centro dell’attenzione.
Esibizioniste, mitomani e seduttive furono Messalina e Agrippina. Egocentrica e narcisista, Zoe, figlia di Costantino VIII, accolse nella propria alcova gli uomini che le potevano consentire la conquista del potere. La nobile romana Marozia faceva leva sul proprio charme per dominare in politica. Fu amante di papa Sergio III, e grazie a ciò poté spadroneggiare in Roma. In Francia, la Pompadour, con le sue moine e richiami erotici manipolò il monarca tant’è che chi voleva far carriera doveva rivolgersi a Madame, e magari passare dal suo letto.
Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione, cugina e amante del Cavour, con la sua provocante bellezza dominò molti politici, tra cui Napoleone III, che, affascinato da quella “stupenda creatura”, intervenne in favore dell’Unità d’Italia.
Barbara Hutton, miliardaria egocentrica e vanesia, ebbe tutto ciò che voleva. Ebbe molti mariti e molti amanti, ma fu infelice. Temendo che gli uomini l’amassero per i suoi soldi, trattò tutti con alterigia e, come accade in questi casi, non ebbe mai amici sinceri. Smaniosa del successo Zsa Zsa Gabor, fascinosa, altezzosa e spregiudicata, visse alla ricerca della popolarità e del dominio sugli altri. Sebbene si mostrasse briosa, Zsa Zsa in privato era infelice. Le persone narcisiste ritengono le mancanze di attenzione nei loro riguardi cocenti e disastrose sconfitte. Afflitte da una maniacale paura del giudizio della gente, queste persone sono timide anche se in pubblico si mostrano aggressive e sferzanti. In realtà, esse sono sempre in bilico tra entusiasmo sfrenato e depressione devastante, e vanno incontro a gravi defaillance.
Barbara Stanwyck all’approssimarsi della vecchiaia affogò nell’alcol la sua depressione. Greta Garbo, a trent’anni, non sopportando la prospettiva del suo declino, si chiuse in casa e visse melanconicamente per altri trenta anni. Jean Harlow brillante diva degli anni Trenta, sotto la maschera di sex- symbol ebbe una vita travagliata e amara. Rita Hayworth, esuberante e fascinosa femme fatale, terrorizzata dalla decadenza fisica, divenne alcolista
E tuttavia, malgrado tanta fragilità interiore, queste persone “appariscenti”, utilizzando al meglio il loro sex appeal, e sebbene si distinguano spesso per arroganza e alterigia, riescono ad affascinare. La “maliarda” è sponsorizzata dai media come symbol di femminilità, e l’uomo narcisista è ritenuto l’élite maschile, “colui che non deve mai chiedere”. Questo genere di individui, donne o uomini che siano, hanno un’interiorità limitata, perché la loro vita è solo protesa a valorizzare le apparenze e l’immagine esteriore. E tuttavia riscuotono successo.
Porfirio Rubirosa fu un dandy dalle vicende banali ma di lui si occuparono i rotocalchi perché rappresentava il sex-symbol del momento. Cacciatore di dote, frequentò l’alta società, fu ospite dei Kennedy, dei Rothschild, del Maharaja di Jaipur, dei reali di Iugoslavia. Ebbe ricchi doni dalle “ammiratrici”, dalle amanti e dalle donne che sposò. Lo amarono Flor de Oro, figlia di Truijllo; l’attrice Danielle Darrieux; Doris Duke erede del magnate del tabacco; la miliardaria Barbara Hutton; la ricchissima fotomodella Odile Rodin. Fu amato pure da Zsa Zsa Gabor, da Dolores del Rio, da Ava Gardner, da Joan Crawford, da Jayne Mansfield, da Susan Hayward.
Ma con nessuna di queste donne Porfirio ebbe legami profondi. Esse, dopo i primi fuochi, erano deluse, ritenendolo narcisista e fatuo. Rodolfo Valentino, sex-symbol dell’inizio del ‘900, per volere della casa produttrice, ad ogni nuovo film, imbastiva una liaison con l’attrice più “in” del momento. Una fiction che faceva presa sul pubblico e riempiva le sale cinematografiche. Pochi però sapevano che a Rodolfo Valentino non piacevano le donne.
Gli “irresistibili” seduttori, maschi o femmine che siano, sono spesso individui frivoli, capricciosi e superficiali. La loro mondanità si fonda sull’apparenza, e molti di essi sono fatui ed egocentrici. Tuttavia il loro narcisismo ha “presa” e fa breccia sul pubblico. Il gioco vanesio, vuota sceneggiata, affascina al punto che le frivole cronache mondane portano alla ribalta e “valorizzano” i narcisi e le narcise. Affermava Oscar Wide, «È possibile l’esistenza di seduttori vanesi e futili perché alcune persone, altrettanto effimere, sono orgogliose di farsi sedurre da questi personaggi». Spesso le donne colpite dalla sindrone di Cleopatra sono affascinate da narcisistici dongiovanni e viceversa; tuttavia, l’accoppiata tra due personalità che “devono primeggiare per sentirsi vivi”, non sempre è duratura: si veda, tanto per fare un esempio, il caso Nicole Kidman e Tom Cruise.
Cleopatre e maschi ruspanti, pur essendo al centro delle cronache perché rappresentano un invidiato status symbol, sono però in privato persone fragili, destabilizzate soprattutto dalla paura di un veloce declino del loro sex-appeal.
«E tuttavia, purtroppo – lamentava il sociologo Herbert Marcuse – in alcuni settori della società sono proprio queste le persone più di spicco»

coppie bizzarre, eccentriche e insensate (23)

Se nella coppia i partner sono narcisisti, eccentrici e “svitati”, può accadere di tutto.
Paradossale fu la fuga da Haiti del dittatore Jean-Claude Duvalier, succube della madre Simone e della moglie Michèle Bennet. Il padre di costei diceva: «È l’unica della famiglia di cui ho paura, perché ottiene sempre quello che vuole». Difatti, Michèle, sposata e madre di molti figli, volendo arrivare al potere, sedusse Duvalier e dopo avere divorziato ne divenne la moglie. Dopo che ad Haiti scoppiò la rivolta, il frastornato Duvaleir salì su un aereo dell’aviazione americana, con moglie, mamma e figli, alla volta della Francia. Michèle riuscì a strappargli il consenso di portare in esilio con loro il suo ex marito, Philipe Pasquet, i figli che lei aveva avuti dal precedente matrimonio e i parenti di Philipe. A Grenoble, i plenipotenziari che accolsero la comitiva mostrarono sconcerto vedendo scendere dall’aereo il clan dei Pasquet. Michèle, radiosa, chiese con la solita improntitudine che la distingueva: «Per il mio primo marito e per i figli che ho avuto da lui, approntate un appartamento vicino a quello mio e del presidente Duvalier». Duvalier dopo quell’episodio fu chiamato “il signor Bennet”.
Bizzarra fu l’unione tra Rodolfo Valentino e Natascia Rambova. Valentino era giunto in America da emigrante, e aveva sposato Jeanne Acker, attricetta e ballerina, bella e aggressiva. Il matrimonio durò una notte. Offesa per non essere stata sfiorata dal marito, la Acker lo piantò l’indomani nell’hotel dove avrebbero dovuto trascorrere la luna di miele. Qualche tempo dopo, per cancellare l’episodio, Rudy si legò a Natascia Rambova, scenografa e figlia di una magnate californiano di cosmetici. Poiché alla bella Rambova piacevano le donne, suo padre, non accettando la propensione della figlia, scelse per lei l’uomo più in voga del momento, l’attore italiano. Ma le nozze preoccuparono i produttori che, conoscendo il caratteraccio della Rambova, temevano che avrebbe manipolato Valentino, rovinandolo.
E fu così: per lei Rodolfo dilapidò un patrimonio. Una megavilla bellissima, una scuderia di cavalli, una schiera di servitori, gioielli favolosi e auto di lusso, feste magnifiche con champagne e caviale, e centinaia d’invitati prosciugarono i conti dell’attore. L’eccentrica Natascia, sedotta dallo spiritismo, volle arredare un’ala del palazzo per le sedute spiritiche con i maghi che settimanalmente incontrava. Valentino subiva la dissennatezza della moglie, per tacitare le voci sulla sua omosessualità. Egli non aveva nessun “contatto” con quella donna anche se, forse a modo suo, ne era platonicamente innamorato. Del resto nemmeno a Natascia interessava dormire nel letto di un uomo.
Poiché le voci che discreditavano quel ménage ingigantivano, Valentino cercò riparo, pubblicizzando il suo tradimento coniugale con Pola Negri, famosa diva la quale tenne per sé il segreto dell’impotenza di Rudy. Un segreto che violò signora Rambova-Valentino quando, dopo una serie di furiosi litigi, lasciò il marito. Quelle atroci dichiarazioni distrussero il mito dell’attore, e gli procurarono, quando aveva appena trentuno anni, un’ulcera che, in seguito, curata male, lo uccise.
Una coppia che, procedendo sulle ali della eccentricità e con spavalda incoscienza, finì col perdersi, fu quella formata dagli attori Osvaldo Valenti e Luisa Ferida. Il Valenti era un istrione, sia nel set di Cinecittà che nella vita, tant’è che era difficile capire quando recitava e quando no.
Affabulatore, anarchico, Osvaldo, che aveva fascino sulle donne, fece della sua vita un romanzo. Luisa Ferida, che bazzicava gli studi di Cinecittà e aveva avuto una parte in un film di Blasetti, si era innamorata del regista. Ma essendo questi legato all’attrice Elisa Cegani, “la dirottò” al più bell’attore del momento, Osvaldo Valenti, il quale, da infallibile conquistatore, finì col sedurla.
I due vissero in maniera pericolosa a causa dell’assoluta mancanza di realismo che li caratterizzava. Sniffavano cocaina e conducevano un’esistenza dissipata e strampalata. Con incoscienza, Osvaldo, che in un primo tempo si era dichiarato estraneo alla politica, anzi, non-fascista, quando l’Italia venne divisa in due dalla guerra, si trasferì assieme alla compagna nella Repubblica di Salò, per continuare a recitare, poiché Cinecittà era chiusa, nella seconda Cinecittà, che Mussolini aveva costruito a Venezia, il cosiddetto Cinevillaggio. A causa dell’insensatezza e dell’incoscienza che rendevano la sua vita senza ordine e sempre pericolosa, il Valenti finì con l’aderire alla politica repubblichina, arruolandosi nella Decima Mass di Valerio Borghese.
A Venezia l’attore conobbe il famigerato Pietro Koch e solo quando intuì che la sorte della Repubblica di Salò era segnata,Valenti cercò, ancora una volta sconsideratamente, di chiedere aiuto ai partigiani per fuggire, lui e Luisa da quell’inferno. Ma non si era reso conto che erano già nelle liste di proscrizione, essendo ritenuti “fascisti pericolosi”.
In realtà Valenti era solo un ingenuo che aveva seguito la pista sbagliata, e né a suo carico né tanto meno sulla Ferida si poteva ascrivere alcun delitto. Tuttavia, dopo che i due si consegnarono ai partigiani, furono proditoriamente fucilati. Finiva così una coppia affiata ma immatura ed insensata, vissuta al di fuori della realtà. Infatti i due attori erano vissuti senza punti di riferimento, navigando nel lusso sfrenato con bizzarrie ed eccentricità, e si erano persi senza rendersene conto.
Coppia affiatata e spericolata fino al tragico epilogo quella formata dalla ventottenne francese Auderey Mestre, record mondiale femminile di immersione, e da suo marito, il cubano Francisco Ferraras. Campioni di immersione subacquea, erano in cordiale competizione e si ricorrevano l’un l’altra in attesa di sapere chi di loro fosse “il più spericolato” ad andare più in fondo nel mare. I due avevano scommesso una crociera: l’avrebbe pagata lui se lei avesse vinto o lei se non riusciva a superare il primato del marito.
Inseguendo il record di Francisco, che era di 162 metri, la Mestre è morta, nell’ottobre del 2002, tentando di arrivare in apnea a 170 metri per superare il coniuge. Qualche mese prima quegli spericolati coniugi erano allegramente scesi in “apnea di coppia” toccando i 130 metri di profondità.
Nel 1963 il ministro inglese della guerra, John Profumo, sposato con l’attrice Valerie Hobson, frequentatore dei salotti bene di Londra, e sul punto di diventare premier d’Inghilterra, s’innamorò dell’ambiziosa, ambigua e provocante Christine Keeler, bellissima ballerina amica dell’agente segreto russo Evgenij Ivanov. Tra l’uomo politico inglese e la affascinate Christine, dai lunghi capelli color rame, sorse una violenta passione, che i due esibirono con vanità, incuranti della condanna pubblica. L’insensato Profumo fu travolto dalla show girl, pur sapendo che la Keeler entrava ed usciva dai letti “più importanti” di Londra, compreso quello della spia del KGB. Lo scandalo travolse il ministro, mise in crisi il premier Mc Millan, sconvolse l’Inghilterra “bene”, allarmò i servizi segreti del regno Unito. La paura che la Keeler avesse “agganciato” il ministro per estorcergli, sotto le lenzuola, segreti di Stato fu molto grande. La coppia Profumo-Keeler rischiò di far aumentare la tensione internazionale e di mettere in crisi le relazioni tra l’Occidente e la Russia, accusata di aver cercato, tramite la bella indossatrice, di carpire segreti alla Nato. La vicenda si sgonfiò quando Profumo rinunziò alla carriera politica e alla donna che gli aveva fatto girare la testa e tutto finì con l’arresto di alcune spie russe.
A volte che il vero grave handicap di una coppia è voler esagerare ad ogni costo.

la gelosia nella coppia 6

Le grandi passioni non sono immuni dalla gelosia, anzi, a volte, sono le più colpite. La gelosia esplode quando manca l’autostima. Cesare Pavese affermava che la gelosia maschile sottolinea la paura del confronto con un altro uomo.
La gelosia, maschile o femminile, è in ogni caso un sentimento che stimola comportamenti violenti e intransigenti.
Secondo la psicologa Serena Foglia: «Nella gelosia vi è anche una componente di invidia, perché nasce dall’amor proprio più che dall’amore». Singolare è però il fatto che della gelosia nessuno si vergogna, mentre la invidia tutti cercano di celarla.
La forma più violenta, irragionevole e infantile di gelosia è quella sessuale, che sfocia spesso in comportamenti criminali. Nel saggio Piccola storia dell’amore Armando Torno accomuna la gelosia alla follia, in quanto, dice Torno, tra l’una e l’altra non ci sono confini.
Nella novella Tu ridi, Luigi Pirandello sintetizza la grottesca assurdità della gelosia, raccontando che il signor Anselmo, un signore di cinquantasei anni, con barba bianca e cranio pelato, veniva rimproverato dalla moglie per “quelle sue incredibili risate d’ogni notte, nel sonno, le quali facevano sospettare alla consorte che egli, dormendo, guazzasse chissà in quali beatitudini, mentre ella gli giaceva accanto, insonne e arrabbiata.
Diceva l’attrice Doris Day, a proposito della gelosia: «Siamo sempre riluttanti a dare via i nostri vestiti dismessi e quelli fuori moda. Figuriamoci se possiamo accettare di dividere il nostro partner con un’altra persona».
In una lettera Italo Svevo scrive alla fidanzata: «Non è una tua occhiata data ad altri che m’offende, è l’idea che quell’occhiata mi dà la prova che nel tuo animo c’è la vanità e il desiderio di piacere. Quello sì mi offende!».
E in un’altra: «Sospendiamo per un mese il nostro fidanzamento, lasciami vivere per un mese nell’idea che tu non sei destinata a me. Forse mi calmerei più facilmente, potrei dormire almeno le ore che mi sono permesse. Basta che in questo caso le paure di perderti definitivamente non mi facciano ancora peggio». Queste lettere sintetizzano i sentimenti della persona gelosa con i sospetti, i timori, l’angoscia di cui si nutre chi è affetto da una patologia dalla quale difficilmente si guarisce.
La cultura popolare ritiene che la gelosia sia un sentimento normale e positivo, perché essa rinsalderebbe il vincolo di coppia e terrebbe in piedi il desiderio tra i partner. Tuttavia, in realtà, non rafforza affatto quel vincolo, in quanto crea sospetti, diffidenze ed ostilità, tant’è che in nome della gelosia si commettono molti delitti.
In passato, per la legge italiana, al marito geloso che puniva la moglie infedele, uccidendola, veniva comminata una condanna lieve, e non adeguata al delitto commesso.
Il sentimento maschilista ha distinto la gelosia maschile, apprezzata, e quella della donna non è approvata. Il principio che la reazione del maschio geloso debba essere giustificata e scusata, ha radici antiche ed è attivo da millenni in molte culture antiche, religiose o pagane. Ne i Numeri, alla donna rea d’adulterio viene lanciato l’anatema che il Signore la maledica, «faccia marcire, gonfiare e crepare». Il Levitino afferma che l’adulterio potrà essere punito con la morte. Nell’antica età regia di Roma, la donna adultera era passibile di pena di morte. Per la Lex Iulia de adulteriis del 18 a.C., il padre può uccidere la figlia adultera. Lattanzio, scrittore apologeta, sosteneva che le adultere dovevano essere giustiziate. L’imperatore Costantino, che guidò il processo di cristianizzazione, stabilì che se una signora avesse avuto rapporti sessuali con un suo schiavo, questi doveva essere arso vivo, e lei decapitata. Valentiniano I, che si professava re cattolico, nel 370 d.C. emanò una legge che puniva l’adulterio della donna con la morte. Non meno drastico è il Corano che agli uomini consente di testimoniare l’adulterio della propria donna giurando quattro volte che sia vero. Dopo di che la donna verrà lapidata.
Il problema fondamentale nella gelosia, sostiene lo psichiatra Carl Rogers, è che chi ne è affetto si sente rifiutato. Il geloso non sopporta d’essere abbandonato. Perché si scateni la gelosia non è necessaria una reale infedeltà: la gelosia è uno stato di apprensione e, come tale, non è guidata dalla ragione ma dall’emotività.
Il regista Luis Buñuel, persona culturalmente autorevole ma fragile emotivamente, era egocentrico e geloso. La sua relazione con la moglie Juana Rucar fu un ininterrotto e turbolento litigio. E tutto questo, malgrado il regista dava di sé un’immagine di artista trasgressivo che sfidava gli ideali borghesi. La sua condotta come marito fu invece inqualificabile.
La gelosia è un sentimento infantile. In quel periodo si ha paura di essere esclusi dall’amore del padre, della madre, e si teme di essere preferiti ai fratelli. La gelosia è un’esperienza, dice la psicologa Gianna Schelotto, che solleva gravi problemi relazionali e sociali.
Non solo l’uomo, ma anche la donna in preda alla gelosia può essere violenta: Medea, innamorata e gelosa di Giasone, è un esempio. Storie di questo genere, purtroppo, non fanno parte solo della mitologia, si riscontrano con frequenza anche nella vita reale.
Gelosa fu Eleonora Duse sebbene in apparenza mostrasse un temperamento forte e una mentalità aperta. L’attrice, che non era fedele, pretendeva però che lo fossero i suoi partner, tant’è che quando nel 1885, a Buenos Ayres morì il suo amante, Arturo Diotti, ella pensò di riconciliarsi col marito. Ma avendo scoperto che questi la tradiva con la giovane attrice Irma Gramatica, provocò un vero finimondo.
La gelosia ha anche afflitto governanti e personaggi di cultura. Napoleone Bonaparte era molto geloso; egli soffrì le infedeltà di Giuseppina, della quale era innamorato. Dalle lettere che le mandava emergono insicurezze e timori. In verità Napoleone aveva di che temere, perché Giuseppina, in fatto d’evasioni, non andava per il sottile.
Vittima della gelosia della moglie Teresa Blondel, fu Massimo D’Azeglio. Lo scrittore rimasto vedovo di Giulia, figlia del Manzoni sposò Teresa in seconde nozze. Ma la convivenza si rivelò difficile: la moglie era sospettosa, assillante. Teresa immaginava che Massimo fosse ancora legato con il ricordo alla prima moglie. Alla fine D’Azeglio si liberò di quella donna oppressiva, separandosi.
La gelosia dipende dalla cultura di un popolo, di un’epoca e dai preconcetti sociali. I Greci, per esempio, si interessavano poco del comportamento sessuale delle loro donne: erano però gelosi dei loro discepoli. Nel Giappone del X secolo, la gelosia era addirittura considerata una trasgressione alle buone maniere. Gli uomini non erano gelosi delle loro donne, e le mogli giapponesi erano convinte che se il marito avesse avuto molte amanti, maggiori sarebbero state le possibilità che, essendo felice delle sue conquiste, egli fosse più affettuoso con la consorte.
Paradossalmente chi è trasgressivo è anche geloso. Difatti, spesso coloro che praticano lo “scambio delle coppie” permettono al loro partner solo contatti fisici con l’altra persona. Quando dal rapporto tra il loro partner e un’altra persona sfocia un sentimento, si scatena la gelosia. Emblematica è la storia degli “Swingers” che negli anni Sessanta, in California, praticavano l’amore di gruppo. Lo psichiatra Carl Rogers, studiando la promiscuità di quelle coppie aperte, notò che la gelosia era presente anche in quei contesti.
Secondo la sociologa Serena Foglia la gelosia non può essere soffocata, perché è legata alla paura di perdere il possesso. In questo senso, c’è chi ha visto che la gelosia è utile per motivi biologicI. In chiave antropologica, essa rappresenta la difesa della prole legittima. Il maschio di molte specie animali vuole allevare solo i propri figli, e vieta alla sua femmina di accoppiarsi con altri; a sua volta la femmina, pretende che il partner non faccia figli fuori dal ménage, perché ciò gli impedirebbe di difendere efficacemente la prole.
Nel mondo animale la gelosia serve anche per il controllo del territorio. Emblematici sono i combattimenti tra i maschi delle renne, per difendere il territorio dagli intrusi ed evitare che qualche adulto che non è del gruppo s’accoppi con le femmine del branco. Caratteristica è la gelosia del re della foresta, il quale, cacciato il rivale da un territorio, uccide i cuccioli del leone detronizzato e s’accoppia subito con le femmine per avere una propria discendenza. Alcune femmine di animali sono gelose e se una estranea proveniente da un altro branco invade il loro territorio ingaggiano con l’intrusa una battaglia furiosa per scacciarla.
Sebbene, come s’è visto, nel mondo animale la gelosia abbia una certa utilità, nel mondo civilizzato, invece, afferma la psicologa Nancy Friday nel saggio Gelosia, chi è affetto da morbosa gelosia, soffre di narcisismo frustrato, di stizza infantile, di orgoglio ferito. Nella maggior parte dei casi la persona gelosa, assillando e opprimendo il partner, si dimostra incapace d’amare.
Solo chi si allontana da queste componenti distruttive, dice in sostanza la Friday, agisce in maniera razionale ed è anche meno geloso.

amori travolgenti, ma instabili 7

L’amore appartiene alla sfera dell’irrazionale e dell’imponderabile e sebbene quando è impetuoso cambia la qualità della vita, può accadere che chi è travolto da veementi passioni a volte perda il buon senso e la facoltà di giudizio.
Infatti gli amori follemente passionali sono spesso fonte di gravi inconvenienti proprio perché vissuti in situazioni “troppo emotivamente compromesse”.
Un grande amore legò Paul Éluard,poeta dadaista, a Gala. Per Paul, quella donna rappresentava l’esperienza misteriosa e sovvertitrice che attendeva da anni. Lei fu subito travolta dalla frenesia per quell’uomo che definì «genio meraviglioso». Gala fu l’ispiratrice dei versi d’amore di Éluard. Ma se agli inizi fu affascinata dal poeta, dopo il matrimonio, lo vide sotto una luce più pacata, meno travolgente e poiché non poteva stare con un uomo senza provare una impetuosa frenesia per lui, lo abbandonò sconvolta da un’altra bramosia, quella per Salvator Dalì. Dalì venerò Gala e lei divenne la musa, la madre e la compagna del grande pittore, finché arse la passione. Poi, improvvisamente, tutto finì.
Altro grande amore fu quello tra Salvatore Quasimodo e Maria Cumani, dalla quale il poeta ebbe un figlio. Quando Salvatore s’innamorò “violentemente” della Cumani, era sposato con Bice Donetti, ma non lasciò la consorte. Sempre propenso alle esaltazioni, poco dopo lo scrittore s’innamorò “perdutamente” di un’altra donna, Amelia Spezialetti, dalla quale ebbe una figlia. Fu a quel punto che la Cumani stanca d’essere emarginata, andò via portandosi il figlio Alessandro. Quasimodo disse di essere addolorato da quella “fuga”, ma continuò la sua vita di impenitente donnaiolo. Egli si vantava di possedere le chiavi di molti appartamenti ove aveva «libertà d’accesso al cuore di molte padrone di casa». Come abbia potuto avere tanta fortuna in amore è strano: non aveva un carattere facile, era sdegnoso, polemico e suscettibile. Malgrado ciò e pur non avendo di certo un aspetto da dongiovanni (era piuttosto grassottello e i suoi lineamenti scialbi), Quasimodo si rendeva attraente vestendo in maniera elegante, impomatandosi i capelli (com’era uso fare a quel tempo) e, soprattutto, usando la vena poetica per incantare le donne.
La sua verve gli conferiva un grande ascendente e gli consentì di spezzare molti cuori. Furono tante le relazioni “travolgenti” che Quasimodo ebbe con amiche, infermiere, accompagnatrici, segretarie, etc etc. Si vociferò persino una malignità: che la figlia del pittore Mario Sironi si fosse uccisa per lui. Fatto sta che la carriera di appassionato dongiovanni di Quasimodo fu lunga e circostanziata e iniziò quando, diciottenne, suo padre lo mandò via da casa perché aveva messo incinta una ragazzina. Il figlio Alessandro, ha spiegato che suo padre era sempre predisposto a «furiosi innamoramenti» ma era altrettanto solito intiepidirsi ben presto.
Facile ad infiammarsi di passione ma, al contrario di Quasimodo, sbrigativo nel porre fine ai legami “scomodi” fu Pablo Picasso. Il pittore a Roma s’innamorò di Olga Kovolova, danzatrice dei Balletti Russi, e compagna di Sergej Diaghilev. I due s’incontrarono all’albergo Minerva, e divennero subito amanti. Nella Capitale vissero momenti meravigliosi, tanto che il pittore cominciò a disegnare con grande estro.
La passione, affermava Picasso, rende fertili artisticamente. Egli seguì l’amata a Napoli, a Madrid, a Barcellona e a Parigi, dove finalmente si sposarono; ma da quel momento il legame non funzionò più. La convivenza tolse ogni patina d’illusione ad entrambi. L’affascinante Olga, figlia di un alto ufficiale russo, prediligeva il lusso, i bei vestiti, la gente bene; un genere di vita che Picasso, figlio di una popolana, abituato a vivere in modo spartano non condivideva. Olga gli diede un figlio e sperò di fare del marito un gentiluomo dell’alta società. Ma Pablo non s’immedesimò nei panni del dandy; anzi, appena la passione cominciò ad affievolirsi, piantò Olga per tornare alla condizione di bohémien.
Le relazioni improvvise e furiosamente passionali fanno emergere in seguito grovigli emotivi e talvolta, quando terminano, provocano nell’animo una impietosa devastazione. Nel caso di Olga lo choc fu desolante: l’abbandono le ricordò vecchie frustrazioni ed essa entrò in una grave depressione.
I pittori Diego Rivera e Frida Kahlo, sempre avidi di forti esperienze, ebbero una vita turbinosa e frenetica, densa di avvenimenti passionali.
Frida, figlia di un fotografo europeo, immigrato a Città del Messico, studiò pittura. A diciotto anni ebbe un tragico incidente d’auto che la costrinse a lungo nella sedia a rotelle. Grande ammiratrice di Rivera, ne divenne l’allieva, l’amante e poi la moglie. Il loro salotto era aperto agli intellettuali così come i loro cuori erano sempre disponibili a sconvolgenti avventure. Frida e Diego si concessero una grande libertà: Diego fu persino amante della sorella della moglie, e Frida amò non solo molti uomini ma anche molte donne. Frida fu selvaggiamente e sensualmente innamorata di Trotzsky, ma dopo l’iniziale infatuazione lo abbandonò perché, conosciutolo meglio, disse di ritenerlo abbastanza noioso. «E tuttavia- confessò – dopo aver troncato la relazione – senza Trotzky non avrei mai capito la politica».
Diego e Frida, pur con le continue esperienze trasgressive, ebbero un intenso e prolifico dialogo umano e culturale. «Il mio modo di pensare, il mio modo di capire l’arte – sosteneva Frida – lo devo a Diego, e, per la verità, in qualche caso anche agli uomini che, amandomi, e standomi vicini, si sono dedicati alla mia istruzione».
Ugo Foscolo, poeta tra i più rappresentativi e “seriosi” della nostra letteratura, pur non essendo bello era però dotato di grande fascino grazie al quale attraeva le donne.
Malgrado i suoi biografi abbiamo cercato di nascondere questa sua “pecca”, al Foscolo piacevano la bella vita e le donne seducenti. Ancora adolescente, venne travolto dalla passione e “iniziato” al sesso da una signora alquanto matura, Isabella Albrizzi, e poco dopo fu amante focoso della moglie di Vincenzo Monti, Teresa Pickler, con la quale il giovane Foscolo ebbe una turbinosa relazione.
La carriera di grande seduttore del poeta fu intensa, ma se la passione sul momento esplodeva in maniera travolgente, in seguito, passato il primo impeto, Ugo dimenticava con impudenza la donna che aveva qualche tempo prima dichiarato d’amare follemente.
Anche Gabriele D’annunzio, pur non essendo né bello, né un fusto, riusciva a conquistare molte donne. Il padre del poeta impose al giovanissimo Gabriele di sposare Maria Hardouin, nella speranza di dare una calmata alle avventure erotiche del figlio, che procuravano cattiva reputazione a tutta la famiglia. Ma dopo il matrimonio, il Vate, non volendo “ imborghesirsi”, e convinto che amare è un’attività da non essere inquadrata negli stereotipi della routine, tornò ad innamorarsi follemente di attrici, scrittrici, donne dalla personalità regale ma anche di sartine, guardarobiere e cameriere. Verso tutte si sentiva attratto, di volta in volta, da “passione folle e insensata”. Gabriele era adorabile con le donne che incontrava, ma non appena avvertiva che stava per subentrare la monotonia della routine, fuggiva via verso nuovi lidi.
Il mito letterario dell’amore passionale fa sì che quello vissuto nella “normalità” sia ritenuto un pallido modello di quello “ideale”. Infatti, secondo alcuni, l’amore “vero” è quello che si manifesta come un turbine, una tempesta, come una sferzata. Ma certe passioni travolgenti si rivelano una forma di follia che scuote e distrugge tutto al pari di un uragano.
La sociologa Hannah Arendt, sostiene che è difficile mantenere intatto il ritmo passionale iniziale. Tuttavia, quando ciò accade, l’amore troppo “folle” cancella ogni equilibrio e arreca più dolore che felicità, perché instaura un vincolo fagocitante ed ossessivo. Dopo certi esordi folli e travolgenti, il problema è evitare che la passione provochi sentimenti di gelosia, d’invidia, e che scateni un narcisismo egocentrico: miscellanea davvero negativa per ogni relazione di coppia.
Solo quando il rapporto che ha avuto un inizio esplosivo, si trasforma in un legame intelligente, la coppia ha buone probabilità di riuscita. In caso contrario, dopo una partenza violentemente passionale, potrebbe sopraggiungere una conclusione tempestosa.
Diceva Oscar Wilde che stare in coppia è come stare al sole: se non si prendono alcune precauzioni, si finisce con lo scottarsi.

i litigi nella coppia (29)

Nella coppia male assortita, ma anche in quella più affiatata, molteplici sono i motivi che sollevano battibecchi e discussioni e ciò anche perché ogni partner possiede un proprio patrimonio di comportamenti e di convinzioni che non sempre è in sintonia con quello del compagno o della compagna.
Un tempo il litigio tra coniugi era più ritualizzato, magari con alcune varianti poco significative. Tuttavia, non essendoci il divorzio, non c’erano molti rischi che si potesse arrivare ad una rottura completa. Così, poiché difficilmente era possibile pervenire alla strappo definitivo, gli alterchi erano anche aspri e duri, ma ciò non metteva a repentaglio la perdita dello status coniugale. A volte tra alcuni partner si manteneva per anni un duro scontro quotidiano, e ciò accadeva nella consapevolezza che qualsiasi dissapore non avrebbe potuto mettere fine al sodalizio.
Oggi le unioni sono più instabili perché la società non ha il “controllo” della indissolubilità del matrimonio, e così persino una “ferita psicologica” può portare alla rottura. Di conseguenza i partner sono più cauti in fatto di litigi.
Il conflitto esplode soprattutto quando nel vivere quotidiano si delinea una aperta opposizione tra le personali predilezioni dei partner, e ognuno di essi percepisce con “irritazione” la “mancanza di rispetto o di libertà individuale” che, col proprio modo di fare o di pensare, gli manifesta l’altro.
Se da un lato la coppia, per una tacita intesa, e come ha appreso dall’imperante romanticismo culturale, immagina che vi debba essere una “fusione fisica e spirituale”, e che lei e lui si devono sforzare di perdere la loro individualità per finire con l’essere un tutt’uno, dall’altro, però, in pratica, la tendenza è quella di delineare, dopo i primi fuochi passionali, e riaffermare le due diverse personalità.
Trascorso qualche tempo, dunque, i partner hanno una brusca rivelazione: ognuno dei due si “accorge” che l’altro ha modi di pensare e di fare inaccettabili. La donna rileva che l’uomo mostra minor slancio affettivo di quanto non ne avesse nei primi tempi, che è distratto da problemi che nulla hanno a che fare con la coppia, che non si comporta con la stessa intimità di un tempo, che l’ascolta distrattamente, e che a casa è sempre più disordinato, obbligandola così a un maggior lavoro domestico.
Secondo lui, invece, lei ha perso la “vernice” iniziale: non cura più la propria immagine come una volta, s’accosta al sesso sempre meno entusiasta e sottopone al partner una serie di problemi “banali” che, afferma lui, potrebbe e dovrebbe risolvere da sola.
Emerso l’inevitabile disincanto, se però i partner hanno buon senso, il rapporto si trasforma in pacata ed equilibrata “convivenza” ed entrambi i partner, “cedendo” in qualcosa, ridefiniscono ruoli e aspettative. Ma se i due restano ostinatamente saldi nelle loro posizioni, si apre un contenzioso che cronicizza il malessere del rapporto fino alla rottura.
Tuttavia non sono necessariamente i contrasti “forti” quelli che mettono fine al sodalizio. Più i partner sono immaturi e più bisticciano per quisquilie: litigano perché lo stufato è bruciato, perché la suocera istiga il figlio contro la nuora, perché lei nel rassettare la scrivania di lui gli crea “disordine”, perché stando troppo nel bagno la mattina “lei” impedisce a lui di arrivare puntuale al lavoro, etc. etc.
I conflitti interni alla coppia possono, fino ad un certo punto, essere anche considerati “fisiologici”, come una componente intrinseca di ogni rapporto. Anzi a volte, certe “scenate” e certe scaramucce possono essere addirittura “liberatorie”.
Ma quando l’insoddisfazione è profonda, quando all’altro sfugge del tutto la causa del malumore del suo partner, quando il conflitto tocca l’intimo della trama coniugale, quando gravi e fondamentali problemi, irrisolti e mai discussi, restano nella stiva della coppia senza venire allo scoperto, quando alle scenate si sostituiscono i silenzi e l’indifferenza, quando il gelo caratterizza la comunicazione tra i partner, allora qualsiasi screzio può diventare prima o poi motivo di rottura.
A volte la coppia non si sfalda, ma uno o entrambi i partner finiscono col “comunicare altrove”. In qualche caso non c’è nemmeno bisogno di forti contrasti: anche le disillusioni e l’abitudinarietà quotidiana sono spesso alla base delle sbandate. Che si tratti di una emozione passeggera o di un legame più profondo in questi casi la coppia iniziale va inevitabilmente alla deriva oppure ridisegna un nuovo equilibrio.
Il processo di distacco comincia a volte dopo qualche mese, a volte dopo i primi anni. In qualche caso appare improvvisamente persino quando la coppia sembrava del tutto collaudata da decenni di convivenza.
Un malessere, questo disincanto, che paradossalmente è anche dovuto alle nuove esigenze della società contemporanea la quale ingiunge continuamente e con ogni mezzo, media letteratura cinema, ad essere se stessi, e a favorire la propria personalità. Si chiede che il singolo, con la sua esclusiva e indipendente inventiva faccia emergere valori esclusivi; si privilegia la libertà individuale e le iniziative frutto di ingegno personale e di punti di vista singolari, ma esortando proprio questi comportamenti si viene a creare uno stridente contrasto col romantico modo di vedere la coppia.
Questi suggerimenti trovano dunque paradossalmente dei limiti nell’abitudine dei partner di perdere gli spazi personali e confluire in un unicum nel rapporto a due, richiesta questa che pretende una omogeneizzazione delle due individualità affinché gestiscano meglio e con “comunione d’intenti e di idee” la vita della coppia.
Oggi più che mai, dunque, il singolo è sottoposto a un ambiguo bersagliamento sociale: da un lato è richiesta una maggiore amalgama coniugale, dall’altro il singolo è stimolato a rifiutare questa perdita d’identità e a mettere in luce, invece, la propria libertà di pensiero e la sua singolarità di espressione.
È forse questo il motivo per cui sono molte le persone che si attestano nello status di single e non si imbarcano in un rapporto nel quale, con palese incongruenza, è in pratica richiesta e sottintesa una doppia personalità: una utile alla coppia e un’altra alla propria carriera e alla propria affermazione nel mondo.
Questo motivo fa sì che, contrariamente a ciò che accadeva nel passato, in cui i partner si scambiavano, ma senza prendersela troppo, umiliazioni e ferite, oggi che si propagandano, anche all’interno della coppia, valori come “lo spazio personale”, la “privacy”, “la propria libertà e la propria fantasia”, anche in presenza di piccole violazione di tali diritti si arriva alla separazione.
Per diminuire l’insoddisfazione di coppia, alcuni partner trovano il loro equilibrio in una serie di litigi soft, che danno modo ad entrambi di esternare le propri rimostranze e i propri disagi, senza con ciò mettere in moto gravi meccanismi di rottura.
Diceva lo scrittore inglese G. B. Shaw, famoso per il suo umorismo: «Il miglior sistema per non azzuffarsi con la propria compagna è quello di non vivere con essa, ma se proprio è necessaria la convivenza, almeno si conceda ogni tanto un sano litigio»
Ma G. B. Shaw non si sposò mai.

le crisi festive della coppia (26)

Le domeniche, il Natale, il Capodanno, le vacanze estive e le ferie lavorative spesso non sono occasione di relax ma più di frequente sono motivo di stress.
Considerazioni queste che troviamo in riflessioni di vari autori.
Uno degli psicoanalisti più noti alla fine dell’800 e amico personale di Freud, Sandor Ferencszi, ha scritto in proposito un saggio molto interessante: La nevrosi della domenica, in cui sottolinea come, anche statisticamente parlando, è quello il giorno della settimana in cui, paradossalmente, la gente è più nervosa e depressa, proprio perché non “ è distratta dal lavoro ed è costretta a rimanere a casa”.
Del resto, se si legge con attenzione e senza preconcetti la celebre poesia di Giacomo Leopardi Il sabato del villaggio si può rilevare come anche il poeta avesse intuito l’effetto pernicioso e depressivo che il momento della festa ha sull’umore della gente, la quale, a quel punto, attende il giorno lavorativo per riassestare il proprio animo.
Parlando del sabato, il poeta scrive: «Questo di sette è il più gradito giorno- pien di speme e di gioia:- dimani tristezza e noia recheran l’ore – e al travaglio usato ciascun il suo pensier farà ritorno»
In altri termini il Leopardi ritiene che l’attesa della festa è piena di letizia, ma che la domenica in cui “tristezza e noia” assalgono l’animo della gente, spinge il pensiero all’indomani, lunedì, giorno lavorativo.
E ancora: J. P. Sartre nel romanzo La nausea, descrive in maniera emblematica la noia e l’incomunicabilità con cui la gente trascorre la domenica. Il tema della solitudine domenicale, inserito in una vicenda agrodolce, è anche quello tracciato da John Schlesinger nel film Domenica, maledetta domenica, affresco di vita borghese triste e malinconica, tra isolamento, perbenismo e nevrosi. Nel film, la persona amata deal protagonista, quando il rapporto s’interrompe, rimarrà “per sempre” dolente, soprattutto la domenica, giorno in cui ha più tempo di pensare alla propria solitudine.
E se le crisi festive mettono sotto pressione le coppie regolari, ancor più penose e devastanti sono quelle che si sprigionano nelle coppie irregolari.
Lo sapeva bene il regista Federico Fellini che “inventava” mille scuse a Giulietta Masina nei giorni di festa per poter trascorrere con Anna Gugliemini, la donna “nascosta” alla quale era fu legato per oltre trent’anni della sua esistenza.
Spesso, infatti il regista accampava “importanti impegni” durante le feste, dicendo di dover fare urgentemente dei sopralluoghi (che immancabilmente lo portava lontano da casa) per ispirarsi all’ambientazione più idonea per gli esterni di qualche suo film che aveva in lavorazione o che doveva fare in seguito.
Ciò accadeva improrogabilmente proprio durante le feste. Infatti, conoscendo il carattere di Giulietta e sapendo che era pantofolaia e che mai e poi mai si sarebbe disturbata a seguirlo, Federico scompariva da casa e si installava nell’appartamento di Anna che, proprio durante le feste lo voleva vicino perché sentiva maggiormente la mancanza dell’amato.
Sfibrante fu, com’è ormai noto, anche la vita di Vittorio De Sica nei periodi di festa. Poiché era legato a due donne (Giuditta Rissone e Maria Mercader) dalle quali aveva avuto dei figli e con le quali aveva messo su due famiglie, nelle sere di Natale, di Capodanno e nel giorno di Pasqua, il regista “era costretto”, per non dispiacere a nessuna delle due donne, e soprattutto per non creare disparità tra i figli, a partecipare a doppi cenoni e doppi pranzi natalizi e pasquali nelle due famiglie.
Ma, a parte queste buffe situazioni, il dì festa è, per un assurda disposizione dell’animo umano, occasione più di litigi che di tranquillità: difatti è il giorno in cui si ha più tempo di osservare i comportamenti del partner, il periodo in cui, avendo più occasioni di stare assieme, vengono messi sul tappeto le esigenze e le recriminazioni reciproche dei partner. È il tempo in cui la coppia litiga perché “lei” vorrebbe che “lui”, dal momento che è a casa ed è libero dagli impegni di lavoro, dedicasse più tempo ai figli oppure aggiustasse “il cassetto dell’armadio che da tempo non si apre bene”, mentre “lui” aveva sognato di dedicare quel periodo ai suoi hobby.
Contrasti sorgono quando la coppia deve decidere se passare la notte di Natale a casa dei genitori di lui o dei genitori di lei, o quando deve stabilire come spendere la tredicesima.
Le statistiche parlano chiaro: durante le festività e le vacanze, a causa della maggiore tensione, aumentano le conflittualità e i litigi di coppia.
Del premier inglese Winston Churchill si racconta che la domenica “era intrattabile” e che in quel giorno sua moglie cercava ogni scusa per andare a trovare i propri parenti.
Sibilla Aleramo annotò nel suo diario che i maggiori litigi con alcuni dei suoi numerosi partner li ebbe proprio nei periodi in cui entrambi trascorrevano le ferie assieme.
L’istrionico Gabriele D’Annunzio poco dopo aver sposato Maria Hardouin, affermò di sentirsi imborghesito e avvinto «dalle catene avvilenti della monotonia e della noia, soprattutto nei giorni delle feste borghesi».
«Imborghesendomi, mi era venuta meno la fantasia» affermò. Inutile dire che il suo matrimonio, con quelle premesse, durò molto poco.
In seguito D’Annunzio cercò di “riscattare quella noia” con passioni travolgenti, dalle quali, affermava, poté trarre occasione per raggiungere nuove vette artistiche.
La madre dello scrittore siciliano Federico De Roberto teneva le fila della vita dei suoi figli, e s’intrometteva in ogni loro scelta e decisione. De Roberto era assillato da quella madre possessiva e gelosa che non gli permetteva di convivere con Pia Vigada, la quale non era riuscita ad entrare nelle grazie della vecchia De Roberto. Il divieto della madre angosciava Federico soprattutto nei giorni di festa, che “la sua signora madre” gli imponeva di passare in famiglia, mentre lui avrebbe voluto andare a trovare Pia. Ma Federico non ebbe mani il coraggio di ribellarsi a quell’oppressione né di assentarsi da casa nei giorni di festa e così lasciava sola la Vigada che dovette subire per anni “l’orrore dei giorni di festa”. Infatti, diceva De Roberto, erano in occasione di quei giorni che tra lui e Pia si creavano i motivi di maggiore tensione e i litigi più duri.
Insomma per un motivo o per l’altro, i periodi di festa finiscono col creare molti problemi alla coppia. Scrive Charles Baudelaire in Mon coeur mis à nu : «Bisogna lavorare, se non per gusto, almeno per disperazione. Infatti, tutto ben considerato, lavorare è meno noioso che divertirsi»
E forse sono in molti a pensarla in questo modo, tant’è che, alla fine delle festività, non è insolito sentir dire alla gente: « Meno male che è finita; ora si torna al lavoro».

le coppie edipiche 8

Sulla “salute” della coppia influisce più di quanto non si pensi l’ingerenza dei genitori dei partner. Non è un caso, infatti, che la letteratura abbia creato le figure della madre-suocera che influenza il ménage del figlio e del padre-suocero che ha un peso determinante sugli atteggiamenti della figlia nella relazione di coppia.
“Edipismo” è la parola scelta da Sigmund Freud per indicare la persona che non si è affrancata dalla dipendenza emotiva con i genitori. L’edipismo è dunque quel particolare stato d’animo che lega il figlio alla madre al punto da non lasciargli spazio per apprezzare altre donne. Ed edipica è la donna il cui unico ideale maschile è il proprio padre, per cui non riesce a stimare altro uomo fuorché il genitore. Freud affermava che i lapsus degli edipici sono i più semplici da decifrare: infatti, spesso al “lui edipico”, parlando della moglie, scappa involontariamente di dire “mia madre” e la “lei edipica”, volendo parlare del marito, sbaglia e dice “mio padre”.
Sostiene Freud che se s’instaura una situazione edipica, se cioè “lui”, anche inconsciamente, vuole trovare in “lei” l’immagine della madre e se “lei”, magari senza rendersene del tutto conto, spera proprio che il suo “lui” sia eguale al proprio padre, è possibile che, se non raggiungono con i loro partner quella loro “inconfessata” aspirazione, gli edipici finiscono col mandare in frantumi la coppia.
Infatti, né l’edipico né l’edipica s’accontentano mai dei partner che non trovano conformi ai loro genitori. E però, paradossalmente, a volte quando gli edipici intuiscono, anche senza rendersene chiaramente conto, che il partner ha una affinità col proprio ideale genitoriale, il problema invece di risolversi s’ingarbuglia, perché questa rassomiglianza crea, tra luci e ombre affettive, una confusione emotiva che determina risultati perniciosi.
La madre di Edmondo De Amicis era possessiva e gelosa al punto da non volere che il figlio prendesse moglie. Lo scrittore, sottoposto a quel continuo imbonimento psicologico non poté che essere edipico, tant’è che in tutta la sua vita non apprezzò mai nessuna donna al di fuori della genitrice. Edmondo però, in un momento di crisi esistenziale, sposò in gran segreto e col solo rito religioso, Teresa Bassi; ma dopo il matrimonio, non avendo il coraggio di comunicare il suo passo alla madre, continuò a vivere con lei. Nemmeno quando nacque il primo figlio De Amicis ebbe il coraggio di confessare alla sua vecchia che s’era sposato. E fu solo dopo la nascita del secondogenito, che lo scrittore andò a vivere con la moglie, ma lo fece di mala voglia. Così la stessa Teresa raccontò l’ingresso di Edmondo nella dimora dove abitavano moglie e figli: «Sedette a tavola cupo e torvo e mormorò: “Qui mi pare di essere in albergo”.
Edmondo regolarizzò poi il matrimonio col rito civile, per amore dei figli. Dopo il suicidio del primogenito Furio, Teresa esasperata dall’indifferenza del marito verso la famiglia, accusò Edmondo, autore del libro Cuore, di essere stato un padre senza cuore.
Il pittore Edgard Degas è un altro esempio di edipismo. La sviscerata “predilezione” verso la madre è segnalata dalle sue preferenze estetiche. Degas affermava di far ricorso ai ricordi d’infanzia per dipingere figure femminili. L’artista ebbe a confessare che, per la Donna che riposa dopo aver fatto il bagno, s’era ispirato a sua madre, perché da bambino l’aveva vista più volte fare il bagno nuda. Lo stesso accadde per i quadri della Donna che si fa lisciare i capelli e de La stiratrice ove è facile trovare le radici nel passato del pittore, il quale volle ricreare le emozioni che provava vicino alla mamma, donna che lo condizionò al punto che egli dipingeva personaggi femminili «per poter scandagliare tutti gli aspetti della femminilità materna». «Nessuna donna può essere bella come mia mamma. Nessuna potrà mai eguagliare la sua grazia. Nessuna avrà l’eleganza dei suoi gesti» ammise Degas.
L’antropologo Desmon Morris ritiene che l’amore è un misto di passato e presente, perché a volte, nel rapporto di coppia, dice Morris, c’è chi ha la “necessità” di ritrovare l’unione simile a quella dei propri genitori.
Un caso esplicito di edipismo si riscontra nel rapporto tra Christina Rossetti e suo padre, il pittore e letterato Gabriele Rossetti. Essi abitarono a Londra tra il ‘700 e l’800 e nella capitale inglese era risaputo che la ragazza era oggetto d’uno sviscerato amore paterno. Forse fu anche per questo che Christina mostrava segni di nevrosi, afflitta com’era dall’affannoso dramma che portava nel cuore. Papà Rossetti aveva coinvolto tanto affettivamente la figlia, che costei rifiutò più volte di sposarsi, e non solo per i sentimenti mistici che primeggiavano nella sua mente (era convinta anglicana) e che le impedivano d’accettare la pulsione erotica, ma anche e soprattutto perché coinvolta dall’amore esclusivo per il padre, passione che aveva cancellato il lei ogni altra possibilità di affetto e che le impedì di “tradire” il genitore.
Anche il filosofo Agostino fu edipico e “vittima” di una madre possessiva. Nato a Tagaste da un Patrizio pagano benestante ed ambizioso, non amò il padre, perché costui si divertiva alle spalle del figlio quando questi veniva bastonato dal maestro e anche perché tradiva la madre.
Il giovane non aveva troppi motivi per amare il genitore. Egli era invece legato alla madre, la quale profondeva su di lui tutto il proprio affetto e odiava il marito a causa delle infedeltà e della violenza con la quale la trattava.
Il filosofo subì pertanto una doppia eredità educativa: quella licenziosa del padre e quella pudibonda della madre. A partire dai 18 anni Agostino ebbe una relazione con una donna che amava teneramente e che gli diede un figlio. Ma egli nascose il ménage alla madre e, quando questa ne venne a conoscenza, per sfuggire ai rimbrotti materni, Agostino andò via da casa di nascosto, portando con sé la donna con cui viveva e il figlio. Il filosofo fu prima a Roma e poi a Milano. Sua madre indispettita dal tradimento del figlio lo raggiunse da lì a poco e lo convinse ad abbandonare la donna che egli amava e a rimandarla in Africa. In questo modo insisteva la madre, egli sarebbe stato libero di sposarsi “in maniera regolare”.
Monica dunque influì in modo determinante nelle “scelte del figlio” e spinse Agostino a cercare una sposa ricca. Poiché la concubina con cui il figlio stava da tempo non era ricca la madre lo esortava a trovare una donna che gli portasse una buona dote. Monica si mise in cerca di una moglie per il figlio e la individuò in una dodicenne di famiglia agiata e nobile. Concluso il fidanzamento, ad Agostino restava da aspettare due anni per contrarre matrimonio, essendo la ragazzina al di sotto dell’età minima matrimoniale. Nel contempo la famiglia della promessa sposa impose al fidanzato l’allontanamento della concubina. A quel punto Monica ebbe buon gioco nell’indurre il figlio a scacciare la donna che egli amava da tanti anni. Il filosofo suggestionato dalla genitrice, mandò via l’amata compagna in Africa ma tenne con sé il figlio. Di quella donna il filosofo si disinteressò per il resto dei suoi giorni, e, cosa davvero singolare, non impalmò nemmeno la promessa sposa, per la quale aveva abbandonato la donna che amava. Infatti, Agostino andò via da Milano prima del matrimonio e dopo un periodo romano, tornò in patria.
Moralista e puritano (ma solo in apparenza) fu lo scrittore scozzese Robert Louis Stevenson, il quale, vissuto in una famiglia conformista ottocentesca, con una madre oppressiva ed ossessivamente preoccupata di ciò che lui faceva o di ciò che gli accadeva, per cercare di ribellarsi a quell’oppressione, in California, sposò, di nascosto dai suoi familiari, Fanny Osborne, un’americana, divorziata e madre di due figli, conosciuta in un viaggio.
Dopo lo scandalo, venne perdonato da suo padre, ma la madre non accettò mai la signora Osborne come nuora. E Robert fu fortemente condizionato dal giudizio della madre nei confronti della nuora, tant’è che il ménage con la Osborne non fu sempre sereno.
Lo psicoanalista Aldo Carotenuto sostiene che quando una persona cerca un partner simile al proprio genitore, se non smette tale propensione, non matura mai, e il rapporto di coppia che si viene a costituire, essendo posto su basi infantili, non può mai diventare un ménage tra adulti.
Per ironia della sorte anche Freud fu edipico, tant’è che nella sua biografia si trovano tutti gli ingredienti che egli, come scienziato, aveva formulato in questi casi: Sigmund odiò più o meno inconsciamente il padre, amò teneramente la madre, e, forse in conseguenza di ciò, non ebbe un rapporto molto profondo con la moglie Martha, affatto diversa da sua madre. Ma Freud, da esperto psicologo, seppe gestire quella materia matrimoniale “esplosiva”, senza uscirne sconfitto.
Il suo esempio indica che, infondo, anche se un partner è edipico, c’è qualche speranza che la coppia non scoppi.

quando i partner sono insoddisfatti dei genitori 9

Infanzia ed adolescenza hanno un ruolo importante nelle scelte sentimentali. Infatti se nella coppia un partner è esageratamente legato ai propri genitori, o se ve n’è uno che prova avversione per essi, il ménage non procede mai in maniera serena. Per questo motivo vi sono donne che sfuggono al rapporto di coppia, ravvisando in ogni uomo il “detestato” genitore, e vi sono uomini che diffidano delle donne intravedendo in esse la “deprecata” immagine della propria madre.
Un esempio eclatante è Schopenhauer. Da fanciullo si sentì tradito dalla genitrice, e da grande, per tutta risposta, diffidò sempre delle donne, tacciandole di slealtà congenita.
La madre di Arthur, Johanna Trosiener Schopenhauer, aveva ambizioni letterarie ed era abbastanza “spregiudicata”, tant’è che dopo il suicidio del marito, si trasferì a Weimar, per restare più libera. Qui la raggiunse dopo qualche anno il figlio filosofo il quale rimase inorridito dalla “leggerezza” con la quale la “sua signora madre” s’era messa in casa un giovane amante, Friedrich Müller. L’improvvisa liaison irritò Schopenhauer e il suo difficile rapporto con la figura materna si rifletté in lui tutta la vita. Arthur ebbe a scrivere con astio:«Quando mio padre fu costretto sulla sedia a rotelle, mentre lui si spegneva in solitudine, la mia signora madre dava ricevimenti”.
Schopenhauer ebbe molte compagne: l’attrice Caroline Jagermann, Alice Huller cameriera d’albergo, la veneta Teresa Fuga, la corista Caroline Richter Medon, la commerciante d’arte Flora Weiß e via dicendo, ma non legò con nessuna a lungo, avendo il proposito di non contrarre matrimonio. Solo alla fine dei suoi giorni l’idilliaca relazione con la scultrice Elisabeth Ney fece vacillare nel filosofo la pessimistica immagine della donna che aveva per il turbolento rapporto con la madre: «Chissà, forse potrei decidere di sposarmi» scrisse ad un amico. Ma troppo tardi: l’anno dopo sarebbe morto.
Anche Vittorio Alfieri ce l’aveva con la madre. La sua infanzia fu infelice perché trascorsa lontana dai genitori. Quando il padre dello scrittore, gestore di un teatro, morì di polmonite, Vittorio fu messo in un collegio, e la madre, che era già stata vedova, dopo la seconda vedovanza si risposò, con gran disappunto del figlio. La signora Monica di Tourn Alfieri ebbe dai suoi tre matrimoni ben 13 figli, e la cosa non garbò al giovane Vittorio che, sentendosi abbandonato, finì con l’ammalarsi, già all’età di cinque anni, del “mal de pondi”, un disturbo gastrico psicosomatico, che non gli passò più e fece di lui un individuo malinconico e solitario.
Nelle lettere scritte alla madre v’è un gran desiderio di tenerezza assieme al disappunto per la mancanza di affettuosità e di intimità che la genitrice non gli elargì mai. Vittorio fu geloso del marito di sua madre, dal quale Monica ebbe ben 7 figli; fu geloso dei suoi fratelli, e soprattutto soffrì la solitudine essendo vissuto lontano dalla famiglia. Vittorio fu pervaso da una malinconia e da un pessimismo “orribili”, che gli impedirono di “apprezzare profondamente” le donne In tutte egli riscontrò tratti materni, che gli creavano sospetto e imbarazzo. Ritenendo tutte le donne inaffidabili come sua madre, l’Alfieri non prese mai moglie e preferì far da cavalier servente alle signore dell’alta società con le quali intavolò relazioni “senza impegno alcuno”. Passò così dalle braccia di Cristina Emerenzia Imholf a quelle di Penelope Pitt, a quelle della marchesa Gabriella Turinetti di Prié, a quelle di Luisa Stolberg-Geden, contessa d’Albany. Trattandosi di donne sposate, con tanto di marito vivo e vegeto, Alfieri evitò il “fastidioso inghippo del matrimonio”, anche se talvolta non poté schivare qualche duello con i mariti più biliosi.
Luisa d’Albany, innamoratissima di Vittorio, decisa a non lasciarselo scappare, ottenne dal marito la separazione. Ma lo scrittore “venne salvato dal matrimonio ingannatore” da un accesso di gotta e poi da una forma di depressione che sconsigliò alla sua innamorata di insistere sull’argomento e le fece intuire la fine del rapporto. Infatti poco dopo Alfieri conobbe la principessa Giuseppina Teresa di Lorena Armagnac, sposa di Vittorio Amedeo di Savoia Carignano, e ne divenne l’amante. Anche dopo questa conquista la salute psicofisica dell’Alfieri non migliorò: cefalee e dolori all’epigastrio ne fecero un malato psicosomatico in cerca di una madre odiata e amata, che non riuscì mai ad avere tutta per sé.
In conflitto col padre fu invece Mary Wollstonecraft, seconda di sette figli. Nelle sue memorie, ella scrisse che il padre trattava i membri della famiglia «come animali domestici». Egli dissipò il patrimonio famigliare in viaggi, libagioni e in regalie date alle amanti. Nei romanzi di Mary è sempre presente la figura del padre brutale e della madre schiavizzata dal marito. Malgrado la tirannia del genitore la ragazza riuscì da autodidatta a colmare la propria istruzione e a diventare insegnante. La Wollstonecraft, con l’esperienza che si ritrovava, non poté che diventare femminista. Anzi, fu una delle prime femministe in pectore anche se non ebbe mai modo di partecipare al movimento. Poiché guardava con sospetto gli uomini, non permise a nessuno di “dominarla né di dirigerla”. Insomma, aveva imparato che: « a lasciar fare al maschio, ci si rimette sicuramente». Proposito che però le venne meno, quando, nel 1796, incontrò William Goldwin, dal quale ebbe una figlia, che sarebbe diventata la moglie di Shelley. Purtroppo la scrittrice morì di setticemia proprio dopo il parto.
Un’altra donna fu marchiata dal potere di un padre padrone: Matilde di Quedlinberg, la quale, sebbene vissuta nel Medio Evo, si ribellò al genitore. Per tal motivo, a undici anni venne “scacciata” da casa e messa in un monastero. Matilde non perdonò mai a suo padre di averla brutalmente messa da parte, e verso di lui, per tutta la vita, provò una profonda avversione che le causò una insanabile misantropia. Matilde, chiusa nella cella del chiostro, per mesi fu colta da furiosa disperazione e da immenso odio verso il padre. Non dimenticò mai il burbero e crudele genitore che l’aveva soffocata in un monastero e da grande si prese delle rivincite su maschi. Divenuta badessa, e nominata reggente, in nome di suo fratello Ottone II, Matilde poté finalmente comandare i maschi oppressori. Infatti ella governò senza leggerezza femminile, usando tutta la forza e tutto l’odio accumulato contro il maschio, per riportare alla disciplina gli ufficiali ribelli dei re barbari e indurli alla pace e all’obbedienza. Matilde seppe tenere il potere temporale e quello spirituale grazie al suo inconscio bisogno di sottomettere in ogni uomo che le si opponeva, il padre prevaricatore. E così, a causa del suo rancore e dell’ostilità che aveva fece “pagare” a tutti gli uomini che incontrò nel suo cammino ciò che avrebbe voluto far scontare a suo padre.
Molte donne, come Matilde, deluse dal “maschio di famiglia”, cercano una rivincita per i soprusi subiti e prendono le distanze da qualsiasi uomo.
La psicoanalisi ha evidenziato che la persona frustrata dall’immagine genitoriale è piena di amarezze e cerca di sfuggire al “fantasma” dell’infanzia, odioso ed esecrabile. Accade così che la ragazzina, delusa dal genitore, è spesso sospettosa nei confronti dei maschi e magari li rifiuta, finendo persino, a volte, col guardare “teneramente” le persone del proprio sesso; così come il maschio, rifiutato dalla madre, di frequente diventa misogino e purtroppo anche violento con le donne.
Insomma, per un sano equilibrio bisogna augurarsi che l’influenza dei genitori non sia stata troppo coinvolgente. Infatti sia nel caso di chi è troppo affascinato dall’immagine genitoriale, come nella malaugurata ipotesi che ne sia stato deluso, il risultato è lo stesso. Madame de Staël, vissuta nel culto del padre, da grande affermò che egli era l’unico uomo che lei avrebbe voluto sposare, e passò da un uomo all’altro “sempre in cerca del padre” e senza mai riuscirvi. Hans Christian Andersen ebbe una giovinezza tormentata; perse il padre giovanissimo, e fu profondamente deluso dalla madre che quand’egli era bambino si curò poco o niente di lui, convisse con un altro uomo e divenne ben presto un’etilista. Da ciò, Hans ebbe un infelice rapporto con le donne e non riuscì mai sentirsi a proprio agio con esse.

il compromesso: a repentaglio la coppia 9

Nell’antichità la coppia fondata sull’amore e sulla simpatia era quasi del tutto sconosciuta: l’unione tra l’uomo e la donna si basava su un compromesso che ottemperava ad esigenze tribali, economiche, o dinastiche, che nulla avevano a che fare con i sentimenti.
Nel Medio Evo la scelta della donna ricadeva su una femmina fisicamente in grado di fare molti figli, di accudire la casa e il campo. Importava ben poco che fosse bella, sensibile e intelligente. Sebbene col dolce stil novo la donna ideale fosse considerata “angelicata”, tale caratteristica era richiesta solo dai poeti.
In quanto all’uomo, egli doveva essere nerboruto, rotto a tutte le fatiche e doveva comportarsi da vero mastino. Tra uomo e donna, dunque, non esisteva alcun dialogo: era necessario portare avanti i mezzi di sopravvivenza.
Solo a partire dal Seicento, si delineò il bisogno di una intesa culturale tra uomo e donna. Ma spesso non fu tra marito e moglie, bensì tra il cavaliere servente (il cicisbeo) e la sua dama.
Nella società occidentale ottocentesca la donna ideale era fragile e sentimentale mentre per l’uomo si imponevano qualità complementari a quelle femminili: egli doveva essere forte e protettivo.
Nei tempi moderni, l’unione tra partner che s’interessano e danno ognuno importanza a contesti del tutto diversi (lei vuole molti figli e lui no, lei vuole lavorare e lui non glielo permette, lui ama parlare di politica e lei no, lei s’interessa d’arredamento e lui no, lui ama il pallone e lei lo odia, lei ha un approccio di fede fervente, lui è del tutto tiepido, e via dicendo…) sussiste sempre. Più aumenta il numero delle divergenze, più c’è il rischio di incomunicabilità. E così, se i due non tollerano affatto le esigenze del partner, ma vogliono “restare uniti”, adottano continui e gravosi compromessi, tant’è che questo genere di rapporto, a volte, è vissuto con vera sofferenza.
La coppia Arthur Miller e Marilyn Monroe fu un esempio di stridente diversità di personalità e di incompatibilità culturale fra coniugi. Miller era un intellettuale mentre la moglie non possedeva né gli interessi né le esigenze culturali dello scrittore. Nella sua autobiografia il commediografo scrisse che al momento dell’incontro con quella donna bellissima, egli non immaginò di certo che ella fosse così ignorante da non aver mai letto nulla in vita sua. All’inizio della relazione Miller vide in Marilyn una creatura piena di fascino, in seguito gli apparve come una creatura vuota, priva di cognizioni e piatta.
In un primo tempo, per la verità, Arthur si dedicò all’educazione intellettuale della moglie. Per lei scrisse un soggetto cinematografico, dal quale venne tratto un film, Gli spostati. Tuttavia, svanita l’iniziale attrazione, l’unione divenne un macigno per entrambi. Le differenti esperienze culturali tra il drammaturgo e l’attrice ebbero il sopravvento, malgrado, come i due assicuravano, entrambi fossero ancora soddisfatti a letto.
La scrittrice Doris Lessing autrice, tra l’altro, oltre a La noia di essere moglie, e L’abitudine di amare, de Il taccuino d’oro, una summa di femminismo, confessò che il suo matrimonio era frutto di compromessi soffocanti, e privo di trasporto sentimentale. La Lessing infatti aveva sposato “il primo uomo possibile che le era capitato sotto mano”, cercando rifugio nel matrimonio per sfuggire all’oppressione della madre, donna autoritaria, bigotta ed ignorante, che le aveva impedito persino di leggere autori come Thomas Mann, Stendhal, Proust, Lawrence. Ma dopo qualche tempo dalle nozze, Dora, non sopportando che tra lei e il marito s’era instaurata un’unione puramente convenzionale, fu colta da «una dirompente claustrofobia matrimoniale».
Tra i matrimoni fondati sul compromesso e dunque non riusciti, spicca il legame tra lo scrittore Arthur Conan Doyle e la moglie. Arthur sposò Louise, sebbene non la trovasse né bella né intelligente, sol perché gli portò una discreta dote. L’inventore di Shernock Holmes, a quel tempo era un medico spiantato, senza clientela, che non riusciva a sbarcare il lunario nemmeno scrivendo romanzi polizieschi. Tra Arthur e Louse non vi fu mai un’intesa intellettuale, né comunanza d’impegni. Lo scrittore lamentava di vivere con la moglie “come due estranei nella stessa casa”. Dopo otto anni di matrimonio, di litigi e di estraneità, Conan Doyle pose fine a quel legame: abbandonò in Svizzera moglie e figli al loro destino.
Un compromesso fu anche la relazione tra Boris Pasternak e la pittrice Eugenia Lurie. Il matrimonio iniziò con una vorace e straripante passione sensuale, ma ben presto Boris, che tra l’altro non amava troppo la pittura, si disinteressò dei problemi della consorte, impegnato com’era a cercare la propria affermazione come scrittore. Eugenia, che voleva affermarsi come artista, accusò il marito di non capire la sua vocazione. Dopo dieci anni di «rovinosi disaccordi», lei partì per la Germania e Pasternak non volle trattenerla, era già innamorato di Zinajda Nejgauz, la donna che, dopo il divorzio, sposò.
Tuttavia non sempre le differenze temperamentali e culturali creano compromessi invivibili.
Nei primi del Novecento scandalizzò i “benpensanti” la relazione tra il filosofo Benedetto Croce e Angelica, la bella popolana analfabeta che il filosofò amò e sposò, trasgredendo le regole del bon ton. Per quel “colpo di testa”, il filosofo fu considerato spregiudicato tanto che i suoi amici cercarono di nascondere la sua unione con quella provocante mogliettina, che qualche maligno accusò anche di civetteria. Croce invece affermava che grazie al temperamento allegro ed esuberante di Angelica egli era divenuto meno serioso.
Una unione alquanto bizzarra fu anche quella del pittore Anselm Feuerbach che si legò alla popolana Antonia Risi, detta Nanna, moglie di un ciabattino e di certo molto poco istruita. Di quella donna irruente, dal carattere schietto e spontaneo, l’artista si invaghì follemente e ne fece la sua modella e la sua musa ispiratrice, sebbene Antonia non s’interessasse affatto di pittura.
Anche lo scrittore Giovanni Papini, uomo di vasta cultura e ricco di esperienze intellettuali, sposò un’analfabeta, tant’è che egli chiese alla moglie di Prezzolini d’insegnare a leggere e a scrivere alla sua “Lina”.
Pur non essendo un’intellettuale, Lina, bellissima e sensibile, fu di grande compagnia per Papini.
Malgrado questi ultimi esempi, tuttavia, per una buona intesa di coppia, oggi, che tanto spazio si da’ alla psicologia, non basta più, come un tempo, restare sotto lo stesso tetto per portare avanti “la baracca”: si richiede oltre all’attrazione, anche un affiatamento, un’affinità di interessi; un’amicizia, insomma che vivacizzi il dialogo e la quotidianità.
Sperare che l’unione possa rimanere salda anche quando i partner non hanno alcuna affinità tra di loro è un’utopia.
Infatti, dalla disarmonia di coppia, a volte, nascono drammi che corrodono e fanno vivere nel grigiore. Nella maggior parte dei casi, una mancanza di sintonia produce una greve “sopportazione” che finisce col cancellare il sorriso e spegnere gli entusiasmi.

menage fiacchi ma indissolubili 10

Il messaggio sociale “impone” alla coppia di ignorare le sabbie mobili nelle quali incappa, spingendola a mantenere saldo il legame, a volte anche al di là di ogni ragionevole buon senso. Seguendo queste “direttive culturali”, di ménage rimasti indissolubili pur non esistendo più l’unione di coppia se ne ricordano moltissimi, alcuni davvero emblematici.
Uno di essi fu quello del massimo filosofo tedesco del ‘900, Martin Heidegger il quale per oltre trent’anni non si decise a lasciare la moglie, sebbene fosse legato ad Hannah Arendt, la sociologa con la quale condivideva argomenti culturali e progetti intellettuali oltre che buona parte della sua giornata. Quando, dopo qualche tempo, la Arendt gli comunicò che avrebbe sposato un altro uomo dal momento che lui non lasciava la moglie, Martin, disperato pensò al suicidio, ma non al divorzio, sebbene il suo matrimonio fosse oltremodo fiacco e senza entusiasmi.
Qualche anno dopo Hannah lasciò il marito e tornò all’uomo che tanto ammirava.
Altro caso abbastanza emblematico è quello di Federico Fellini, il quale condivise i suoi successi lavorativi con la moglie Giulietta Masina ma nel contempo tenne una relazione seria con Anna Giovannini, donna intelligente che seppe capirlo, ma che il regista di “8 ½” , per oltre trent’anni, tenne lontana dalla ribalta. Fellini non seppe separarsi dalla Masina nemmeno dopo essersi sottoposto a varie sedute psicoanalitiche, e non solo non prese mai una decisione in tal senso, ma non riuscì nemmeno a lasciare l’altra donna.
In quanto a Marcello Mastroianni, l’attore ebbe, in costanza di matrimonio, appassionate e coinvolgenti relazioni sentimentali, ma non volle mai divorziare dalla moglie, Flora Carabella. Anche quando il bel Marcello s’innamorò pazzamente prima di Catherine Denève e poi di Faye Dunaway, non abbandonò Flora.
Dopo un lungo tira e molla, la Faye, che avrebbe voluto che l’attore divorziasse per sposarla, visti inutili tutti i tentativi, lo piantò affermando: «L’incapacità di Marcello a lasciare la moglie è tipica dei meridionali, che danno amore e affetto più degli anglosassoni, ma non sanno dare una svolta definitiva alla loro vita».
Quando Faye andò via, Marcello cadde nella costernazione, ma pur soffrendo, com’egli stesso confessò, “maledettamente”, non sciolse il matrimonio con Flora. Egli non si decise a divorziare nemmeno quando la moglie lo invitò a prendere una decisione in tal senso. L’attore sosteneva di provare per Flora amicizia e affetto, tant’è che volle festeggiare in pompa magna i vent’anni di matrimonio con la Carabella. Parlando del suo caso con l’amico Fellini, Marcello si rammaricava di “certe convinzioni sociali”: «Perché – si domandava – è normale, lecito e doveroso amare più figli, più fratelli, e non è ritenuto altrettanto “normale” essere interessati affettivamente più partner?».
Ma a volte il “doppio binario” in amore comporta grossi disagi. Un esempio tipico è la stressante vita privata che condusse Vittorio De Sica. Il regista di “Miracolo a Milano” e di tanti altri capolavori, volendo mantenere in vita due relazioni ebbe una frastornata esistenza per tenere sempre vivaci contatti con le sue due famiglie e con i figli avuti da entrambe le sue due compagne.
Per non fare discriminazioni, Vittorio, a Natale e a Capodanno oltre che nelle altre ricorrenze, chiedeva a una delle due donne di spostare gli orologi di casa in avanti e all’altra, viceversa, di mettere le lancette indietro. Così i bambini dell’una e dell’altra famiglia non s’accorgevano dei ritardi o degli anticipi con i quali babbo Vittorio celebrava le varie ricorrenze.
De Sica poteva così festeggiare in una delle sue due famiglie “a mezzanotte” l’arrivo dell’anno nuovo, quando in realtà erano le ventitré, e subito dopo recandosi nell’altra, ove brindava, sempre “a mezzanotte”, assieme all’altra compagna e agli altri bambini il nuovo anno. Una faticata alla quale De Sica sottostava piuttosto che por fine a una delle due relazioni.
Quei giochi d’equilibrio consentivano al regista, innamorato delle due donne, di non “perdere” né l’una né l’altra. Anche se, di fatto, come confessarono entrambe, finiva con lo scontentare ambedue.
Questo genere di politica familiare potrebbe sembrare esclusiva prerogativa maschile. Ma a volte anche in campo femminile ci sono esempi al riguardo persino in tempi passati.
La colta e raffinata contessa Teresa Gamba-Ghiselli, per volontà del padre andò sposa al conte Alessandro Guiccioli, uomo attempato e all’antica, cioè bigotto e poco galante. Teresa era invece piena di vitalità e desiderosa di conoscere gente che la facesse sentire donna. Il Guiccioli invece era alieno dalle frequentazioni che piacevano alla moglie.
Teresa, restando con una facciata rispettosa delle tradizioni, non lasciò il marito, ma non seppe rinunziare nemmeno ad essere l’amante di Byron, col quale aveva in comune la giovinezza, la passione per la poesia, per la pittura, per la musica, per il teatro e la grande voglia di sesso.
I due s’amarono a prima vista. Byron le chiese di lasciare il marito e seguirlo nei vagabondaggi in tutta Europa. Ma Teresa non si decise a compiere un passo che, soprattutto in tempi di grande perbenismo borghese, sarebbe stato avventato e denso di ripercussioni spiacevoli. E tuttavia la Guiccioli non era disposta nemmeno a rinunziare all’amore in nome del perbenismo: e quando la passione con Byron venne meno, Teresa non si perse d’animo e si legò al poeta Tribaldi, filosofo e studioso d’antropologia.
Il Tribaldi che era uno scrittore intelligente e sensibile, comprese i risvolti più reconditi dell’anima di Teresa e la fece felice. Ma la contesa nemmeno questa volta lasciò il marito, al quale rimase legata fino alla fine: «Stimo Alessandro, – diceva la Guiccioli – anche se non nutro alcuna passione per lui».
La scrittrice Elsa Morante, moglie di Moravia, era anticonformista, combattiva e vulcanica. Quando cominciò a rendersi conto che la fiamma cominciava a spegnersi, chiese al marito di non impedirle d’avere altre relazioni. Moravia, anch’egli d’idee originali in fatto di coppia, fu d’accordo che tra loro si instaurasse una vita matrimoniale libera. Elsa durante un viaggio negli Stati Uniti, poté intraprendere una tenera e intensa amicizia col giovane pittore newyorkese Bill Morrow, senza con ciò troncare il rapporto con Moravia. La scrittrice ebbe una altro intimo amico, il gallese Peter Hartmann, e anche questa volta non recise il legame con Alberto, che ella stimava moltissimo, e che affermava di “non potere abbandonare senza sentirsi impoverita psicologicamente”, anche se – confessava – verso di lui non nutriva più “alcuna passione carnale”. Quando un giornalista chiese a Moravia come mai avesse instaurato un menage così libero, egli affermò: «Le tensioni che si sviluppano all’interno della coppia possono avere picchi molto elevati. La convivenza crea lo scontro tra i caratteri, e l’incapacità di sopportare le esigenze dell’altro sono motivi dirompenti che, soprattutto in individui ipersensibili, producono tensioni fastidiose. In questi casi la rottura è inevitabile. Ma se non si vuol perdere i benefici dell’amicizia con l’altro, in qualche caso è possibile adottare alcuni “accorgimenti” che fanno continuare a vivere “assieme”, senza essere troppo “disturbati”»
Una filosofia che può sembrare paradossale, ma che è meno inconsueta di quel che appare, anche se l’esteriorità sociale fa di tutto per nasconderla.

L’amore immaginato: sentimento poetico che a volte ha risvolti drammatici 11

Il bisogno d’amare è ineluttabile. Spesso però chi ama “perde le coordinate” e non si accorge d’avere smarrito il senso della realtà. Emblema dell’innamoramento utopico e nel contempo patetico è la passione di don Chisciotte per Dulcinea, passione che si alimenta esclusivamente di sogni. Infatti il cavaliere della Mancia in un momento di lucidità afferma che: «Dio sa se Dulcinea esiste o no al mondo, e se è fantastica o non è fantastica, ma queste non sono cose che vanno appurate fino in fondo». Questa storia d’amore mette in luce una grave, tragica verità: a volte l’innamorato vive l’incanto dell’illusione. Nel caso di don Chisciotte, il suo servo, Sancho Panza, cerca di riportarlo alla realtà, ma il cavaliere non vuol sapere com’è davvero la “sua” Dulcinea: la immagina che infila perle e ricama in oro. Il suo scudiero gli fa invece notare d’averla vista accudire gli animali nel cortile, riordinare il grano e compiere infime faccende domestiche, e mette inutilmente a parte il suo signore che il nome della dama non è Dulcinea, altolocato, ma uno più banale, Aldonza.
Un amore idealizzato si trova nella protagonista del romanzo di Honoré de Balzac, “Eugénie Grandet”. Figlia di un affarista e di una mite domestica, questa fanciulla ha molti corteggiatori che spasimano per sposarla. Ma lei s’innamora del cugino Charles che non è ben visto dal signor Grandet, il quale proibisce alla figlia di frequentarlo. Ma Eugénie, dopo avere scambiato con Charles l’unico, casto bacio della sua vita, gli giura fedeltà eterna e vivrà nella dolcezza di quel ricordo, mentre il cugino la dimenticherà.
Un altro esempio di amore fantasticato si trova nel romanzo Washington Square di Henry James, in cui sono narrate le vicende d’una donna corteggiata da un uomo che vuole impossessarsi della sua dote. Pur conquistata dal bellimbusto, avendo compreso le sue intenzioni, essa trova la forza di respingerlo. Tuttavia non riuscirà mai più ad innamorarsi .
Racconta Renato Dulbecco che una delle ragioni che lo spinsero a rivestire, pur essendo un premio Nobel, i panni di presentatore del Festival di San Remo 1999, fu la speranza di attirare l’attenzione d’una donna con la quale sessanta anni prima era stato fidanzato, e che aveva perso di vista, senza mai dimenticarla.
Lo scrittore Ernst T. A. Hoffmann, in Don Juan, descrive la sua passione infelice per Julia Marc, deliziosa giovanetta diciassettenne alla quale egli aveva dato lezione di canto a Bamberg e alla quale, malgrado il divampare dell’amore, non riuscì a manifestare i propri sentimenti.
Passione struggente fu quella del trentunenne poeta svizzero Blaise Cendrars per l’incantevole attrice Raymone Duchteau, la quale gli consentì d’amarla, ma non volle essere toccata, nemmeno quando, nel 1947, divenne sua moglie: ella non fu mai di nessun uomo.
L’attrice Maria Denis fu preda di un persistente amore illusorio per Luchino Visconti. Ella pur conoscendo le propensioni sessuali del regista sperò che le si legasse almeno sentimentalmente. Maria, per salvare Luchino, arrestato dalle SS, divenne l’amante del generale Koch, ma fu accusata dai partigiani di collaborare con i tedeschi! Infatti il suo generoso e disperato gesto fu frainteso non solo dagli uomini della Resistenza ma anche dalla sorella di Visconti e dallo stesso Luchino che fu dimesso dal carcere, proprio grazie “all’intervento” dell’amica. Malauguratamente il regista, indispettito dal tradimento della Denis, non volle più vederla.
Atroce avventura quella della Denis, per salvare un immaginario sogno d’amore!
Puramente sentimentale fu l’attrazione tra il poeta Vladimir Majakovskij e Lili Brick. Tra i due, al primo incontro, sbocciò una furiosa ed inebriante passione, ma lei, benché attratta da quell’uomo, non si gli si concesse mai. Lili era sposata al giurista Osip Brik, e pur avendo instaurato col poeta un profondissimo legame, cercò sempre di “sterilizzare” il loro rapporto.
Lili e Vladmir si scrivevano promesse d’amore, con frasi struggenti e allusioni sessuali, ma quando s’incontravano, benché Vladimir cercasse di convincerla che l’amore si completa a letto, lei non volle mai saperne di avere rapporti con l’uomo che “amava spiritualmente”.
Ad un legame puramente sentimentale fu inchiodato anche il poeta Ungaretti. Ormai settantenne, dopo la morte della moglie Jeanne, «immaginò» e cercò una relazione affettiva con la trentenne Jone Graziani, insegnate di francese che egli chiamava “bambinetta mia” e “amorino dolce”. Al rifiuto dell’amata, il poeta reagì scrivendo la Poesia per Jone e altre liriche che le dedicò definendola la sua ossessione. Jone affermava: «Ungaretti rappresenta per me il massimo della liricità, il culmine della sintonia intellettuale, ma nient’altro; egli riesce a suscitarmi solo una grande stima».
Non dissimile fu la vicenda tra la scrittrice Lou Salomè e Friedrich Nietzsche, il quale l’amò con furore ma, inibito com’era, non riuscì ad andare oltre «l’intesa culturale». Il colmo dell’insuccesso Friedrich lo colse durante una gita, quando si appartò con Lou per esternarle la propria passione; ma paralizzato dall’emozione, tergiversò e non riuscì ad abbracciarla e baciarla.
L’amica si rese conto dei gravi complessi che affliggevano Friedrich, che, colpito da profondo shock le scrisse in seguito: «Devo a Lei il sogno più bello della mia vita» e la chiese in sposa. Ma Lou, rifiutò la proposta con cortesia ma con fermezza. Nietzsche, da quel momento, sprofondò nella disperazione. In seguito Lou confidò all’amico psicoanalista Ernst Pfeiffer:«Friedrich era imbarazzato come uno scolaretto e non m’ero sentita di prendere in mano la situazione» .
Giacomo Leopardi, carattere schivo e solitario, corteggiò molte dame senza fortuna. Tra gli “insuccessi”: la «languida e senza mordente», Fanny Targioni Tozzetti che gli ispirò le liriche del ciclo di Aspasia. Altro “insuccesso” a Pisa, dove Giacomo s’innamorò inutilmente della nobile irlandese Margaret Mason, femminista che aveva abbandonato marito e figli per vivere liberamente.
L’incapacità a dichiararsi apparve in tutta la sua drammaticità quando Leopardi venne fatto oggetto delle attenzioni della contessa Elena Mastiani Brunacci, le cui relazioni amorose, a lui note, avrebbero dovuto spingerlo a osare di più. Ma il poeta, pur invaghito della donna, che per altro lo corteggiava, non ebbe il coraggio di lasciarsi andare.
Sconfitte brucianti anche le frequentazioni con la nobile Sofia Vaccà Berlinghieri e con la gentildonna Lauretta Parra. Giacomo, con nessuna delle due osò mai sbilanciarsi. E audace e intraprendente, ma solo dal punto di vista epistolare, fu con la principessa Carlotta Bonaparte.
Amanda Lear e Salvator Dalì ebbero una relazione esclusivamente intellettuale. L’attrice racconta che il maestro, afflitto da grave impotenza, aveva un modo tortuoso di affrontare l’eros. Il sesso per Dalì era una miscela di voyeurismo e masochismo. Amanda confessò che, tutto sommato le andava bene: «In fondo, di amanti ne potevo avere quanti ne volevo, ma di Dalì artista, pittore, letterato, orafo, ce n’era uno solo ed era ciò che più mi esaltava».
Il poeta Montale amò e desiderò senza poterla mai avvicinare, Dora Markus, un’ebrea viennese della quale s’era innamorato dopo averla vista in una fotografia inviatagli dal critico letterario Bobi Balzen. Montale s’infiammava facilmente: s’innamorò di una donna, appena conosciuta, l’austriaca Gerti Frankl Tolazzi, che gli ispirò la lirica Il carnevale di Gerti. Il poeta la incontrò una sola volta, a casa del critico Matteo Marangoni, l’amò a prima vista ma preferì ricordarla con la fantasia poetica piuttosto che “rischiare” di vederla nella «sua quotidiana realtà».
A cinquant’anni, il poeta ebbe una folle passione per la venticinquenne Maria Luisa Spaziani, alla quale scrisse : «Mia fucsia Volpe, fui “assassinato” da te, anche se in modo inconsapevole».
Egli s’infiammò perdutamente di quella donna “dagli occhi azzurri e dai riccioli neri”.
Di molte donne il poeta s’innamorò, ma con poche ebbe una relazione, anche se tutte gli ispirarono poesie bellissime. Anna Uberti, fu l’”Annetta” del Diario, Esterina Rossi, fu “Esterina di Falsetto” in Ossi di seppia, Irma Brandeis è la “Clizia” de La Bufera, e Laura Papi è la “ninfa Egeria”, ispiratrice del romanzo Dopo la fuga.
L’amore non corrisposto del romantico scrittore parigino Gérard de Nerval per la bellissima attrice Jenny Colon, sfociò in dramma.Scosso dall’indifferenza della donna, Gérad finì in una casa di cura, e alternò anni di lucida creatività a crisi di delirio amoroso. Nel 1855 dopo aversi stretto una corda al collo si fece penzolare dalle sbarre di una finestra della sua casa.
In tasca gli trovarono un biglietto: «Peccato, mia diletta, avremmo potuto vivere felici!».
Fortunatamente, ai nostri giorni, l’amore non ha tali svolgimenti immaginativi. Oggi le unioni sono basate più sulla concretezza. Se ciò va forse un po’ a discapito del romanticismo, tuttavia consente una maggiore comunicazione e un senso più realistico del rapporto.

i pericoli dei partner competitivi 12

A volte non è solo la gelosia sessuale che rovina la coppia ma anche la competizione artistica è capace di spazzare via qualsiasi tenerezza.
Quando nella coppia vi è competizione, si produce una rivalità nevrotica e i successi del partner provocano dissapori e rendono sgradevole la relazione. Alcuni uomini, a causa dei successi delle loro partner, diventano aggressivi e intrattabili.
Un esempio lo fornisce il matrimonio tra Natalia Estrada e il presentatore televisivo Giorgio Mastroda. Il loro rapporto è andato in pezzi quando la notorietà dell’attrice ha superato quella del marito. Un altro caso emblematico è quello della pittrice inglese Eleonora Carrington e del pittore tedesco Max Ernst: i due, sebbene si amassero follemente, furono vittime di una grande tensione conflittuale causata dalla reciproca invidia per i successi conseguiti.
Per lo stesso motivo, farneticante fu l’unione tra i coniugi Fitzgerald i quali si accusavano a vicenda di plagio.
Francio Fitzgerald e Zelda Sayre si erano incontrati in Alabama, si erano amati a prima vista, ed erano convolati a giuste nozze; ma, eccentrici ed istrioneschi quali erano, furono sconvolti dalla reciproca gelosia artistica. Lo scrittore accusava la moglie di copiare le sue idee. Egli affermava che Zelda utilizzava, per la stesura di Save me the waltz, pagine dal suo romanzo Tenera è la notte. Zelda a sua volta, accusava il marito di avvalersi, nelle sue opere, del diario che ella andava scrivendo. Zelda, a causa di questi continui stress, finì in una casa di cura.
Anche il regista Renny Harlin fu geloso dei successi artistici della moglie, l’attrice Geena Rowlands. E difatti la loro unione s’incrinò proprio quando Geena conseguì l’Oscar e Renny, che era incappato in una serie di disastri “d’immagine” dovuti alla critica negativa e al disinteresse del pubblico per le sue opere, divenne furioso per il successo della moglie e volle il divorzio.
La conflittualità artistica si trova anche nella vicenda della scrittrice Francesca Duranti, il cui matrimonio si deteriorò quando ella, intenta alla stesura di un nuovo romanzo, fu accusata dal coniuge di «stare troppo tempo a redigere il testo». Eppure, era stato proprio il marito a spingerla a scrivere! Francesca in un primo tempo accondiscese alle esortazioni del coniuge e abbandonò la sua iniziativa letteraria, ma in seguito, incoraggiata dall’editore, pubblicò il libro e, visto il successo, decise di scriverne altri. A quel punto il marito chiese il divorzio.
Emblematica è pure la vicenda di Sidonie Gabrielle Colette e suo marito Henry Bauthier-Villars, conosciuto, da scrittore, con lo pseudonimo di Willy.
La fama di romanziere di Willy era immeritata, perché spesso egli aveva fatto scrivere ad altre persone i romanzi che poi pubblicava a suo nome. Henry spinse anche sua moglie Sidonie a scrivergli i testi. Sidonie s’impegnò nella stesura dei testi che Henry pubblicò a proprio nome, e che ebbero un grande successo. Alcuni tra i suoi racconti pubblicati a nome di Willy, ebbero rinomanza mondiale.
Il talento di Simonie non venne a galla se non quando lo scrittore Catulle Mendès, individuando nella nuova produzione di Willy una “mano nuova”, sospettò che fosse proprio la moglie a scrivergli i romanzi. Messa alle strette, Colette ammise d’essere stata lei a scrivere quei libri.
In seguito a quella confessione Bauthier-Villars divorziò dalla moglie. Dopo essersi separata da Bauthier-Villars, Colette finalmente firmò i romanzi che scriveva.
Vicenda matrimoniale carica di litigi fu anche quella di André Malraux.
L’autore de La condizione umana, quand’era poco più che ventenne, sposò Clara, una donna ricca e intelligente, ma la loro vita fu amareggiata dalla “concorrenza” artistica. Malraux aveva scritto tre romanzi e sei volumi di memorie quando sua moglie tentò d’emularlo. A quel punto lo scrittore indispettito dalla concorrenza coniugale e geloso dei successi della moglie, cercò di precluderle la carriera.
Anche Ernest Hemingway fu geloso dei successi artistici delle sue partner.
Ernest ebbe un tempestoso legame con Martha Gellhorn. La vicenda iniziò durante la guerra civile spagnola. La Gellhorn, inviata del settimanale Collier’s, era un’apprezzata corrispondente di guerra. Hemingway in quel periodo era sposato con Paoline, ma dopo l’incontro con Martha a Madrid, divorziò e sposò la sua nuova fiamma, con la quale andò all’Avana. La giornalista però non resistette a lungo alla vita sedentaria che le imponeva il marito e ricominciò a girare il mondo.
Hemingway rimase a Cuba, dedito alla stesura del romanzo Per chi suona la campana; quando però, nel 1943, apprese che la moglie era corrispondente sul fronte italiano, andò su tutte le furie, e, invidioso, brigò con la direzione di Collier’s per prendere lui il posto di Martha. A quel punto la moglie ebbe chiaro di quali bassezze fosse capace il suo Ernest e allora divorziò da lui e non volle più incontralo.
Anche nel mondo dello spettacolo la coppia formata da artisti spesso è colpita dalla gelosia professionale
Quando all’attrice Juliette Binoche fu assegnato l’Oscar per l’interpretazione de Il paziente inglese, il marito, l’attore Oliver Martinez, ebbe una profonda crisi di gelosia e il divorzio fu inevitabile.
Lo scultore Auguste Rodin, genio ambizioso, egocentrico e bilioso, accusò la scultrice Camille Claudel, sua allieva e amante, di copiare le sue opere.
Violenta diatriba causata dalla gelosia artistica fu quella che colpì un’altra copia celebre: Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Dopo il matrimonio Eduardo Scarfoglio cercò di offuscare la moglie professionalmente. Matilde, non accettando la condotta di Eduardo, fondò un altro quotidiano, “Il Giorno”, assieme all’avvocato Giuseppe Natale, col quale si legò anche sentimentalmente. Da quel momento, ebbe inizio una vivace diatriba giornalistica tra “Il Giorno” (del quale la Serao era direttrice) e “Il Mattino”, diretto da Scarfoglio e nel quale lavoravano anche i quattro figli nati dal matrimonio con la Serao.
Altro rapporto condito d’insulti e di scontri furibondi fu quello tra la Amalia Guglielminetti e Guido Gozzano. Amalia, scrittrice fascinosa, era nota agli inizi del Novecento per la sua prosa spregiudicata e per i suoi modi eccentrici e bislacchi. Guido si allontanò da lei perché ingelosito del successo letterario dell’amica. Amalia, atrocemente delusa, gli spedì una serie di lettere al vetriolo, provocatorie e dissacratrici.
In seguito un’altra unione tormentata afflisse la Guglieminetti: quella con lo scrittore Dino Segre, in arte Pitigrilli. Amalia presentò Dino nel mondo letterario, avviandolo al giornalismo. Tuttavia, Pitigrilli, così come Gozzano, mal sopportava il talento dell’amante ed era irritato dal successo di Amalia. Lei, umiliata e folle di rabbia, si ribellò con ferocia. La lite tra i due infuriò nelle riviste Le grandi firme e Seduzione, l’una diretta da Pitrigrilli, l’altra dalla Guglielminetti. In quelle pagine gli ex amanti si scambiarono invettive e volgarità, apostrofandosi con epiteti disgustosi.
Amalia, si spinse oltre ogni limite, inducendo un redattore della sua rivista, Anselmo Jona, a denunciare Pitigrilli come antifascista e sovversivo. Lo scrittore fu arrestato ma il console della milizia, Piero Brandimante, udita la difesa di Pitigrilli mandò a chiamare la scrittrice che, messa alle strette, confessò di aver alterato alcune lettere dell’amante per poterlo accusare.
La donna fu subito arrestata, ma il Tribunale, rendendosi conto che la vicenda era frutto del triste infortunio d’amore, ebbe pietà di lei e le inflisse una lieve condanna.
In Spagna, la toreadora Cristina Sanchez, dopo i lusinghieri successi nell’arena, stanca e «devastata» dalla gelosia del suo compagno, anch’egli toreador, si è ritirata a vita privata.
La fotografa Giovanna Del Magro, che era stata spinta dal marito a quell’attività, quando la sua carriera raggiunse l’apice, fu accusata dal coniuge di trascurarlo. Posta davanti all’aut aut: o abbandonare il lavoro o la separazione, Giovanna, scelse l’esperienza artistica.
Un matrimonio rovinato dalla competizione ideologica è quello tra Arafat e la moglie Suha. In un’intervista al giornale Ash-sharq al-Awsat, la scrittrice palestinese Raimonda Tawil, suocera di Yasser Arafat, ha spiegato che, a causa dei molteplici doveri pubblici del genero, il matrimonio tra sua figlia e il capo dei palestinesi non ha funzionato. Suha, greca ortodossa, per sposare Yasser, ha dovuto convertirsi all’Islam. L’impegno di Suha per la liberalizzazione della donna araba, ha messo in difficoltà il marito. Inoltre il fatto che Suha fomentasse la par condicio ha imbarazzato oltremodo la classe dirigente palestinese. E quando Suha, in una intervista a El Pais, ha criticato l’atteggiamento dei consiglieri del marito, tacciandoli di oscurantismo, il rapporto della coppia Arafat-Suha si è definitivamente incrinato e lei si è trasferita a Parigi, dove vive con la figlia Zahwa.
Oscar Wilde affermava che per far durare il matrimonio, i coniugi devono scegliere: o cercare la gloria e tendere all’affermazione di sé, o vivere nel limbo borghese.
Infatti la coppia formata da individui creativi, purtroppo, spesso va in crisi, perché in essi l’affermazione di sé, il più delle volte, è più forte dell’amore.

I Pigmalione in amore 13

Si narra che Pigmalione, mitico re di Cipro innamoratosi di una statua d’avorio di Afrodite, volle sposarla e la portò nel letto nuziale. La dea dell’amore, commossa da tanta devozione, fece vivere la statua e rese così possibili le nozze.
Metaforicamente parlando rifacendosi a questo mito,viene indicato come pigmalione in amore colui che simbolicamente trasforma la persona amata da una “persona senz’anima” ad un essere intellettualmente e affettivamente vivace.
Famoso è Pigmalione di G.B. Shaw, in cui un uomo burbero s’innamora di una popolana e la trasforma in una brillante dama inglese.
Il pigmalione, con i suoi atteggiamenti protettivi e pedagogici, incarna la figura del mecenate e del maestro; ma in pratica, è un’allegoria genitoriale: infatti egli dal punto di vista psicoanalitico, rappresenta il genitore che aiuta il bambino a crescere.
Bisogna anche sottolineare che chi insiste troppo nel comportamento della persona che aiuta troppo gli altri, manifesta tendenze compensatorie, e si tratta di un “complesso” che può dipendere dal fatto che il pigmalione ha “bisogno” di sentirsi importante.
Sono molti gli artisti che hanno ricevuto aiuto da un qualcuno che li ha scoperti, li ha amati e nel contempo li ha portati avanti nella vita e nel lavoro.
Il pedagogista J. J. Rousseau a sedici anni, dopo un breve apprendistato di incisore, abbandonò la casa dello zio Gabriel Bernard, al quale era stato affidato dal padre, e intraprese una vita vagabonda.
Fortunatamente per lui, ad Annecy s’imbatté in una donna che lo aiutò moltissimo, la ventinovenne baronessa Madame de Warens. Costei, intuendo le doti del ragazzo, lo accolse a casa, lo aiutò economicamente e lo sostenne psicologicamente. I due si legarono di profonda amicizia e ben presto divennero amanti.
Jean‑Jacques subì sempre nei confronti di quella donna una sudditanza “filiale” ed “edipica”, tant’è che chiamava la Warens “mammina”, e le restò legato per tutta la vita, proprio come si resta legati all’immagine materna, tant’è che nemmeno il lungo e ambiguo rapporto con la moglie distrasse Rousseau da quel legame.
Sarà curioso sapere che Rousseau scrisse nel 1770 la trama di un Pigmalione che venne rappresentato nel 1775 a Parigi, sotto forma teatrale mimata e parlata con accompagnamento musicale scritto dallo stesso autore.
Che spesso il mecenate nasconda carenze affettive lo dimostra il fatto che la signora Fanny Vandegrif, che aiutò lo scrittore Louis Stevenson, da ragazza aveva sofferto di solitudine, situazione che riscattò, in età adulta, frequentando tante persone e mostrandosi sempre disponibile ad portare avanti i talenti più emergenti.
Fanny da ragazza non ebbe grandi affetti, né fu molto curata dai genitori, sicché, da adulta, compensò le proprie carenze, prendendosi cura degli altri. Poiché ella si crucciava di non essere capace di scrivere, la sua relazione con lo scrittore mise a tacere anche le sue esigenze letterarie irrisolte, visto che Fanny, aiutando Stevenson, si identificava con lui e partecipava così anche lei ai successi letterari dell’amico.
Al tempo in cui incontrò Stevenson, la Vandegrif era sposata ed aveva tre figli. Suo marito aveva dieci anni più di lei ed era un ex-cercatore d’oro che aveva fatto fortuna; quando Fanny incontrò lo scrittore, rimase subito affascinata dall’intelligenza e dalla genialità di Louis, e comprese che sarebbe stato l’uomo della sua vita.
La biografa di Stevenson, Alessandra Lapierre, racconta che la Vandegrif aiutò molto lo scrittore, fu la sua musa ispiratrice, la sua critica letteraria più obbiettiva, ma, essendo una personalità molto forte, in qualche caso finì per soggiogarlo.
Una presenza, quella di Fanny, che allarmò non poco Katherine Stevenson, madre dello scrittore, gelosa del potere che quella donna “estranea” aveva sul figlio. La vecchia però si rassegnò ad accettare il ruolo della Vandegrif essendosi resa conto che la “sua rivale” riusciva ad infondere tanta fiducia a Louis da aiutarlo persino a reagire alla grave forma di tubercolosi di cui era affetto. Non solo, ma la Stevenson comprese che quella donna aiutava il figlio anche dal punto di vista letterario: infatti, dopo aver letto il romanzo Il dottor Jekyll e Mister Hide, Fanny aveva imposto allo scrittore di ridefinire il personaggio di Jekyll dicendogli: «Hai il dovere di far sognare il pubblico e contemporaneamente di interessarlo».
Stevenson seguì il consiglio dell’amica e raggiunse il successo.
Anche George Sand aveva la tempra di scopritore di talenti ed amava assistere ed aiutare qualche ingegno creatore, tanto da far scrivere alla psicoanalista Helene Deutsch che l’evoluzione femminile della Sand fu turbata da una mascolinità nobilitata dalla speranza di raggiungere un forte ideale di donna.
Scrive la Deutsch: «La scelta amorosa della Sand cadeva su uomini così detti “effeminati” (…) In questo tipo di amanti è facile identificare una naturale scelta complementare in cui il maschile e il femminile si completavano. La “maschile” Sand, (gli amici la chiamavano Monsieur), amava gli uomini effeminati».
Ed è verosimile l’intuizione della psicoanalista tedesca, dal momento che la Sand protesse ed aiutò molti artisti, consolandoli e aiutandoli psicologicamente ed economicamente.
Intenso fu il rapporto tra la scrittrice e molti geni del tempo, dei quali ella fu consigliera e fervida sostenitrice: da De Musset a Sainte‑Beuve a Victor Hugo, dallo storico Jules Michelet a Dumas figlio, al pittore Eugène Fromentin e altri.
Ma la predilezione la Sand l’ebbe per Fryderyc Chopin, del quale fu amica e amante. Epperò, avendo una tempra di dominatrice e una personalità fortemente autoritaria, con la sua possessività e la sua ossessiva passione, mise in crisi il compositore, il quale, dopo un po’, non sopportando più l’appassionato e invadente “amore materno” della scrittrice, fuggì lontano dalla sua benefattrice, né più né meno come aveva fatto, quando, ragazzino, s’era allontanato dalla sua opprimente e “borghese” mamma.
A proposito della tendenza della Sand a fare da pigmalione, la psicoanalista Helene Deutsch fa notare ancora che: «i numerosi amori di George Sand si concludevano immancabilmente in una medesima catastrofe. L’uomo appariva distrutto, mentre George Sand progrediva nella sua tempra “maschile”. Regola, questa, alla quale non sfuggì la relazione con Chopin il quale, nei confronti di George, da un lato fu attratto da una simpatia transferenziale, mentre dall’altro fu sconvolto dal dominio materno di quella donna.
Sulla falsariga della Sand, anche Sibilla Aleramo, personalità sicura di sé e piena di iniziative, aveva bisogno di esternare una protettività “mascolina”. Ella aiutò, facendoli conoscere al pubblico e alla critica, il poeta Cardarelli, Dino Campana, e Salvatore Quasimodo. Quest’ultimo, quando incontrò Sibilla, era ancora alla prime armi.
Oltre agli scrittori menzionati, la Aleramo ebbe al suo attivo una lunga serie d’amori. Le relazioni più note quelle con Papini, Boine, Emmanuelli, Franco Matacotta, il pittore Cascella e Clemente Rebora, il quale, anche a causa dell’incontro con la sfrenata Sibilla, entrò in convento.
Anche ad Italo Calvino piaceva comportarsi da pigmalione, tant’è che si prese cura di Elsa de Giorgi, piazzandola al Premio Viareggio, anche se va detto che il rapporto tra Calvino e la De Giorgi fu un’assistenza vicendevole.
In verità, Elsa, quando incontrò Calvino, era già un’attrice popolare e una promettente scrittrice. Sposata con l’industriale Contini Bonacossi, era bionda, bellissima, spigliata, colta; insomma era tale da far girare la testa a chiunque. Per Calvino, che a quel tempo viveva “sotto la tutela” della rigidissima e oppressiva genitrice, l’incontro con Elsa fu l’inizio della sua emancipazione: quella donna lo spronò a liberarsi dalle convenzioni borghesi di piccolo burocrate, che egli, sebbene comunista, non aveva mai abbandonato.
I due si scambiarono quattrocento lettere d’amore, l’«epistolario amoroso – secondo la filologa Maria Conti – più importante del nostro Novecento».
E come non ricordare che Alberto Moravia, la cui prima parte della vita fu dolorosa a causa di una grave infermità che gli comportò una certa depressione, si dedico a scoprire e a portare avanti dei talenti. Lo scrittore protesse ed aiutò Elsa Morante, Dacia Maraini, e la seconda moglie, Carmen Llera. Quest’ultima, in una intervista a Cesare Lanza, concessa al settimanale Sette, ha affermato che il suo approccio sessuale con l’uomo è alla pari, e che non gli permette di “essere dominante”. E ciò anche perché ha detto, finito l’amplesso vuole la sua libertà, e non intende “avere ingombri dopo il piacere” .
Tuttavia, anch’essa, malgrado questo che ha affermato, subì il fascino pigmalionico di Moravia.
Con tutte queste donne Alberto Moravia talvolta instaurò un rapporto di padre e figlia, e rappresentò per loro un porto “genitoriale”. Egli, mostrandosi pigmalione, cancellava le proprie carenze giovanili, fisiche e psicologiche.
In questo contesto va pure ricordato che Thomas Mann venne aiutato economicamente e socialmente dalla signora Mayer, sua grande ammiratrice e moglie di un industriale americano. Di questa donna lo scrittore, approfittò a volte anche sfacciatamente.
Grazie al fascino che esercitava su quella donna, Mann le fece intendere che il loro legame si sarebbe trasformato in un’intesa sessuale, ma in realtà, essendo egli omosessuale, non aveva alcun interesse erotico per la sua protettrice.
Per anni, dunque, le mentì sul tenore dei propri sentimenti, riuscendo a mala pena a nascondere che era interessato a lei solo per l’aiuto finanziario che l’amica non gli negava mai.
Una pigmalione fu anche Édith Piaf, la famosa canzonettista francese, la cui prima parte della vita fu molto travagliata. Partorita per strada, adottata da una maîtresse che si prese cura di lei, Edith visse in un bordello fino al raggiungimento dei quindici anni, e una volta andata via dal casino, cantò per guadagnarsi la vita.
Divenuta famosa, scoprì e aiutò molti talenti, tra cui, tanto per fare qualche nome, Ives Montand, Gilbert Becaud e il pianista Charles Dumont. A tutti la Piaf diede un avvenire e “offrì” anche il proprio letto, perché, oltre che essere altruista, era sensuale e trasgressiva. Infatti ella affermava che il suo “giaciglio” non era mai vuoto. Édith ebbe più relazioni contemporaneamente, ma la sua grande passione fu il pugile Marcel Cerdan, che, purtroppo, perì in un incidente aereo, lasciandola in una costernazione che la indusse ad ubriacarsi.
Dopo la relazione con Cerdan, Edith si legò all’impresario Lou Barrier; e, oramai avanti negli anni, incontrò un giovane sensibile, che chiamò l’Angelo, e che accolse in casa come segretario, che lanciò come cantante e che infine sposò.
Un pigmalione fu, ma a modo suo, anche Dino Buzzati, che a sessanta anni sposò una speranzosa scrittrice, la venticinquenne Almerina Antonazzi, che però, nemmeno dopo l’unione con lo scrittore riuscì a sfondare, forse perché la giovane poetessa era solo innamorata di Buzzati, e una volta raggiunto lo scopo di sposarlo, non ebbe altre velleità.
Del resto, Buzzati non era una tempra d’uomo che sapeva imporsi e probabilmente non si seppe imporre in campo editoriale per raccomandare la moglie; egli era un timido con una propensione per gli amori impossibili.
Uno di questi lo legò, quando aveva cinquant’anni a una prostituta, come lo stesso scrittore ha narrato nel suo libro “ Un amore”.
Per il resto, a parte quella con Almerina, Dino ebbe sempre relazioni travagliate, o appena accennate e mai portate a termine, come quella con la tedesca Elsa Della Sega, che Buzzati ritrasse nel quadro Il lampione e alla quale diede il suo primo bacio, quando aveva diciannove anni e lei ventisei, e che ricordò per tutta la vita senza più averla potuta incontrare.
Ma torniamo alla figura del pigmalione. L’esser umano ha una serie di bisogni dei quali non sempre ha piena consapevolezza. E così, fare il pigmalione giova a volte a non solo a chi è aiutato, ma anche a chi aiuta, in quanto conferisce autostima e prestigio.

il dislivello d’eta’ nella coppia 14

Esiste davvero un’età per l’amore? Secondo un luogo comune l’amore è retaggio della giovinezza e tuttavia passioni e tenerezze non si esauriscono nel primo periodo della vita.
Infatti spesso non è l’età che decide se un cuore non sia più in condizione di amare: è la mancanza di interessi, di entusiasmi, di idee che mette in pensione l’amore. Di “vecchi” se ne trovano anche sotto i trent’anni. Il discorso diventa assolutamente settario nei confronti delle donne mature: per esse il maschilismo non ammette che abbiano gradevoli incontri. La società ritiene che far figli sia il principale dovere delle donne, e che esse, una volta in menopausa, non dovrebbero avere velleità amatorie. E invece, e giustamente, sono molte le donne che rifiutano il pensionamento dell’amore. Paola Borboni a settantadue anni, sposò Bruno Vilar, di quarant’anni più giovane di lei. Era settantenne la marchesa Anne Marie du Deffand quando s’innamorò del quarantottenne politico inglese Horace Walpole, col quale instaurò una relazione amorosa. Ornella Muti (45 anni) è legata a Stefano Piccolo (37), Irene Pivetti (37) ad Alberto Brambilla (27), Alessandra La Capria(33) a Francesco Venditti (23 anni). L’attrice Barbara de Rossi, quarantenne, sta con il ballerino Branko Tasanovic, di 29 anni.
L’arcigno Machiavelli, in età matura, confessò: «Ho lasciato i pensieri delle cose grandi e gravi perché non mi diletta più tanto leggere le cose antiche, né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci su Venere».
Una passione travolse il cinquantaseienne Voltaire per l’adolescente nipotina Denise che lo adorava, essendo affascinata dalla sua vivacità intellettuale. Richard Wagner continuò ad amare fino a tarda età. Bertrand Russell fu tenero amante fino a tarda età. L’ottantenne Alberto Sordi afferma: «Vivere a lungo non deve essere una condanna, bensì un vantaggio».
In Giappone agli inizi del Novecento molte donne, arrivate alla maturità, stanche del gravoso carico familiare, divorziarono. Bertold Brecht, ne La vecchia signora indegna, racconta di una settantenne che si ribella alla vita piatta condotta fino a quel momento e che da quel momento comincia a divertirsi.
Jean-Paul Belmondo a sessantasei anni confessa ancora il bisogno di amare. A ottanta anni l’umorista Bob Hope, spiegò: «Arrivare a questa età significa ricordare più date e più cose, non smettere d’amare». Secondo l’attore Renato Cucciolla, quando si è anziani l’amore è una ricetta per non deprimersi. A sessantaquattro anni l’attore ha avuto un figlio dalla trentatreenne Alida Sessa.
Marlon Brando a settantuno anni ha avuto il suo dodicesimo figlio e Anthony Quinn ebbe a settant’anni un figlio dalla segretaria Kathy Benvin. Ernesto Calindri, ultranovantenne, affermò che ancora l’attività che più esaltante era fare l’amore.
Stefano Zecchi si è sposato a 54 anni con la ventiseienne Sara Fioretta. Leo Ferrè ebbe un figlio a 62 anni. John Wayne a 60 anni.
A settanta anni Bette Davis s’innamorò perdutamente del suo giovane segretario e la soprano Lina Cavalieri ebbe diverse focose relazioni fino a tarda età.
Produttività lavorativa, arguzia mentale e ars amandi sono aspetti di un’unica forza vitale. Chi è longevo nel campo dell’arte, della politica, del lavoro e delle scienze e degli interessi mentali e culturali è anche efficiente in amore.
Victor Hugo a sessanta anni scrisse Lavoratori del mare e I Miserabili e si legò alla giovanissima Juliette Douret. Wolfhang Goethe a cinquantotto s’innamorò della diciannovenne Minna Herzlieb. Passione ricordata nella figura di Ottilia, protagonista de Le affinità elettive. A settantatré anni lo scrittore chiese la mano della diciannovenne Ulrike Levetzow. Nove anni dopo completò il Faust.
Giuseppe Verdi fu un longevo spirito creativo: compose il Falstaff quando aveva 80 anni, e fu un infaticabile amante fino agli ultimi anni della sua vita.
Il Premio Nobel Guglielmo Marconi a 70 anni s’innamorò di una ventenne che egli chiamava affettuosamente Nene. Il pittore Marc Chagall a novantasette anni, era in piena attività lavorativa ed erotica come testimoniò Juliette Douviner. Il generale austriaco Radetzky a settanta anni si legò ad Hannah, la fida governante quarantenne, che gli stava vicino anche in camera da letto.
Lo statista Otto Bismarck‑Schonhausen abbandonò la politica alla ragguardevole età di 75 anni, e si ritirò a Friedrichsruh, in compagnia di una lontana parente, che aveva trent’anni meno di lui, e che fu la sua tenera amante.
Galileo Galilei a sessantasei anni s’innamorò della trentenne Alessandra Bocchineri Buonamici. Gaspare Gozzi si unì alla poetessa dell’Arcadia, Luigia Bergalli (in arte Irminda Partenide), di dieci anni più anziana di lui. A metà del ‘700, Benjamin Franklin nel suo saggio Advice to a Young Man enunciava “buone ragioni” per scegliere una donna matura. Il sessantacinquenne Francisco Goya y Lucientes s’innamorò della ventenne Leocadilla Zorilla e con lei visse gli ultimi anni della sua vita
Edgard Allan Poe sposò la tredicenne Virginia Clemm, figlia di una sorella della madre dello scrittore. Il matrimonio fu celebrato perché i testimoni che mentirono la età della sposa. Bela Bartok sposò l’allieva Marta Ziegler che aveva sedici anni meno di lui. Lo scultore Auguste Rodin a sessantatrè anni iniziò una relazione con la ventisettenne pittrice Gwen John.
Charles Chaplin a trent’anni sposò la sedicenne Mildred Harris. A quarantatré conobbe la ventenne Paulette Goddard e se ne innamorò pazzamente. A 54 ebbe la straordinaria vicenda con Oona, di trentacinque anni più giovane di lui. Charlie a 73 anni ebbe l’ultimo figlio.
Il sessantanovenne Carlo Cassola sposò Paola Natali, che aveva trentacinque anni meno di lui. E un amore senile legò anche il sessantenne Pasternak alla trentenne Olga Ivinskaja, dalla quale ebbe una figlia, Irina Emilianova.
Anche Totò ebbe relazioni “sbilanciate”. In quanto a Renato Rascel il comico sposò la soubrette Giuditta Saltarini, che aveva trent’anni meno di lui. Placido Domingo a cinquantasei anni convive con la ventenne Alessandra Duller. Il cinquantenne José Carreras si è innamorato della ventottenne Petra Schlapp. Luciano Pavarotti a sessanta anni s’è unito a Nicoletta Mantovani. L’attore Carlo Croccolo a settantacinque anni, in terze nozze, sposò una trentasettenne. Alberto Moravia si legò alla trentenne scrittrice spagnola Carmen Llera. L’attore Gary Grant sposò Barbara Harris di quaranta anni più giovane di lui affermando: « A ottantadue anni faccio ancora all’amore».
Lo scrittore Norman Mailer sposò in seste nozze Norris, che aveva trentacinque meno di lui. II novantacinquenne architetto, scrittore e regista Luis Tranker ha avuto un figlio dalla sua governante, la trentaduenne Martina Holler.
L’ultrasettantenne narratore Erskine Caldwell sposò una donna che aveva trent’anni meno di lui e che gli diede un figlio. A ottantatré anni, Giovanni Malagodi, leader dei liberali sposò la trentacinquenne Elena Iannotta. Arturo Toscanini ebbe una travolgente esuberanza erotica: a 66 anni si legò alla pianista Ada Colleoni Mainardi. Seicento lettere e trecento telegrammi testimoniano l’attività, i pensieri, le passioni e la vita del grande maestro. L’esuberante Pablo Picasso, a sessantacinque anni si legò ad una liceale, Geneviève Laporte. L’attrice Giuliana De Sio quando conobbe il regista Elio Petri aveva 20 anni e lui quasi cinquanta. La loro unione durò parecchi anni e fu molto solida, malgrado Petri fosse sposato e avesse due figli. Purtroppo il ménage venne stroncato dalla morte del regista.
Anche molte donne amano avere rapporti con uomini più giovani: Il mensile Le Temps Retrouvé ha condotto un’inchiesta dalla quale risulta che fare all’amore dopo una certa età non è problematico se si è efficienti e motivati e se in gioventù non si sono avuti problemi psicologici, sociali e sessuali.
«La pressione sociale rende invivibile l’eros degli anziani e condanna il ménage sbilanciato; anche se in tanti altri casi nemmeno il discredito sociale ha cancellato il buon esito di unioni tra persone anziane o tra anziani e giovani» afferma lo psicologo G. H. Hartmann. E tuttavia, non sempre è possibile prescindere dal pregiudizio sociale.
Non solo, ma un tempo s’era abusato nell’accettare il dislivello dalla coppia. Infatti, nell’antichità maschi ricchi e anziani impalmavano giovanissime, concesse loro da avide famiglie. Dal Quattrocento al Settecento le donne siciliane si sposavano tra i dodici anni e i diciotto anni con uomini più grandi di loro. Lo stesso accadeva in Puglia, nel secoli XVI e XVII, ove l’età del matrimonio delle donne era tra i quindici e i venti anni. Nei primi del Novecento, in Basilicata, le donne andavano all’altare a sedici anni. Ma quando le giovani non trovavano efficiente l’anziano marito, si consolavano con qualche coetaneo.

il mondo sommerso di alcune coppie 15

Fra tutte le componenti della dinamica di coppia la meno evidente è quella erotica, perché, essendo tabù, un ancestrale velo la ricopre, rendendola indecifrabile a volte anche agli stessi partner. Emblematica a tal riguardo la commedia di Vitaliano Brancati, Don Giovanni involontario in cui il protagonista, giunto nell’al di là, convinto d’aver fatto felici come nessun altro le donne che ha “amato”, apprende invece che è stato incapace di amare e di farsi amare.
Alla carenza di dati ricavabili dalla gente comune, suppliscono le biografie di alcune personalità illustri, che sono un palcoscenico nel quale è possibile comprendere come la componente intima di alcune coppie sia a volte alquanto bislacca.
Leonard Woolf e la scrittrice Virginia Stephen (nota col nome di Virginia Wolf) apparivano una coppia unita, ma le cose tra loro non andavano bene: Virginia, il cui ideale erano le donne, non volle fare sesso col marito, e Leonard, pur di starle vicino si rassegnò ai gusti della moglie
Della pudica regina Vittoria d’Inghilterra si sanno alcune indiscrezioni, che una dama di corte avrebbe ricevuto dalla regale maestà e che poi rese note nel proprio diario. Si sa che la regina si sottoponeva al “dovere coniugale”, solo per dare una discendenza alla dinastia, ma “non partecipava”, anche perché a quei tempi era sconveniente che una donna si lasciasse andare. Una pudicizia che era l’emblema stesso dell’Era Vittoriana. Vittoria riusciva a svicolare dal sesso con un escamotage: in quei momenti pensava all’Inghilterra e ai sudditi ai quali donare l’erede al trono.
Gli psicologi affermano che non è solo dell’Era Vittoriana che impera questo tipo di sessuofobia (Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa insegna).
Ben diverso fu il problema di Emma Hamilton, moglie dell’archeologo e vulcanologo sir William Hamilton, la quale confessò nel suo diario che il marito non onorava il debito coniugale. Emma alla fine spazientita si legò all’ammiraglio Nelson dal quale ebbe una figlia.
Nella metà del Novecento, in un’epoca in cui il sesso era ancora tabù e il perbenismo imponeva che almeno nell’apparenza matrimoniale tutto fosse normale, una curiosa vicenda creò un gran trambusto nella società bene. Protagonista fu una delle coppie più raffinate della Capitale, quella formata dal marchese Camillo Casorati Stampa di Soncino e dalla bellissima consorte, Anna Fallarino. La signora, senza che nell’ambiente nessuno avesse mai sospettato nulla, su richiesta del coniuge, faceva l’amore con i gigolò che il marchese le procurava e che pagava profumatamente. Durante gli incontri, Camillo scattava fotografie e filmava i giochi erotici della consorte, ricavando immagini che i coniugi rivedevano poi nel privato. La coppia andò avanti per anni senza dare scandalo. Nel suo diario, Camillo, descrisse quegli incontri come “molti intriganti”. Però quando a poco a poco l’ardente signora s’appassionò ad un affascinante studente Massimo Minorenti, il marchese sospettò che gli appassionati incontri fisici si fossero mutati in una storia d’amore. Il marito, “disperato” annotò nel diario: «È la più grande tragedia della mia vita: che delusione, non ho parole! Che schifo, che voltastomaco! Anna s’è innamorata dello studentello! Il suo è un volgare tradimento d’amore!». A quel punto il Casorati, “offeso”, imbracciò il fucile e fece fuoco sui due amanti. Poi rivolse l’arma contro di sé.
Un caso simile, meno cruento, era accaduto più o meno in quel tempo: protagonisti un famoso avvocato del foro romano, Giuseppe Sotgiu e la moglie Liliana Grimaldi.
Il Sotgiu, docente di procedura penale, presidente della giunta provinciale ed alto esponente del Pci era considerato fustigatore dei costumi ed esempio di moralità, tanto da essere scelto da Togliatti per presiedere la commissione di riabilitazione dei minorenni. Sebbene il Sotgiu in vari processi si fosse scagliato contro l’immoralità “occulta” degli ambienti altolocati della capitale, egli era invece solito frequentare con la moglie una casa d’appuntamento gestita da Rita Fantini, ove avvenivano scambi di coppia. Una volta mentre la signora Sotgiu, in presenza del marito, era in intimità col ventenne Sergio Rossi, vi fu un’irruzione della polizia. La notizia riportata da tutti i giornali creò uno scandalo enorme e mise in luce gli “strani” incontri del penalista.
Un sottobosco “particolare” di coppia fu evidenziato dalla tragica vicenda accaduta al poeta russo Aleksandr Sergeevic Puskin. Sua moglie Natalia Goncarova, donna bellissima, si era legata al cognato, il barone francese George d’Anthès, marito di sua sorella, perché Aleksandr era, a detta della moglie, “molto carente nell’intimità”. Puskin non fu turbato della cosa più di tanto, anzi, in cuor suo era contento di non essere costretto più ad assolvere a un dovere, quello coniugale, che non gli andava. Ma quando dopo qualche tempo l’intrigo venne a galla, lo scrittore, per non perdere la faccia, sfidò il rivale a duello, e lo scontro si concluse, purtroppo, con la morte del grande autore russo.
La straziante incomunicabilità con l’altro sesso e l’incapacità a mantenere un rapporto di coppia, portarono il poeta Vladimir Majakovskij al suicidio. Vladimir non si era rassegnato all’idea di essere stato abbandonato dalla sua Lili Brik, che aveva troncato la loro convivenza rinfacciandogli di non saper fare all’amore.
Malgrado la struggente passione del trentunenne poeta svizzero Blaise Cendrars per la dolce e incantevole attrice Raymone Duchteau, tra i due non vi fu mai intimità, tant’è che ella gli consentì d’amarla, ma non volle essere toccata nemmeno quando, nel 1947, accondiscese a farsi sposare. I due vissero come una coppia “normale” e solo pochi intimi conoscevano il loro patto di assoluta castità. Diceva Raymone, che il nutrimento del suo eros erano le poesie di Cendrars. Infatti ella, sia prima che dopo aver conosciuto Blaise, non ebbe mai rapporti con uomini e non li ebbe nemmeno con suo marito.
Un caso di unione fatta di pura interiorità intellettuale, quasi senza unione fisica, troviamo nella coppia Franz Kafka e Milena Jensenska. I due diedero vita ad un rapporto affettivo intenso, ma la loro intimità solo a sprazzi ebbe qualche risveglio. Franz era spesso avvilito da crisi depressive che gli facevano ritenere tutto inutile, compresi l’amore e il sesso. Milena, che in apparenza sembrava una donna eterea e intellettuale, tanto che nessuno suppose che quella donna avesse una gagliarda vitalità erotica, alla fine piantò lo scrittore per un prestante orchestrale, ma rimase spiritualmente vicina a Kafka fino alla morte.
A volte nemmeno tutte le scienze sociali e neanche la fenomenologia sono in grado di dare informazioni corrette sull’intimità di una coppia. Spesso i partner cercano d’apparire in società come se non avessero problemi di quel tipo, sicché è difficile, se non impossibile, interpretare ciò che accade nella loro intimità.
L’eccentrica nobildonna Luisa Amman Casati, che portò avanti alcuni dei più importanti movimenti culturali del ‘900, appariva un’intellettuale eterea e del tutto lontana dai grandi appetiti erotici. Invece ebbe una vita intima intensa, sia col marito, il marchese Casati Stampa, che con altri partner quando, come ella stessa scrisse nel proprio diario, il calo del desiderio nell’ambito matrimoniale si fece sentire. Luisa rivisse nuovamente le gioie dell’alcova con lo scrittore Compton Mackenzie e con il futurista Filippo Marinetti.
Un esempio all’inverso di quello della Casati fu Jayne Mansfield. La bionda e prosperosa diva degli anni Cinquanta, sexy symbol hollywoodiano, fece sognare generazioni di maschi, ma non era, come appariva, una mangiatrice di uomini, anzi, era del tutto frigida. Stare con lei, confidò Arnold Scwarzenegger, col quale la diva girò The Jayne Mansfiedl Show, era come abbracciare una colonna di ghiaccio.
Tendenze particolari, acrobazie e defaillance nell’ambito della coppia restano nascoste perché condannate dal “tabù sociale”. La disillusione di uno o di entrambi i partner, a causa di un malinteso perbenismo, non sempre viene alla luce, e così consolida una deleteria routine che incrina prima o poi il rapporto. Accade così che alcune donne ritengono di non poter “migliorare” la loro intimità, ma il più delle volte sono solo disinformate; in quanto agli uomini che soffrono “carenze”, essi non solo difficilmente le confessano alla partner, ma le nascondono persino in sede terapeutica.
Insomma, problemi, difficoltà e funambolismi erotici all’interno della coppia, sono rischiosi per l’equilibrio psichico e prima o poi finiscono con l’esplodere in tutta la loro drammaticità.

il triangolo nella coppia 16

C’è chi ha bisogno di un rapporto immutabile per sentirsi sicuro e chi, invece, mai appagato dalla routine, sperimenta nuovi amori, imbastendo rapporti triangolari. I ménage à trois, a volte sono “accettati”, in altri casi invece sono motivo di tragedie. Quando lo scultore Gianlorenzo Bernini, scoprì che suo fratello Luigi andava a letto con Costanza Bonarelli, la sua amante e moglie d’un assistente del suo studio, sfregiò la donna e cercò di strozzare il fratello.
L’effervescenza amatoria, consueta in casa Savoia, ha creato una serie di “triangoli”. Vittorio Amedeo II, re di Sicilia e di Sardegna, impose come dama di compagnia, a sua moglie, regina Anna d’Orléans, la diciottenne contessa Jeanne Baptistine di Verruca che era la sua amante. Da lei sua Maestà si aspettava molto, perché la regina non gli aveva dato l’erede maschio, mentre la contessa aveva già fatto due maschi col proprio marito. Ma le aspettative regali non furono esaudite: Jeanne Baptistine diede al re una femmina, e Vittorio Amedeo finì col trascurarla.
Per ironia della sorte, di lì a poco la regina Anna diede al marito l’erede maschio legittimo. Vittorio Amedeo II, che non era un “cavaliere”, si disinteressò della sfortunata contessa.
Anche Carlo Alberto, mise su un triangolo. La ragion di stato lo costrinse a sposare Maria Teresa d’Austria e Toscana, ma egli amava la contessa Maria Antonietta Truchsess di Robilant, moglie di uno dei più prestigiosi ufficiali della corte.
Quando Carlo Alberto salì sul trono, chiamò accanto a sé il colonnello di Robilant ed elevò Maria a prima dama d’onore della regina. La contessa visse con discrezione accanto a Maria Teresa e la regina apprezzò la sua compagnia. Il re piemontese, benché avesse sempre evitato i pettegolezzi, non poté evitare che la sua storia d’amore venisse a galla. Forse per colpa della sua vicenda sentimentale, invecchiò e s’incupì anzi tempo.
Il suo successore, Vittorio Emanuele II instaurò anch’egli un triangolo tra la bella Rosina, e la moglie, la regina Maria Adelaide. Il legame con Rosina, figlia quindicenne del tamburo maggiore dell’esercito, fece tornare al re l’entusiasmo e la voglia di vivere. Vittorio Emanuele II aveva altre amanti, ma per quella ragazza perse la testa, e da lei ebbe molti figli. La regina, rassegnata, permise che Rosa Vercellana abitasse nel parco di Stupinigi, per dar modo al marito di stare vicino ai figli che Rosa gli aveva dato.
A conferma che a casa Savoia, come in tutte le altre case regnanti, le cose andavano per quel verso, Umberto I dopo il matrimonio con Margherita,continuò a dispensare i suoi favori alle più belle donne del regno. Nella lunga lista ci furono l’attrice Emma Ivon, la nobile Vincenza di Santa Fiora, la moglie del marchese La Valle e la “dolcissima” Eugenia Litta Modigliani.
In un triangolo paradossale incappò Francesco Crispi. Egli era sposato con Rosalia Montmasson, stiratrice torinese, gelosa, nevrotica e complessata, ma nel 1877 il sessantenne ministro degli interni, da tempo legato alla trentaseienne Filomena Barbagallo volle regolarizzare la sua posi­zione, sposandola! A quel punto Rosalia denunziò il marito per bigamia e Crispi fu costretto a dimettersi. Solo grazie a una serie di brogli, il noto uomo politico si salvò dalla galera.
Un curioso e inconsueto triangolo fu quello tra Victor Hugo, sua moglie Adele e il critico Charles A. Sainte Beuve. La devota passione di Charles fece dimenticare ad Adele i diverbi col marito. Victor Hugo, a sua volta, era innamorato di Juliette Drouet della quale diceva che timolava la sua produzione letteraria. «Senza di lei, non potrei più produrre nulla».
Un altro triangolo di dominio pubblico, fu quello tra l’ammiraglio Horatio Nelson ed Emma Hamilton, moglie dell’archeologo sir William Hamilton. Il vecchio e malandato Lord Hamilton, non volendo perdere la moglie, accettò la passione di Emma per l’ammiraglio, adattandosi a seguire i due amanti per l’Europa.
Pettegolezzi scoppiarono quando Emma diede alla luce una bambina che ipocritamente venne presentata come figlia adottiva. Quando Nelson perse la vita a Trafalgar, Emma Harte Hamilton, disperata, si dette al bere.
Un ménage simile a quello di lady Hamilton e Nelson, legò Ludwig I° Baviera a Mariannina Florenzi, figlia del conte Bacinetti. Quando Ludwig re intellettuale e grande amatore, conobbe Mariannina, «la più attraente delle donne», se ne innamorò perdutamente. Divenuto re, non dimenticò la dama romana, moglie del marchese Ettore Florenzi. Egli cercò conforto in quell’ amore, perché il ménage regale non era dei migliori.
Ezra Pound, poeta schivo e raffinato, marito di Dorothy Shakesperar, quando andò a Parigi s’innamorò della giovane violinista irlandese Olga Rudge, che gli diede il sospirato figlio; ma poco dopo la nascita di quel bambino, per ironia della sorte, anche Dorothy restò incinta, e da quel momento Pound visse contemporaneamente con la moglie, il figlio Omar, Olga e l’altro figlio.
Un triangolo vissuto schiettamente legò il critico d’arte Lionello Giorno a Linuccia Saba e al pittore Carlo Levi. Levi coabitava con Liuccia e col di lei marito, il quale non si ribellò mai al trentennale legame della moglie col pittore.
Stravagante triangolo anche quello tra il poeta Vladimir Majakovskij, la scrittrice e regista Lilia Jurevna Kagan e il marito di lei, il critico letterario Osip Brik.
I Brick continuavano a vivere assieme, malgrado il legame di Lilia con Majakovskij, ma questi era molto geloso del marito. Così, quando per caso i coniugi Lilia e Osip volevano fare all’amore, per non esser disturbati da Vladimir, chiudevano a chiave la porta della stanza del poeta per restare in intimità. Se Vladimir se n’accorgeva, scoppiava in eccessi d’ira furiosa.
Quando David Lloyd Gorge cancelliere dello scacchiere inglese, a quarantanove anni, s’innamorò di Frances, giovane insegnante della figlia, la volle sua segretaria particolare. Frances entrò nella vita di David, col quale condivise per anni ore ed ore di lavoro, tempo libero, viaggi e quant’altro capitava al “suo uomo”.
Del presidente francese Mitterrand si ricorda l’avventura dalla quale gli nacque una figlia. Mitterrand, che era sposato, di quella relazione e della figlia tacque sempre, e solo quando una giornalista rese pubblica la notizia, lo statista ammise i fatti.
Una vicenda molto riservata, in verità, quella tra l’ex cancelliere tedesco Helmout Kohl e la sua segretaria personale, Juliane Weber. Con essa Kohl discusse sempre tutte le sue azioni politiche. La moglie, signora Hannelore, che aveva “digerito” quel modus vivendi del marito, trascorse buona parte della sua esistenza studiando e interessandosi d’arte.
Insomma, i triangoli sono situazioni pericolose, ma in qualche caso nessuno se ne cura più di tanto.

le coppie aperte 17

Il filosofo medievale Abelardo, nella sua Historia calamitarum, riporta una lettera della sua amata Eloisa, nella quale essa rileva che bisogna lasciare spazi aperti nella coppia “per non soffocare”. I due ricordati nella storia per il loro tenero e affettuoso amore, contraddicono così la convinzione che la coppia aperta sia poco solida.
Uno dei più grandi filosofi del XX secolo, Bertrand Russell, ebbe una buona intesa con l’universo femminile, tant’è che nelle proprie vicende sentimentali, raggiunse un ottimo livello d’intimità con le donne con le quali si legò, in particolare con Lady Costance Mallenson, e con Lady Ottoline Morrell. Con esse Russell riuscì a creare una profonda sintonia umana e culturale, anche se tenne in ogni circostanza a mantenere la coppia aperta.
J. P. Sartre e Simone de Beauvoir ritennero che la coabitazione porti contrasti e conflitti, e così il loro rapporto andò avanti senza «gli sgradevoli sviluppi della convivenza». Nell’ambito domestico, dicevano i due scrittori, si sviluppano contese, liti e dissapori. Dare spazio alla libertà del singolo, affermavano, attenua le tensioni di coppia. Simone fece vari viaggi da sola o accompagnata da qualche amico; il salotto di J. P. Sartre era frequentato anche dalle sue amiche intime; e tuttavia Sartre e la Beauvoir rimasero legati finché vissero.
Anche il comico Totò amava la coppia aperta. Dopo aver sposato nel 1935 Diana Bandoni-Rogliani, divorziò da lei nel 1940, perché non sopportava le strettoie del matrimonio, ma i due vissero assieme altri dieci anni da coppia aperta.
Legame affettuoso e intellettuale molto intenso fu quello che unì Albert Schweitzer a Helene Bresslau, studiosa di storia dell’arte. Schweitzer a quel tempo era docente universitario e vicario di una parrocchia protestante, oltre ché organista e concertista di fama mondiale. Convinto sostenitore che la felicità sta nel dedicare la propria vita a chi soffre, egli riteneva suo dovere restare scapolo e in ogni caso, formare solo una coppia aperta con Helene, per non condizionarla nelle sue scelte. Albert, dava concerti in Europa, accudiva i suoi parrocchiani, insegnava Teologia all’Università, scriveva libri, Helene insegnava e viaggiava per studiare le opere d’arte. Quando Albert divenne medico, aveva quaranta anni, e annunciò alla sua compagna che sarebbe andato in Africa per aiutare i bambini abbandonati e la Bresslau approvò la scelta senza batter ciglio. Ma Albert, prima di partire, assalito dai sensi di colpa per essere sul punto di abbandonare l’amica, chiese ad Helene, di sposarlo e con lei andò in Africa. Il loro fu un esempio di coppia aperta che non si corrose nel tempo, e che alla fine, anzi, si consolidò.
Peggy Guggenheim, mecenate e ricca ereditiera, proprietaria di importanti musei d’arte nel mondo, sposò giovanissima Eugenio Vail, dal quale si separò perché si sentiva soffocare dalla invadenza “affettiva” del marito. Eugenio voleva invadere la sua privacy, programmarle la giornata, indicare chi doveva e chi non doveva frequentare. Peggy non sopportava che suo marito intendeva stabilire in quali ore lei doveva rincasare, prendere sonno e quando doveva svegliarsi al mattino. Abbandonato l’assillante Vail, Peggy si legò a Marcel Duchamp, dal quale si separò a causa della gelosia di quest’ultimo. In seguito Peggy instaurò una “felice” coppia aperta con John Holms e dopo che rimase vedova s’unì a Samuel Beckett. Con lui e via via con gli altri compagni della sua vita (il pittore Leonard Léger e lo scrittore André Breton), Peggy visse in assoluta libertà. «Non riesco a sopportare un uomo che mi controlli, che mi osservi e che mi indichi il sapone che devo usare o come devo nutrirmi o vestirmi» «Il rapporto tra un uomo e una donna – disse Peggy in una intervista a News Week – deve essere improntato a uno schema adulto, non a melensi rapporti infantili»
Un esempio di coppia aperta quella di Edda Mussolini con Galeazzo Ciano. Papà Benito aveva educata la figlia (che per anni fu sua consigliera politica) a vivere da “maschietta”: forte, autonoma, trasgressiva. Ma, incongruenze della vita, Mussolini, geloso, la faceva pedinare dalla polizia segreta, quando temeva che la figlia si facesse sconsideratamente consolare da qualcuno!
Dopo aver imparato a vivere liberamente, Edda sposò Galeazzo Ciano e il matrimonio non bloccò la libertà di quella donna evoluta e di idee progressiste.
Poiché non riusciva a vivere in quell’ambiente borghese, Edda pressò perché il marito fosse inviato in India. Arrivati in quelle terre lontane, lei e Galeazzo fecero un tacito accordo: ognuno dei due non avrebbe intralciato la libertà dell’altro. Questa libertà non impedì che Edda, nel momento del maggior pericolo per il marito, si battesse (purtroppo senza risultato) con determinazione e coraggio per salvarlo.
L’attrice Mariangela Melato nella trasmissione Novecento del 7 maggio 2001, ha dichiarato di sentirsi realizzata perché non è mai entrata in un ménage “chiuso”. Pur essendo stata affettuosamente legata “a meravigliosi compagni”, ha detto di essere vissuta sempre in coppia aperta, per non togliere spazio alla libertà di espressione e per non chiudersi «nell’angusto ambito della coppia stereotipa». La Melato ha affermato che la sua “politica di coppia” le ha consentito di poter crescere psicologicamente, affrancandosi da una eccessiva dipendenza dall’uomo.
La scrittrice Luciana Peverelli confessò alla giornalista Dina Luce che il suo matrimonio con un lord inglese fallì perché il marito non le permetteva nessuna libertà, né la faceva svagare perché era un pantofolaio: «Per anni rimasi così intrappolata accanto a lui»
In seguito la novellista italiana divorziò e instaurò una convivenza “elastica” con i compagni con i quali si legò, “per evitare di restare soffocata da una convivenza schiacciante”.
Vittoria Griffin, poetessa inglese, scrisse: «Personalmente ritengo che alla pienezza del sé nell’ambito della coppia si possa pervenire quando si ammette una certa libertà tra i due»,
Convinti dell’utilità della coppia aperta furono Luciana Lojodice ed Aroldo Tieri, i quali, sebbene legati da un grande amore, vissero sempre in case separate. L’attrice spiegò così la loro scelta: «La nostra unione si è salvata proprio perché abbiamo evitato l’invadenza sgradevole della convivenza». E la Lojodice affermò altresì: «Alcuni criticano il nostro modo d’agire, ma come poter rimproverare l’inclinazione alla coppia aperta, considerando che molte coppie tradizionali che vivono in maniera “socialmente consueta” nella stessa casa, si lacerano, si odiano e non si capiscono?»
Tuttavia per instaurare questo genere di mènage bisogna che i partner siano preparati al riguardo, sappiano dominare sentimenti come la gelosia, il senso d’insicurezza e il bisogno di protezione.
Questo non sempre accade, e un esempio è il caso dello scrittore D. H. Lawrence il quale, quando conobbe la signora Frieda von Richtofen, moglie di Ernest Weekley, suo professore d’inglese, le propose di divorziare e di sposarlo. Frieda l’avvertì: non intendeva rinunziare alla propria libertà; Lawrence le promise che non avrebbe intralciato la sua emancipazione. Ma il ménage aperto non funzionò proprio a causa della gelosia del grande scrittore.
Un fallimento fu anche il ménage “aperto” del romanziere Ernest Hemingway con la giornalista Martha Gellhorn. Hemingway dava di sé un’immagine d’intellettuale vigoroso, ma in realtà era una persona fragile. Quando sposò Martha accettò il principio della coppia aperta. Martha avrebbe potuto fare l’inviata speciale e girare per il mondo e lui restare all’Avana a scrivere libri. Ma quando la Gellhorn cominciò a viaggiare, Ernest dapprima la seguì ovunque lei andava, poi stanco e travolto dalle proprie insicurezze, se ne tornò all’Avana e chiese il divorzio.
Nella coppia “tradizionale” in molti casi, prima o poi, uno dei due partner finisce col fare il leader, e l’altro il gregario. I partner delle coppie aperte vogliono proprio evitare questo, nella convinzione che la gioia di stare insieme sia positiva quando vi è un margine reciproco di libertà e di eguaglianza. Perché ciò avvenga è necessario che abbiano instaurato tra loro un buon rapporto d’amicizia, solido, collaudato e senza falsi pudori.
Ma tutto questo, forse, si riesce raramente a raggiungere.

le coppie (quasi) impossibili 18

C’è un genere di unione difficile da gestire, che provoca situazioni frustranti e paradossali: si tratta delle coppie formate da un eterosessuale e un omosessuale. In questi casi solo il buon senso e la capacità di sopportazione può far fronteggiare un rapporto equivoco, conturbante e denso di dissonanze.
Il compositore russo Piotr Iliic Ciaikovskij, che era omosessuale, intrattenne una “amicizia sentimentale” con la statunitense signora Nadezhda von Merck. Una relazione, questa, che il musicista condusse sul filo dell’equivoco. Infatti egli fece credere a Nadezhda di provare per lei un amore puro, occultandole le proprie propensioni sessuali per non perdere l’assistenza economica della generosa benefattrice.
Piotr non sopportava rapporti erotici con donne e così non volle incontrare la Nadezhda. Egli inventò una scusa romantica: disse all’amica che, se il loro amore si fosse nutrito solo di contatti epistolari, non si sarebbe sciupata la bellezza della relazione.
Una scusa platealmente sospetta, alla quale la donna, pazzamente innamorata del musicista, credette ciecamente. Per tredici anni la von Merck mandò lettere vibranti d’amore all’uomo che ammirava, accompagnandole con ingenti contributi in rubli.
Prima dell’amicizia con Nadezhda, Piotr Ilic, tentando di negare la propria omosessualità, aveva sposato un’allieva, Antonia Miljukova. Quel matrimonio spiegò poi alla Nadezhda, era stato da lui contratto per poter assistere finanziariamente la ragazza. Il gesto suscitò la pietà dell’amica, che gli mandò ancora altro denaro «per salvare Antonia».
Ciaikovskij, che soffriva di crisi paranoiche, confidò alla Merck di provare per sua moglie un grande disprezzo, fisico e “morale”. Egli descrisse Antonia come una strega: «Non solo non m’ispira il minimo sentimento ma mi è così odiosa che il mio disgusto per lei cresce di ora in ora», poi aggiunse: «Tutto in Miljukova è affettato. La sua testa e il suo cuore sono completamente vuoti».
Ambigue e paradossali anche le condizioni in cui si svolse il rapporto tra Oscar Wilde e sua moglie Constance Lloyd, ragazza bella, ricca e di buona famiglia, innamorata dello scrittore inglese perché lo riteneva un uomo di talento.
Wilde la sposò ritenendo che il matrimonio sarebbe stato un buon lancio pubblicitario per le sue opere. La coppia ebbe due bambini, Cyril e Vyvyan, ma l’unione non funzionò. Oscar abbandonò la moglie quando conobbe Alfred Douglas, giovane affascinante al quale lo scrittore si legò senza esitazione. Douglas si mise con Wilde per spillargli denaro. Constance, che fino ad allora aveva ignorato l’omosessualità del marito, ritenendo che egli fosse solo annoiato della vita coniugale, saputo della relazioni di Wilde sia con Douglas che con Arthur Humphreys, andò via da casa.
Un’altra relazione molto ambigua fu quella tra Wanda Toscanini e il pianista Vladimir Horowitz.
L’ambizioso musicista era omosessuale, ma corteggiò e chiese in sposa Wanda perché era la figlia del più grande direttore d’orchestra del tempo, cosa che lo avrebbe avvantaggiato nella carriera.
Wanda, pur conoscendo la omosessualità di Vladimir, volle dedicarsi al grande interprete. Nemmeno la nascita di una figlia, Sonia, allietò la coppia. Il pianista, infelice e nevrotico, si accompagnava con frequenza a uomini. Quando i suoi tradimenti divennero “socialmente” scandalosi, Wanda lo sbatté fuori di casa. Poco dopo però, impietosita lo riprese con sé, ma disperata, confessò: «Mio padre m’ha fatto diventare nevrotica, mio marito pazza».
Stravagante fu anche relazione tra la principessa nera, Iman, top model di Yves Sant-Laurent e David Bowie. I due si sposarono con sfarzo pubblicitario, ma qualche mese dopo la bellissima Iman scoprì che David andava a letto con Michael Jackson. Allibita e infuriata telefonò ad un amico, Kiris Helstin e quello, gelidamente, le fece presente che il quarantaseienne David Bowie, cantore dell’amore moderno, era conosciuto per le sue “particolari “ tendenze sessuali e che il loro, in partenza, era un ménage assurdo.
«Solo tu hai ignorato i suoi gusti» le spiattellò l’amico. Poco dopo Iman trovò David a letto con Mick Jagger. A quel punto chiese il divorzio e ottenne una somma favolosa per gli alimenti.
Negli anni Venti del XX secolo fu oggetto di pettegolezzi il matrimonio tra il newyorkese Robert McAlmon, critico d’arte, e l’aspirante attrice Annie Winifred Ellerman, omosessuale e figlia di un magnate dell’industria inglese. La ragazza, sebbene educata in un clima sessuofobico e repressivo, aveva “esperienze” con ragazze; per “coprire” le sue scappatelle, chiese a McAlmon di sposarla. A Robert non interessava ciò che lei faceva, egli aveva bisogno di soldi, e accettò. I due arrivarono subito alle nozze: Robert per il denaro della moglie, Annie per sfuggire all’ossessivo controllo del gelosissimo padre, sperando di vivere la propria omosessualità all’ombra del matrimonio che la proteggeva.
Per qualche tempo i due coniugi vissero in accordo. Annie scrisse e pubblicò poesie e romanzi sotto lo pseudonimo di Bryher; Robert girò, a spese della moglie, per l’Europa, incontrando i talenti più vivaci del tempo: Eliot, Yeats, Hemingway, Gertrude Stein, Pound, Dos Pasos.
McAlmon pubblicò anche lui un libro dal titolo Being Geniuses Together, che però non ebbe successo. Robert, allora, disperato per il fallimento dell’opera divenne sempre più acido e aggressivo con Annie che, non sopportandolo più, divorziò e andò a vivere con un’amica.
Alla fine dell’Ottocento, un altro legame ambiguo fu quello tra il poeta inglese Thomas Hardy e la scrittrice Emma Lavinia Gifford. Emma aveva dichiarato la propria omosessualità, ma Hardy volle combattere «il tragico mistero del destino umano e l’ipocrisia della società», e si legò a lei. Tempo dopo però Hardy colto dall’ angoscia per il fallimento del proprio tentativo fu assalito da malesseri psicosomatici. Per distrarsi intrecciò varie relazioni, tra cui, le più importanti quelle con Florence Heniker e con Emily Dudgale. Quando Emma morì, Hardy pentito per le sue distrazioni, dedicò alla moglie una serie di bellissime poesie.
Un’altra coppia “impossibile” fu quella formata dallo scrittore Bruce Chatwin, magnetico, narcisista e bisessuale, e da Elizabeth Thores, un’impiegata di Sotheby’s, alla quale egli s’unì perché gli dava un poco d’allegria, senza però metterla a parte della propria condizione.
Poiché Bruce con la moglie non ebbe rapporti ( preferiva gli efebi e i ragazzi), quando Elizabeth si rese conto della tendenze del marito, tentò il suicidio. Salvata in extremis, abbandonò il coniuge. Bruce dopo quella esperienza visse da nomade e raccontò in libri di grande successo i suoi avventurosi viaggi in tutto il mondo.
Chatwin, viaggiò anche con lo scrittore islamico Salman Rushdie. A causa dei suoi vagabondaggi sessuali, Chatwin contrasse l’Aids e a quarantasette anni morì. Gli esempi di coppie “impossibili” sono tanti, e non si può ignorare il ménage, frutto di compromessi, tra Marlene Dietrich e Rudolf Sieber, i quali dopo un impossibile matrimonio divorziarono con gran clamore. La loro figlia, Maria Riva, nel 1993 pubblicò su quella unione una biografia impietosa. La Drietrich ebbe molti amanti. Tuttavia, Marlene fu una donna coraggiosa per molti versi. Quando andò via dalla Germania perché invitata in California, pensò che avrebbe fatto alcuni film e sarebbe tornata in patria.Ma non fu così. Disguatsata dalla politica guerrafondaia di Hitler la Dietrich non volle più tornare in patria, nemmeno dopo le vantaggiosissime offerete fattele da Himmler. Tornò in Europa nel 1937 per una vancanza essendole mancato lavoro in Usa, e sostò in Costa Azzurra, dove divenne amante di Joseph Kennedy e del figlio John Fitzgerald. Passò poi in Francia perché innamorata di Enrik Maria Remarque, e dalla braccia dello scrittore passò tra le braccia di Jean Gabin. Nel 1939 ebbe finalmente la cittadinanza americana e allo scoppio della guerra seguì le truppe statunitensi al fronte. Partecipò alla comaga d’Italia, e risalì lo Stivale al seguite delle truppe alleate, portando un po’ da’llegira ai soldati. Nella Parigi liberata tornò nel 1944, e incontrò Ernst Hemingway , del quale fu amante. Nel 1945 sempre a seguito delle truppe statunitensi entrò a Berlino vestita da soldatessa americana e ritrovò la madre sessantacinquenne sopravvisuuta ai bombardamenti. Visitò i lagher, in cerca della sorella, ma seppe che Anna era stata colaboratrice delle S.S.Non tutti i tedeschi però approvarono la sua totale adesione alla causa americana, e molti dissero di leie che era la femmina della truppe americane. Marlene tornò in Germania 15 anni dopo, ed ebbe un lungo incotro con Willy Brant, per chiarire la propria posizione politica, ma malgrado ciò, subì l’astio di molti tedeschi. Marlene non si separò mai dal marito, il quale le fece da consulente e da manager.
Una coppia “impossibile” quella che si venne a fornare tra Maria Callas e Pier Paolo Pisolini. La Callas era venuta fuori dalla esperienza frustrante con Onassis, e per “dimenticare” la drammatica separazione dall’armatore greco si diede al cinema. Sul set incontrò Pisolini e tra i due fu subito un feeling incredibile. Ma ovviamente tra loro c’era un’intesa affettiva, sentimentale ma non ci poteva essere un’intesa sessuale. La Callas sperò di poter “cambiare” Pisolini, ma alla fine, delusa, si rifugiò a New York. Dagli Usa continuò a scrivere al regista lettere appassionate e Pier Paolo non fu da meno: le scriveva spessissimo con grande sentimento. Poi la Callas si legò a Pippo Di Stefano, e poiché il tenore era sposato, la sua vita passò da un ménage impossibile a un triangolo altrettanto pericoloso.
Solo in casi limitati questo genere di ménage non deflagra in risse memorabili e prosegue su un binario “accettabile”. Ma non si può negare che la maggior parte di queste unioni sono vissute con esperienze frustranti e con umiliazioni dal momento che, dal punto di vista erotico, in questo tipo di ménage, il partner non è oggetto del desiderio. Mancando infatti uno dei cardini dell’unione, l’attrazione fisica, (che invece è presente sia nelle coppie etero che in quelle gay), non è possibile far funzionare il rapporto sin dall’inizio.
E però, non bastano né le frustrazioni né le ambivalenze per impedire che questo genere di ménage a volte perduri a lungo e diventi un insolubile delirio a due.

amore ed eros di sovrani, condottieri e dittatori 19

Spesso politica, sesso ed erotismo si mescolano nelle vicende dei personaggi pubblici. In qualche caso il potere ha portato vantaggi nel campo erotico, ma non è una regola assoluta: Giulio Cesare dovette, pur amandola, ripudiare la prima moglie sospettata di adulterio. (Sulla donna del dictator non poteva sussistere nemmeno un piccolo dubbio d’infedeltà). Più fortunato fu l’imperatore Costantino che avendo sposato Teodora, esuberante e sfrenata etera, alla fine trovò in lei un valido aiuto nella conduzione dello Stato.
Molti secoli dopo Lenin pur riconoscendo che la donna russa era oppressa, quando si trattò di accettare ciò che la “sua” Inessa Armand proponeva il libero amore «come terapia dell’anima», affermò che quella non era «una buona idea proletaria». Solzeniczyn ha raccontato che Lenin era borghesemente imbarazzato dalla idee di Inessa e che, paradossalmente (e ipocritamente) era “turbato” perfino dal menage a trois che però egli stesso aveva costituito con sua moglie Nadia e Inessa!
Quando l’ambiziosa attrice Chiang Ch’ing viveva col regista Zhang Min, sperava ardentemente di conoscere Mao Tze Tung. Quando finalmente poté incontrare il suo idolo, fu un colpo di fulmine tra i due. Chiang abbandonò il marito e i figli e si legò definitivamente a Mao, dandogli un figlio. Ella pretese che il Grande Timoniere lasciasse la moglie, Ho Tzu-chen. I vertici del Partito, preoccupati dall’arrivismo di quella donna sconsigliarono Mao, ma Chiang sapeva come conquistarlo e vinse la partita. Infatti Mao soleva affermava: «Senza Chiang Ch’ing non posso continuare la rivoluzione». La moglie di Mao, Ho, era ignorante mentre Chiang aveva la tempra di uno statista. E così, nel 1939, Mao, dopo la guerra contro Chiang Kai-shek, si disfece della moglie e prese con sé Chiang Cing. Mao, che si considerava un grande amante, non le fu mai fedele, ma Chiang non se ne curò: «Ciò che più conta tra noi è il potere». E quello, finché Mao visse, Chiang lo tenne ben saldo. Ma poco dopo la morte di Mao fu messa in galera.
Anche Mussolini si circondò della fama di grande amatore. Da capo di Stato, continuò con civetteria a spacciarsi da tombeur de femmes. Antifemminista, per ironia della sorte, la donna che più egli stimò fu la femminista Leda Ravanelli. Quando la conobbe, Mussolini dirigeva L’Avanti e venne affascinato dalle idee anarchiche di Leda. A quel tempo Benito viveva con Rachele, donna priva di intuito politico tanto che Benito cercava conforto ideologico e politico in altre donne. Altra fiamma del duce fu la socialista Ida Dalser, che nell’alcova aveva gagliardi appetiti sessuali. Ida rimase legata a Mussolini per vent’anni, dandogli anche un figlio. Ma quando il duce conquistò il potere volle sbarazzarsi di quella relazione e ordinò addirittura che la Dalser fosse rinchiusa in una clinica psichiatrica..
In seguito Mussolini si legò ad Anna Curti Cacciati e poi alla giornalista veneziana Margherita Grassini, sposata Sarfatti, che esercitò molto fascino su di lui. Quando Rachele si rese conto di come stavano le cose, Mussolini, per evitare uno scandalo, troncò ufficialmente la relazione. Tuttavia, la Scarfatti rimase segretamente al suo fianco fino al 1938, poi, intuendo il fallimento del fascismo, fuggì in Sudamerica. Mussolini la sostituì con la poetessa Cornelia Tanzi. Claretta Petacci, moglie del tenente Riccardo Federici, s’infervorò del capo del fascismo e devotamente gli fu a fianco fino alla tragica fine.
Se si dovesse dare la palma di innamorato impulsivo, imprudente, ma generoso, si dovrebbe assegnarla a Giuseppe Garibaldi. L’Eroe dei due mondi era un celebre seduttore, un dongiovanni fascinoso. Tuttavia si mostrò sempre difensore dell’onore delle donne e gentiluomo. Quando si comportò da seduttore da strapazzo fu a causa della sua esuberanza fisica e psichica. Quando s’imbatté nella diciottenne Anita, sposa di Giuseppe Duarte, pescatore dell’isola di Laguna, e madre di diversi figli, Garibaldi s’invaghì di lei. La donna, colta dalla bramosia per l’Eroe, abbandonò figli e marito. A mano a mano che la fama cresceva, le donne erano sempre più attirate da Garibaldi. A Londra gli cadde tra le braccia la contessa Maria Martini Della Torre, figlia del generale Salasco. Dopo di lei il generale si fidanzò con un’aristocratica vedova inglese, Emma Roberts; ma l’eroe rimandò il matrimonio e fuggì a Nizza, dove lo raggiunse la fidanzata in compagnia di un’amica, Jessie White. La bellezza di quest’ultima sconvolse l’eroe, che ruppe il fidanzamento con Emma e si legò alla bellissima Jessie. In seguito, a Caprera, dove s’era ritirato, il generale, sedusse Battistina Rovello, una ragazzotta diciottenne analfabeta, figlia d’un marinaio, che teneva come cameriera. Essendo uomo d’onore, poiché la ragazza era vergine, Garibaldi le propose di sposarlo. Ma le autorità papali non gli concessero il certificato di morte della moglie e Garibaldi si tenersi la ragazza come amante. In seguito incontrò la ricca quarantenne Marie Espérance von Schwartz, giornalista, reduce da due fallimenti matrimoniali, che intervistò l’Eroe a Caprera. Il giorno seguente erano già amanti. Speranza, così la chiamò Garibaldi, lo aiutò a organizzare l’avventura dei Mille. Ma l’esperienza più grottesca Garibaldi l’ebbe con la marchesina Giuseppina Raimondi, che il generale sposò. Conclusa la cerimonia delle nozze, qualcuno mise in mano al generale un biglietto. Garibalidi lesse e sbiancò; dominando a stento la rabbia, ma con modi urbani chiese a Giuseppina se era vero che fosse incinta. La signora Garibaldi arrossì. L’eroe gridò alla sposa: «Siete una puttana!». La piantò sul sagrato e non volle più rivederla. Giuseppina era incinta di Luigi Caroli, un donnaiolo da strapazzo. Per “sanare” quell’infortunio, i parenti avevano messo in scena l’amore della ragazza per Garibaldi. In seguito la pittrice Elisabetta von Streikelberg e Francesca Ambrosino, cameriera della pensione Vauchet dove Garibaldi dimorava fecero dimenticare a Garbiobaldi la brutta avventura. Il generale che non andava tanto per il sottile in fatto di donne dopo avere avuto tre figli dalla ragazza, finì con lo sposarla.
Nella vita intima dei potenti della Terra si trova di tutto: Eliogabalo, Nerone, Agrippina, Luigi XV, Cristina di Svezia, l’imperatrice Zoe, e tanti tanti altri hanno usato il potere anche per soddisfare la loro libidine. Il cardinale Richelieu ebbe rapporti intimi con una sua figlia illegittima, Madame Rousse. Filippo duca d’Orléans fu sospettato d’avere avvelenato sua moglie, Henriette, e d’intrattenersi sessualmente con le sue due figlie maggiori. Luigi VII di Francia amò e sposò la tredicenne Eleonora d’Aquitania. Fu costretto a divorziare dalla donna che amava, perché non gli aveva dato il sospirato erede e per sposare Costanza dovette ripudiare ingiustamente Eleonora, accusandola di condotta scandalosa.
Adolf Hitler ebbe una passione per la nipote Geli, che forse fu l’unica donna che il dittatore amò alla follia; con lei Hitler, prima di salire al potere, visse quattro anni in un appartamento di Monaco. La ragazza che soggiacque al fascino morboso dello “zio Adolf” nel settembre del 1931 venne trovata morta. Il caso fu archiviato come suicidio. Qualcuno sospettò che essendosi incrinata la relazione, Geli volesse fuggire a Vienna, e il partito nazista impedì che il Fürher iniziasse la carriera politica con uno scandalo sessuale. Del fascino che il potere politico esercita hanno approfittato i leader della Corea del Nord, Kim Il Sung e suo figlio Kim Jong Suk, che hanno avuto rapporti con attrici, ballerine, geishe, segretarie, attiviste del partito e persino con straniere, reclutate all’estero come hostess e introdotte in Corea.
A volte il delirio del potere induce ad un maschilismo arrogante e delittuoso. Udai, figlio di Saddam Husseim, approfittando del fatto di essere figlio del dittatore, e per ciò sentendosi “immune” da sanzioni, ha sedotto con prepotenza molte donne, suscitando l’indignazione e la rabbia di molti familiari che alla fine, ribellatisi hanno tentato di ammazzarlo. Giorgio IV d’Inghilterra non solo conduceva vita libertina ma con le donne fu arrogante e perverso. Enrico VIII, cinico e impudente, stanco di Anna Bolena la fece uccidere. A parte quell’episodio sanguinario, chi più chi meno, le sue donne non furono molto fortunate d’avere come compagno quel re. Elisabetta I d’Inghilterra, invece, fu donna accorta e guardinga anche dal punto di vista dei sentimenti: ella non si decise mai a sposarsi, nemmeno con Filippo II di Spagna che per anni attese invano di sposare la regina. Tuttavia, Elisabetta, donna di carattere forte e di appetiti sessuali vigorosi, si circondò di amanti d’alto rango che seppe scegliere bene e che furono servitori fedeli della causa inglese.
Caterina II di Russia, artefice della potenza russa, fu smodata, ambiziosa, crudele e sessualmente spregiudicata. Splendida regina e travolgente amante, trattava gli affari di cuore e i problemi di stato con grande passione. Nei quarantaquattro anni di regno, nel suo letto passarono molti favoriti: giovani e illustri dignitari, artisti di spicco, strateghi. Caterina soleva affermare che non era il potere ciò che le dava appagamento, ma il sesso. A giudicare dal tempo che passava a letto e dal numero dei suoi amanti, probabilmente era vero.
Di solito chi tende al potere (o chi ce lo ha già) è piuttosto egocentrico e narcisista e difficilmente disposto a piegarsi alle esigenze di chicchessia, partner compreso. L’arte della parola, il cipiglio del comando, il talento strategico e un po’ di cinismo fanno scena e possono, in qualche caso, sedurre i più sprovveduti, ingenuamente affascinati da chi è al comando e illusi di potersi intrufolare tramite lui nelle maglie del potere.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il partner di chi è al comando non sempre riceve benefici dall’essere a fianco di un potente.

Amori cruenti e scellerati (??) (in: amori e disamori) (da completare)

L’amore è affetto, tenerezza, comunione di idee, ma quando l’attrazione fatale è esasperata diventa irrazionale e in qualche caso la fiamma della passione annebbia le idee e può trasformarsi in follia. C’è infatti chi confonde il sentimento d’amore col sentimento di proprietà, e partendo da questi presupposti, è inevitabile che, prima o poi, scoppi una tragedia.
Tuttavia l’amore travolgente ed eccessivo, tormentato e monopolizzante è esaltato e vagheggiato, e persino la letteratura lo celebra come se fosse proprio questo il vero grande amore. Tristano e Isotta, Aida e Radamés sono tragedie di amore e morte. Wherter si suicida per amore, e Didone, abbandonata dall’amato, cerca la morte. Medea, crudele e disumana, quando Giasone l’abbandona, uccide i propri figli per punire l’uomo che l’ha ingannata. Tutte storie letterarie che rappresentano soluzioni estreme di un sentimento che dovrebbe essere invece l’emblema della pace.
Eppure, come diceva Oscar Wilde, « non bisogna lasciarsi ingannare dalle apperenze, perché a volte si assiete all’evolversi dell’amore in odio». Infatti, l’amore può essere accaparrante e persecutorio, geloso e invadente e se chi ama è afflitto da problemi inconsci diventa una mina vagante e può arrecare danni imprevedibili.
Le statistiche indicano che la maggior parte dei delitti ha origine da tragici fenomeni d’amore, e comunque in seno alla famiglia. I servizi giornalistici fanno vedere come dopo anni di tribolazioni e di sopportazioni “per amore”, il partner più remissivo talvolta abbandona la propria acquiescenza ed esplode in efferatezze, in delitti passionali, in raptus “improvvisi”. Le cronache riportano cruenti episodi passionali dovuti alla ruggine della coppia.
Una settantenne, dopo cinquanta anni di matrimonio, ha piantato un coltello nel cuore del marito che dormiva accanto a lei; un vecchio ha sgozzato la moglie durante l’ennesimo litigio.
A metà del XX secolo, a Graz, la signora Hruby venne condannata all’ergastolo perché aveva avvelenato il marito, il quale le aveva intimato di troncare la relazione che lei da tempo aveva con un prete. Nello stesso periodo, Ruth Ellis, bellissima indossatrice londinese, uccise l’amante, il corridore automobilistico David Blakey, di cui era follemente innamorata, perché l’uomo voleva por fine alla loro relazione. A Londra, più o meno in quegli anni, la contessa polacca Ludivina Skarbek venne pugnalata al cuore dall’amante, il maggiordomo John Muldowney che la punì perché ella voleva troncare la loro relazione.
Alcuni legami continuano ad esistere facendo leva sulla sopportazione, sulla docilità e sulla rassegnazione di uno dei due partner, che spesso è una donna. Infatti, alcune donne temendo le conseguenze della separazione, preferiscono mantenere l’unione, anche se è fallita. Ma quando è “il sesso debole” si ribella, di solito la rivolta si trasforma in tragedia. Ma non si può generalizzare: a volte anche il partner maschile è “succube” della compagna. In ogni caso, la fine di un affetto crea forti conflittualità, tanto da trasformare il legame sentimentale, in vincolo tirannico e talvolta in tragedia.

Forzati della passione o grandi amatori?

Scriveva Hermann Hesse che sul tema dell’amore si può dire tutto e il contrario di tutto. Esiste l’amore adolescenziale, leale e trasparente, l’amore tormentato dalla passione travolgente, l’amore borghese, l’amore libero, gestito senza troppo impegno. L’esperienza amorosa è vissuta da ognuno secondo la propria cultura, le proprie esigenze, le proprie necessità e le proprie stagioni psicologiche. Si può affermare con la stessa veridicità, che il vero amore è quello che si basa sulla fedeltà eterna, oppure che al cuore non si comanda e dunque non è possibile imprigionarlo in un unico legame.
Honoré de Balzac scriveva furiosamente sedici ore al giorno, e alla fine “doveva” intrattenersi con amicizie femminili sempre diverse. Honoré era volubile e non si legava a una sola donna. Sebbene fosse affettuoso e comprensivo con tutte, diceva di essere “fisiologicamente poligamo”. Lo scrittore Théophile Gautier non rimase mai legato ad una sola compagna, ed intrattenne relazioni affettuose molte donne senza mai, a suo dire, “scontentare nessuna”.
Ugo Foscolo amò molte signore, tra cui Antonietta Fagnani Arese, Caroline Lamb, Luisa Frazioli e tante altre. La passione che nel cuore del poeta sul momento esplodeva molto intensa, non era accompagnata da una stabilità nelle relazioni e Ugo si stancava in breve tempo, avendo, così affermava, un’insaziabile bisogno di “novità”.
Le passioni che travolsero Elisabetta I d’Inghilterra la aiutarono a quietare le ansie e a superare i momenti più difficili. Se la sovrana doveva prendere una grave decisione o quando si sentiva infelice, si ‘appartava’ con un favorito e qualche giorno dopo tornava in pubblico completamente rinnovata.
Quando Pablo Picasso veniva colto «dal bisogno imperioso di sperimentare nuove tecniche pittoriche», nel contempo sentiva una imperiosa necessità di affrontare un nuovo legame che lo stimolasse a ottimizzare la propria arte. Per Picasso la passione amorosa era esaltazione psicologica e carica esistenziale: e il suo rinnovamento artistico fu i9n molti casi spronato dalla nuova conquista..
L’esploratore Roald Amundsen, era un bulimico delle conquiste amorose. Ma la presenza femminile non gli serviva ad appagare esigenze sentimentali: le sue amicizie femminili – diceva – gli servivano per ricaricarsi prima di partire alla volta di luoghi sconosciuti. Le donne con cui Roald intrecciava relazioni erano spesso donne sposate scontente del ménage familiare. Quelle di Amundsen erano relazione fugaci, poco durature, tant’è che l’esploratore non si legò mai stabilmente a nessuna donna.
Il cattolicissimo Filippo II re di Spagna riteneva che la donna dovesse sposarsi esclusivamente per mettere al mondo dei figli: «Appena avrai consumato il matrimonio lasciala con qualche scusa e non fare ritorno né troppo presto né troppo spesso». Il sovrano si sposò quattro volte: le prime tre mogli erano sue cugine, l’ultima, una nipote. Tutte, per ironia della sorte, lo precedettero nella tomba.
Le trasgressioni più consuete di quel che si vuol credere, non sfuggono all’attenzione delle cronache: gli attori Spencer Tracy e Katherine Hepburn, in un ventennio di matrimonio hanno dato ad intendere di essere una coppia affiatata, e invece litigavano spesso e, malgrado le apparenze, la loro storia fu costellata da molte “libertà sessuali”: sia lei che lui, infatti, ebbero molte avventure parallele.
Un’esistenza in perenne ricerca di erotiche trasgressioni, l’ebbe uno dei più grandi scrittori contemporanei, Graham Greene che però si nascondeva dietro un ostinato perbenismo. Greene affermava maliziosamente che alla santità si accedesse tramite il peccato, e così non si fece mai scrupolo di vivere una perenne «vita peccaminosa sospesa tra il Male e la Grazia». Quando morì lasciò molte donne che gli erano affezionate: la moglie Vivien, con la quale era sposato da quarant’anni e dalla quale, da “buon” cattolico”, non divorziò, Yvonne Cloetta, con la quale ebbe una relazione trentennale, la bellissima Jocelyn Richards, designer australiana, l’elegante e sofisticata americana Catherine Walston, relazioni che Greene raccontò nei suoi romanzi. Il pittore Gustav Klimt visse rapporti scatenati e trasgressivi, e avventure galanti anche con le sue modelle. Di Klimt, che ebbe ben quattordici figli illegittimi, si racconta che fosse un “forzato dell’amore” e che per poter essere sempre puntuale agli appuntamenti amorosi, traversasse quotidianamente Vienna da un capo all’altro a cavallo di una veloce bicicletta.
Lo scrittore ungherese Arthur Koestler, uomo amabile e dotato di grande verve, viaggiando in lungo e largo ebbe modo di conoscere molte donne. «Tutte, confessò, migliorarono la comprensione di me stesso e la mia dimensione umana». Fu amante di Jill Craig, moglie del leader laburista radicale, Michael Foot. Quando questi scoprì la tresca, sebbene, qualcuno lo spingesse a sfidare a duello il rivale, commentò compassato: «Mi consola che non sono l’unico marito posto in queste condizioni dallo scrittore ungherese». In quanto a Georges Simenon, inventore del ommissario Maigret, affermò nella sua autobiografia di non poteva fare a meno di avere più rapporti quotidiani.
Ma forzati dell’amore non sono solo gli uomini, anche molte donne possono essere collocate in questa categoria. In quanto all’affascinante scrittrice inglese Nancy Cunard, personaggio tra i più singolari del suo tempo, e protagonista di rilievo nel mondo culturale, amava circondarsi di uomini colti ed interessanti “per sentirsi vitale e attiva”. Ella ebbe una relazione con Hemingway, con Aldous Huxley, col filosofo Louis Argon, con lo scrittore Michael Arlen, e col filosofo e pittore inglese Wyndham Lewis. Quando la Cunard si dedicò alla difesa delle minoranze etniche ebbe una relazione con un negro di Atlanta, Henry Crowder, che definì « uomo vero, di quelli che hanno sangue nelle vene e il cervello a posto».
Determinata, di temperamento sanguigno e sensuale, libera da pregiudizi di qualsiasi tipo fu anche Bianca Tam ebbe una vita avventurosa. Fu spia famosa, modella e protagonista della vita mondana fra le due Grandi guerre del Novecento. Ebbe sei mariti, nove figli e un incalcolabile numero di amanti. Bianca, a causa della sua attività spionistica, visse buona parte della sua esistenza fuggendo da un Paese all’altro e collezionò una straordinaria serie di avventure sentimentali. Alla fine, quando smise di fare la spia, si stabilì a Parigi, ove divenne l’indossatrice e l’ispiratrice di Christian Dior. «I miei settantacinque anni, sono stati un vivace romanzo erotico-poliziesco» affermò la Tam alla fine della sua esistenza.
Oleina di Robilant scandalizzò per la sua insaziabile foga erotica. Ella affermava di non ricordare tutti i suoi amanti, ma di buona parte di essi, riportando nome e cognome, raccontò i suoi legami e non ebbe paura di mettere a nudo la sua vita e la sua anima, raccontando con coraggio i suoi intimi pensieri ed esperienze, senza ipocrisia e senza veli in una autobiografia che mise a soqquadro l’ambiente della buona società, creando un putiferio ma guadagnando molti soldi con i diritti d’autore.
Da vera snob, ella scrisse: «Gli uomini sono tutti eguali, preferisco almeno gli uomini che portano la camicia di seta in ogni circostanza». Fu compagna del direttore d’orchestra Lorin Maazel, degli attori Alain Delon, Maurizio Arena e Warren Beatty. Dopo la parentesi col ballerino Antonio Gadès, s’infervorò di Tony Curtis, col quale ebbe un burrascoso rapporto.
Donna libera, non voleva essere dominata da nessuno: «Gli uomini – diceva – sono disposti a farsi amare, vogliono essere adorati e riveriti, ma non rinunziano alla loro presunta condizione di padrone, nemmeno quelli che, solo in apparenza, propendono per la parità dei diritti con le donne». In seguito Olghina sposò il pittore Antonello Alioti ma il legame non ebbe lunga durata: «Il sesso Antonello lo fa con i suoi quadri», spiegò Olghina delusa. Quando qualcuno le rimproverava di gettarsi in nuove esperienze senza pudori e senza veli, lei replicava che è per falsità se buona parte delle persone non fa quello che desidera.
Lo psicoanalista Aldo Carotenuto, infatti afferma che c’è chi ha bisogno di sperimentare e cambiare e ciò a volte può aiutare a maturare. In qualche caso, però, gestire troppi amori può diventare un peso oltremodo impegnativo. Inoltre se la pulsione a cercare nuove esperienze non è stimolata da un bisogno di “trovare la persona adatta” o “di avere esperienze che fanno maturare”, essa può essere solo una necessità narcisistica, e in questo caso le incognite sulla vita sentimentale possono aumentare.
Allora viene il dubbio: i grandi seduttori sono liberi amatori o forzati dell’amore?

cicisbei e concubine (34)

Il cavaliere servente, o cicisbeo, fu una invenzione del Seicento. Sorse in seguito al fatto che i matrimoni erano quasi tutti di convenienza e non v’era alcuna intesa né alcun affiatamento sentimentale tra marito e moglie. Il legame spirituale si verificava dunque tra la signora e il cicisbeo. Il cicisbeato, in pratica, consentiva che un uomo “frequentasse”, senza scandalo sociale, la moglie di un altro. Pare che l’usanza abbia avuto origine a Genova, e da li si sia diffusa in Italia e in Europa. Sebbene criticato dagli Illuministi, questo istituto sociale durò fino alla metà dell’Ottocento. Fu così diffuso che in molti contratti matrimoniali le spose facevano includere il nome di uno o più cavalieri che esse desideravano avere al loro fianco. Il cicisbeato, fu, in altri termini, la risposta di un femminismo ante litteram, al maschilismo imperante.
I compiti del cavaliere servente erano quelli di aiutare la dama ad abbigliarsi con gusto, di accompagnarla in chiesa, di esserle a fianco durante le passeggiate, nelle visite, al teatro e di servirla in tutto ciò che le fosse utile. Il cicisbeo sostituiva il marito che, talvolta, paradossalmente, a sua volta, era impegnato come cavaliere presso un’altra dama. Data l’intimità che s’instaurava tra la signora e il cavaliere, accadeva che questi a volte sostituiva il marito in tutto e per tutto, e ciò quasi sempre senza scandalo e senza gelosia del coniuge. Il concetto di “tradimento” in amore infatti iniziò solo a partire dalla secondo metà dell’Ottocento. Tuttavia bisogna sottolineare che l’intimità sessuale tra signora e cicisbeo non era “la regola”, come maliziosamente si potrebbe supporre. E, come non sempre il cicisbeo diveniva l’amante della dama alla quale “prestava servizio”, così non tutti i mariti “lasciavano correre” se notavano del tenero tra i due.
Cicisbei furono anche uomini illustri. Vittorio Alfieri non prese moglie e preferì far da cavaliere a varie signore dell’alta società. Con esse intavolò relazioni “senza impegno alcuno”. Cristina Emerenzia Imholf, Penelope Pitt, la marchesa Gabriella Turinetti di Prié, Luisa Stolberg-Geden, la contessa d’Albany, furono “servite” dall’Alfieri, ed essendo già sposate, evitarono allo scrittore “il fastidioso inghippo del matrimonio”. In alcuni casi, però, l’Alfieri non poté schivare il duello con qualche marito bilioso. È singolare che l’Alfieri, sebbene praticasse il cicisbeato, abbia deriso tale usanza nella commedia “Il divorzio”.
Nota è pure la satira del cavaliere servente che fece il Parini ne “Il Giorno”, e altrettanto risapute le condanne di questa “abitudine” fatte da letterati come il Forteguerri e il Muratori. Il critico letterario Giuseppe Baretti, alla fine del ‘700 ne La frusta letteraria invece difese l’istituzione, ritenendola “utile” alle signore che, «senza di essa sarebbero rimaste prive di compagnia, essendo i mariti impegnati in altre faccende».
Favorevole fu anche Vittorio Imbriani, patriota e letterato, che nelle riviste L’Araldo e Fanfulla esaltò i “benefici sociali” dell’amicizia tra dama e cicisbeo. Il Leopardi, schivo e solitario, fu anch’egli un cicisbeo. Corteggiò molte dame, ma senza troppa fortuna. La «languida e senza mordente», Fanny Targioni Tozzetti che gli ispirò le liriche del ciclo di Aspasia, non accettò la sua corte; e nemmeno l’irlandese Margaret Mason, femminista che aveva abbandonato marito e figli per vivere liberamente, si concesse al poeta.
L’incapacità a dichiarare i propri desideri apparve in tutta la sua drammatica realtà quando Leopardi fece il filo alla contessa Elena Mastiani Brunacci, le cui relazioni amorose, note a tutti, avrebbero dovuto spingerlo a osare di più. Ma Giacomo, pur invaghito della donna, che per altro lo desiderava, non seppe andare oltre “la pura amicizia”. Lo stesso accadde con la nobile Sofia Vaccà Berlinghieri e con la gentildonna Lauretta Parra. Sebbene entrambe si contendessero il poeta nei loro salotti, Giacomo, pessimista e poco intraprendente, non esternò il proprio amore. Non seppe “dichiararsi” nemmeno alla principessa Carlotta Bonaparte, con la quale aveva stretto amicizia durante un soggiorno a Firenze.
Vicenda curiosa fu quella di Giulia Guicciardi, allieva prediletta di Ludwig von Beethoven. A lei il musicista dedicò la sonata “Al chiaro di luna”. Di lei Ludwig era innamorato, ma non ebbe il coraggio di esternarle i propri sentimenti. La ragazza era infatuata del musicista, ma dopo aver atteso invano una parola d’amore dal maestro, sposò il proprio cavaliere servente, il conte di Gallenberg e andò via con lui da Vienna, lasciando Ludwig afflitto ed umiliato.
Ma se il cicisbeato si può considerare “a beneficio” delle donne, il concubinato, modello più antico di trasgressione legalizzata, è nettamente “a favore” del maschio, anche se, in origine, prese le mosse dal bisogno di soccorrere le donne.
In Cina il concubinato fu una necessità. Infatti, essendo la mortalità infantile maschile maggiore di quella femminile, era notevole la disparità numerica tra i sessi. Senza il concubinato, in quel Paese, molte donne non avrebbero avuto un compagno. E così, per tremila anni, chi non aveva oltre alla moglie anche una concubina non era considerato un vero uomo. Ma dopo l’avvento del comunismo, concubinato e adulterio furono vietati. Il parlamento cinese aggiornò in questo senso la vecchia legge sul matrimonio ormai superata dalla realtà sociale. E tuttavia, sebbene il concubinato fosse proibito, molto tempo dopo la promulgazione della legge che lo vietava, persistette nelle regioni con maggiore benessere. Secondo alcune fonti d’informazione, il concubinato in Cina non è ancora del tutto cessato ( pare che a dare il cattivo esempio siano proprio i funzionari di partito) ed è considerato una minaccia per la stabilità sociale e per il controllo demografico.
Il concubinato vigeva, anche nel diritto greco antico; e anche a Roma, questa relazione extramatrimoniale del maschio era lecita. Ad essa vennero estese norme proprie del matrimonio legittimo. Il concubinato consentiva all’uomo di rango, un senatore ad esempio, di vivere con una popolana o con una liberta, con le quali non avrebbe potuto contrarre matrimonio, vietato tra un uomo di alto livello sociale e una plebea. Vi era però il divieto, per chi era ammogliato, di tenere più di una concubina. In seguito Giustiniano stabilì che l’uomo sposato non ne potesse avere nemmeno una.
La figura della concubina è considerata pure legittima nell’Antico Testamento (Gen.16:1-2-) se essa è utilizzata per dare un figlio all’uomo la cui moglie è sterile.(Vedi a tal proposito la vicenda tra Sara e Agar).
In passato il concubinato era inserito nelle leggi di vari popoli: nel nord Europa, presso i nomadi, presso gli Avari, presso i Normanni. I Mongoli, non per legge, ma per consuetudine ritenevano il concubinato una pratica lecita.
Nel mondo Islamico, il Corano, con un tocco di maschilismo, dispone che ogni uomo può tenere fino a quattro mogli. Pertanto, un miliardo e mezzo di persone non trovano nulla da ridire che nella stessa famiglia convivano più donne legate al medesimo uomo. L’usanza ebbe inizio quando Maometto, dopo avere intrapreso la conquista dell’Africa e del Medio Oriente, constatò che, a causa della morte di tanti soldati, era preponderante il numero delle femmine da sfamare. Il profeta pensò allora di far sposare ad ogni capofamiglia quattro donne; così, vedove di guerra e nubili poterono avere la compagnia di un uomo ed essere sfamate ed assistite.
Tutto è relativo in questo mondo: ciò che in alcune circostanze è considerato comportamento biasimevole e indegno, in altre addirittura è visto atto umanitario.

Seduttrici, un simbol passato di moda?

La storia ricorda gli scandali suscitati da quelle che venivano chiamate grandi seduttrici. Cleopatra, Messalina, Teodora, Caterina di Russia, furono definite con tono sdegnoso mangiatrici di uomini. Ma al di là dei casi eclatanti, l’universo femminile è costellato da donne intelligenti e colte che vivono in maniera libera ed emancipata determinate a gestire la propria vita senza pregiudizi.
Trasgressiva fu la marchesa Luisa Amman Casati, eccentrica nobildonna che sovvenzionò e portò avanti alcuni movimenti culturali del ‘900. La “tranquilla” donna inglese, Pat Hilton, ha indossato per ben dieci volte il vestito nuziale e pur non essendo né particolarmente bella né ricca, da femme fatale ai dieci mariti ha sommato altre storie “parallele”. Pat Hilton si è difesa dall’accusa di “mangiatrice d’uomini, affermato che frequentando tanti uomini è maturata e s’è “arricchita” psicologicamente: «Da ognuno di essi ho appreso qualcosa e ad ognuno ho dato qualcosa. Ogni donna dovrebbe avere più esperienze per capire la psicologia maschile e per capire meglio se stessa. Come avrei potuto avere tutte queste esperienze amando un solo uomo?» concluse in una intervista alla Tv.
Naomi Campbell, ha affermato che il bene più prezioso è la libertà in amore. La “Venere nera”, dopo aver annunziato il matrimonio con il bassista degli “U2”, Adam Clayton, non se la sentì di fare quel passo. In seguito si legò al pugile Mike Tyson e qualche tempo dopo si fidanzò con Robert de Niro, dal quale voleva un figlio. Ma non andò all’altare, e così ha potuto avere molti amori, alcuni fugaci, altri più lungi, altri felici e altri ancora tempestosi, tra cui la relazione con Rahim, figlio di Karim Aga Khan e il ballerino di flamenco Joaquin Cortese.
Violet Hunt, ebbe una vita anch’essa molto complicata dal punto di vista sentimentale. Fu l’amante del pittore George Boughton, del politico Walter Pollok, di uno dei medici della casa reale, il dottor Cholmley, del console britannico ad Oporto, Oswald Crawfurd, dello scrittore Somerset Maugham, di G. H. Welles, e del magnate Ford Madox Ford. Ella non si nascose mai dietro l’ipocrisia del perbenismo né mai “promise“ fedeltà ad alcuno dei suoi partner.
Emancipata e del tutto esente da rigorismi morali fu Léonie Bathiat, conosciuta col nome d’arte di Arletty, scandalosa interprete del film Alba tragica e Les Enfants du Paradis. Ad un agente che le contestava di baciare un uomo per strada, disse: «Nessuno mi ha mai informato che l’amore è un reato»
«Avere intime amicizie serve a dialogare e a capire la vita» scrisse Anaïs Nin che si legò a molti protagonisti della intellighentia mondiale. Nel romanzo Fuoco narrò «l’appassionata ed esaltante vicenda contemporanea» con suo marito Hugh, con Henry Miller e col rivoluzionario peruviano Gonzalo. La Nin esuberante ed estroversa, cercò esperienze “straordinarie” e fece parte dell’élite dei discepoli di Sigmund Freud.
Simone de Beauvoir, affermava che le donne più degli uomini hanno necessità d’amare, perché l’amore è dialogo e salva dalla solitudine. Ella sosteneva che se una donna è evoluta se le manca l’affiatamento nel ménage, lo trova altrove. Meno ottimista di lei, lo scrittore Federico de Roberto, nel suo romanzo L’illusione, mise a nudo le difficoltà delle donne a superare le barriere sociali. Teresa Uzeda, protagonista del romanzo, abituata, sin da bambina, a vivere d’illusioni e di sogni, si chiuse in un mondo immaginario.
Palma Bucarelli, direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Roma, visse la sua gioventù, negli anni Quaranta del secolo scorso, in maniera spregiudicata: cavalcava, sciava, guidava come Nuvolari. Fu amica di Picasso, De Chirico, Benedetto Croce, Giulio Carlo Argan, Renato Guttuso, che la stimarono e furono legati a lei da profonda amicizia. Fu anche confidente di Moravia, di Piovene, di Malaparte, di Flaiano, di Bellonci, di Ojetti. Palma passò da una passione amorosa all’altra, e fu considerata “grane seduttrice”.
Nei primi decenni dell’Ottocento, grande seduttrice fu considerata Anne Louise Germaine de Staël, dalla vita sentimentale e sessuale turbolenta. Convinta che nessun uomo potesse avere tutte assieme le qualità utili a soddisfare una donna, e disillusa dal matrimonio col barone de Staël, Anne ebbe simultaneamente più amanti. Ebbero il privilegio di entrare nella sua alcova: Talleyrand, il generale Narbonne, il premier del Portogallo, Pietro Souza; Mathieu de Montmorency, Benjamin Constant. «Tutti assieme – affermò Germaine – contribuirono a farmi provare la completezza dell’universo maschile».
La scrittrice russa Lou Salomé moglie del glottologo Carl Friedrich Andreas, non fu meno spregiudicata. Psicologicamente indipendente, ebbe una esistenza tumultuosa e fitta di esperienze culturali, sociali e sessuali. Amica di Nietzsche e di Rilke, allieva personale di Sigmund Freud, che la stimò molto dal punto di vista intellettuale, fu scrittrice e pensatrice straordinaria. Salomé sognò un mondo privo di ipocrisie e di tabù.
Anche la scrittrice Dora Lessing, fu donna di temperamento forte e determinato. Nata nel 1919 in Persia, visse in Rhodesia, e poi in Inghilterra, liberamente e senza vincoli conformistici, senza falsi pudori o ipocrisie. Ebbe molti amanti, che, come affermava, avevano contribuito a farla “crescere” psicologicamente.
Lalla Romano, scrittrice risoluta e libertaria si emancipò dai pregiudizi e dalle ipocrisie «che impedivano soprattutto alle donne di esprimersi liberamente». Ebbe l’ardire di comportarsi in modo spregiudicato, di affrontare nei suoi romanzi argomenti scabrosi, e di vivere senza veli vicende che crearono imbarazzo e turbamento.
Oggi, sgomberato il campo dall’immagine della donna sottomessa alla figura maschile e dal femminismo aggressivo che impauriva il maschio, non si etichetta più, come un tempo, la donna emancipata con l’epiteto poco edificante di “mangiatrice d’uomini” che s’usava affibbiare a quante “non restavano legate alla tradizione”. In passato grandi seduttrici furono considerate con un misto di invidia ma anche di disprezzo, Lana Turner, Rita Hayworth, Lola Montez, e tante altre. A Marlene Dietrich, per esempio, vennero attribuiti, spesso per motivi pubblicitari, molti amanti, tra i quali Jean Gabin, Maurice Chevalier, Erich Maria Remarque, Jean Cocteau, Dalvator Dalì e Noel Coward. Ma alcuni erano omossessuali e altri confessarono d’essere stati inibiti dalla “diva di ghiaccio”.
Ai giorni nostri, il buon gusto fa sì che nessuno affibbia simili appellativi. Donne come Julia Roberts che può vantare un numero di partner altrettanto numeroso delle dive del passato, essendo stata, tra l’altro, compagna di Kiefer Sutherland, di Lyle Lovett, di Jason Patric, di Dylan McDermott, di Mattew Perry, di Liam Neeson, di Bejamin Bratt, e di Dan Moder, sono considerate evolute, ma non più, come un tempo, “pericolose seduttrici”.
Donne come l’attrice Mariangela Melato possono affermare liberamene la loro soddisfazione di crescere in tutta libertà e fuori dalla vecchia concezione di dipendenza dall’uomo senza con ciò suscitare scandalo.
Si tratta di un processo di socializzazione, grazie al quale, anche il privato femminile è stato liberato dai pregiudizi e dalle ipocrisie. Forse è il segnale più tangibile che nel XXI secolo sia possibile alla donna gestire la propria privacy senza danno d’immagine. Infatti, ormai ciò che prima faceva scalpore non fa più nemmeno notizia.
atto umanitario.

il “genere” maschile e quello femminile (30)

In passato uomini e donne sono stati sollecitati a comportarsi secondo lo stereotipo del modello sessuale imposto dalla società. Maschi e femmine dovevano assumere ruoli rigidi e mostrare di sé “la figura che la società pretendeva che avessero”, in quanto vigeva una divisione drastica e grossolana tra il “maschile” e il “femminile”.
Il maschio non doveva eseguire faccende tipicamente femminili; se lo faceva perdeva non solo la faccia ma quasi la propria identità. Oggi, invece, molti mariti si dedicano alle incombenze di casa, cambiano i pannolini ai figli, portano la prole con il passeggino, senza con ciò decadere dallo status “maschile”. Dal canto loro le donne guidano jet militare, stanno a capo di aziende, s’interessano di meccanica, fanno i giudici; molte vivono da sole e gestiscono la loro privacy come credono, non modificando con ciò, per nulla, l’immagine della loro femminilità.
L’identità di genere, cioè la percezione intima dell’appartenere al genere maschile o femminile, è cosa alquanto differente dall’assumere comportamenti esteriori stereotipati ed approvati dalla comunità. L’identità di genere è di natura fisiologica e, se si vuole, in qualche modo psicologica, ma non riguarda i punti di vista culturali, la filosofia della quotidianità, le attitudini lavorative, le credenze e le ideologie, e nemmeno la gestione dell’eros. Questi aspetti della vita non richiedono particolari distinzioni nei sessi.
In passato, però, chi non uniformava la propria appartenenza sessuale alle maniere approvate dalla ipocrisia sociale, aveva la disistima sociale. Quando la scrittrice George Sand indossò, prima fra le donne dell’800, i pantaloni, suscitò uno scandalo enorme, e qualcuno dubitò persino della sua femminilità. Quando l’inglese Mary Wollstonecraft scrisse un’opera che rivendicava i diritti civili della donna, venne aggredita per strada da un gruppo di facinorosi che l’accusarono di occuparsi di una materia, il diritto, che era di esclusivo dominio dell’uomo. Della Wollstonecraft, che s’occupava di ciò che, secondo i pregiudizi, competeva al genere maschile, dissero che era una “femmina abortita”. Di Rosa Luxemburg, che partecipò alle rivolte operaie, i suoi detrattori spettegolarono che non aveva nulla di femminile, nemmeno il corpo. Oggi si è compreso che l’identità di genere non si perde occupandosi in attività che in passato, dovevano invece, per i luoghi comuni, essere differenziate secondo il sesso.
Un tempo, l’uomo che sceglieva per attività la danza era considerato, sol perché si cimentava in un’arte ritenuta prettamente femminile, effeminato e omosessuale. E tuttavia, molti esempi, tra cui quelli di Fred Astaire, di Gene Kelly, di Bing Crosby, di Sergio Japino e di tanti altri danzatori dimostrano che il ballerino non è inevitabilmente omosessuale.
Un tempo si riteneva che persino i cervelli sottostavano a un criterio di “divisione sessuale”. Quello dell’uomo era ritenuto più idoneo a funzioni più sofisticate, e quello della donna ad altre. L’aver postulato una differenza tra cervello maschile e femminile ebbe come conseguenza il relegare la donna a un ruolo subalterno. Inoltre, poiché quello dell’uomo è più voluminoso di quello della donna, si sosteneva che “fosse evidente” la superiorità dell’uomo.
Fortunatamente l’ipotesi della diversificazione tra maschio e femmina su basi cerebrali è venuta meno e le differenziazioni di sensibilità, di comportamento, di caratterizzazione tra uomo e donna non sono più incentrate su concetti come “inferiore” e “superiore” ma su diversificazioni squisitamente psicologiche.
Un tempo la bambina doveva giocare con la bambola e con i tegamini, ritenendosi che, essendo “biologicamente femmina, non poteva che occuparsi di cucina sin da piccola” In altri termini, “l’imprinting sociale” sceglieva per lei quale doveva essere il suo gioco preferito. E se alla piccola piaceva correre dietro al pallone, o se prendeva in mano il gioco del meccano era redarguita e rimproverata: «Non sei mica un maschiaccio!». Questa frase erigeva una barriera sociale di carattere sessuale con conseguenze per tutta la vita della donna.
Concetti come «l’uomo è coraggioso», «la donna è debole», «l’uomo ha iniziative», «la donna è passiva», «l’uomo libero sessualmente non si scredita, la donna invece si» erano il risultato di stereotipi influenzati da una società che differenziava i sessi oltre ogni ragionevolezza, attribuendo all’uomo e alla donna attitudini, gusti, capacità del tutto differenti.
Persino il contributo allo svolgimento della storia, è stato ritenuto peculiarità maschile, sicché, in questo campo, la donna è stata lasciata in ombra. Nel ricordare gli eroi della Seconda Guerra Mondiale, troviamo sempre citati uomini, delle cui gesta eroiche si fa un gran parlare, ma le eroine che operarono in quelle circostanze anche gli storici le hanno dimenticate. Chi ricorda le ragazze del S.O.E. (Special Operations Executive) corpo creato da Churchill e inviate in Francia e in altre parti d’Europa per affiancare la resistenza contro i regimi totalitari? Esse contribuirono ad agevolare, con le notizie che inviarono, anche lo sbarco in Normandia. Queste giovanissime e belle ragazze, molte di esse provenienti dalla borghesia, vissero con gran pericolo nei territori occupati dai tedeschi. Non poche subirono violenze e torture; altre morirono nell’espletamento del loro compito. Eppure nessuno più ricorda Lilion Rolfe, giustiziata a Ravensbruck, Vera Leight che finì per mano dei nazisti a Stuthof, Violette Szabo, finita in un campo di sterminio, Eliane Plewman, Madeleine Damerment, Sonia Olschanezsky e tante altre, fucilate da plotoni di esecuzioni nazisti.
L’oblio è dovuto al fatto che i maschi francesi, seguaci di De Gaulle o della estrema sinistra, alla fine della guerra, vollero attribuire a sé la pagina della Resistenza, ignorando volutamente le ragazze straniere che vi avevano contribuito.
Anche nel campo intellettuale vi sono state molte discriminazioni. Emmy Noether una dei più grandi matematici del ‘900, lavorò senza stipendio all’università di Yale, perché le donne non potevano avere un incarico ufficiale; un’altra scienziata, Lise Meitner fu costretta, essendo donna, a svolgere l’attività di ricercatrice di nascosto, negli scantinati dell’Università di Berlino. Sebbene avesse lavorato alla pari con Otto Hahn, solo a lui, che era uomo, nel 1944, venne riconosciuto il Premio Nobel per la Chimica.
Un tempo, persino negli spettacoli, il “genere” femminile era relegato in ruoli codificati, e se usciva dagli schemi veniva criticato e diveniva oggetto di invettive. Non si può dimenticare che durante gli spettacoli dell’Opera dei pupi, quando appariva Bradamante, figlia di Amone di Chiaramonte, guerriera di altissimo valore, veniva fischiata e lungamente contrastata dal pubblico, il quale pretendeva che ella perdesse le tenzoni con i maschi con cui guerreggiava.
Oggi, abbandonate le ferree tipologie, si è arrivati ad una revisione di ciò che è da considerare “maschile” e “femminile”. Uomo e donna hanno atteggiamenti e modi di fare un tempo esclusivo campo dell’altro sesso. Non solo la distinzione tra attività femminili e attività maschili è più sfumata, ma si sono anche in parte equiparati mentalità maschile e mentalità femminile, comportamenti maschili e femminili.
Ma questa parità in qualche caso è sfociata in una sindrome di rigetto nei confronti della donna moderna. Qualcuno, non potendole negare il diritto alla libertà, ritiene questa esigenza femminile una sregolatezza e si augura che la donna “rientri nella normalità” e, guarita dalla esigenza di parità, torni ad essere com’ella era un tempo.
Qualche voce maschile lamenta che alla donna è stato “concesso troppo”, e “sollecita” il suo rientro nei vecchi schemi sociali, soprattutto in campo sessuale. Ma contestando il troppo permissivismo “consentito” alle donne, si negano le pari opportunità ed anche la libertà femminile.
Per fortuna si tratta di voci sparute. E questo, se non altro, è già un passo avanti.

l’italia al maschile (31)

Sebbene le generalizzazioni risultino alquanto imprecise tuttavia, a volte, sono uno strumento pratico per dare un’idea di certe caratteristiche umane.
Un gustoso esempio ne è il libro di Joseph 0’Connor .Il maschio irlandese in patria e all’estero in cui l’autore descrive con brillante irriverenza i difetti e i pregi dei suoi conterranei. In quanto al “genere” maschile italiano, Adolfo Chiesa gli ha dedicato, nel 1989, un brillante saggio il cui titolo ne riassume lo spirito: “Come noi non c’è nessuno. Gli italiani, vizi e virtù”. Sul maschio italico hanno focalizzato la loro attenzione anche altri narratori tra cui Vitaliano Brancati, Ercole Patti, Alberto Moravia, Verga, Pirandello, Pitigrilli, Vittorini, Tomasi di Lampedusa e tanti altri.
Alle considerazioni di questi autori se ne devono aggiungere altre.
Innanzi tutto bisogna cancellare un trito luogo comune che considera l’italiano il prototipo del dongiovanni. Egli semmai rassomiglia a Casanova, il quale era attento all’affetto delle donne. Ma in buona sostanza il maschio italico, per struttura psicologica che gli deriva dall’influenza familiare non è affatto un libertino, ma è un “mammone”.
Persino del maschio adulto italiano che ha formato una famiglia si può benissimo dire che oltre ad essere “padre” tende a rimanere, soprattutto, un “eterno figlio”. Questo perché egli nella donna amata, il più delle volte cerca e “trova” la madre. E si sa, se è difficile staccarsi dalla mamma biologica, è pure difficoltoso abbandonare la madre acquisita.
Il maschio italiano però è vanitoso e ama illudersi di rappresentare il modello che ogni meridionale vorrebbe essere: un conquistatore amato da più donne. Ma per lui sedurre ed abbandonare è difficoltoso, e così spesso si trasforma in poligamo. Infatti all’italiano è estranea l’avventura cinica del dongiovanni che “usa e getta” la donna.
Esempi illustri di questa “psicologia maschile” non sono solo artisti come De Sica, Mastroianni, Fellini, che contemporaneamente ebbero per anni delle parallele storie sentimentali, ma uomini pratici e manager, tra cui Enzo Ferrari, che divise la sua vita tra la moglie Laura e un’altra donna, Lina dalla quale ebbe anche un figlio.
Il coniugato che s’è fatta l’amante la frequenta soprattutto per passare delle ore in tranquillità, lontano dai rimbrotti della rancorosa suocera e dalle urla disumane dei figli L’italiano, “a casa dell’altra”, può seguire in pace la partita di calcio, mentre a casa propria sarebbe assillato, tra l’altro, dal telecomando dei figli che fanno zapping.
L’amante non lo ostacola, lascia che parli di sé, che si lamenti; la moglie, sicura del proprio status sociale, lo critica quasi in tutto; lo contesta e lo deprime.
L’uomo sposato, nell’amante, cerca dunque quel confort e quella pazienza che agli inizi trovava nella moglie.
Di solito l’italiano, dopo i primi fuochi passionali, non chiede più tanto sesso all’amante, perché, talvolta, paradossalmente con lei le cose vanno peggio che con la moglie.
Persino il maschio che professa idee giacobine, resta, malgrado il bisogno d’evasione, un moralista pieno di scrupoli. Ciò gli crea variegati intoppi psicologici in campo sessuale.
Il maschio italiano, coacervo di contraddizioni, si professa cattolico ma cerca insistentemente l’avventura sessuale, dichiara di essere contrario al matrimonio, ma prima o poi finisce col prendere moglie, sostiene di essere di larghe vedute nei confronti della sua compagna, e delle sue figlie. A conti fatti, però, dimostra l’animo di un Otello e l’intransigenza del Sultano.
L’italiano è vanesio, e brama che si spettegoli sulle sue conquiste. L’intrigo, le bugie e i sotterfugi lo edificano: senza le scappatelle la sua vita sarebbe una banale routine
In passato l’italiano è stato contro il divorzio perché pensava che lasciando la moglie per sposare l’amante, avrebbe perso il sale della vita.
L’italiano non ammette che la sua donna, moglie o l’amante che sia, possa essergli infedele. La gelosia del maschio italiano meridionale è tanto più veemente quanto più egli è infedele.
Le separazioni sono più le donne a richiederle. Se dipendesse dal maschio, poiché preferisce mantenere lo status quo, ci sarebbero pochi divorzi .Infatti l’italiano non ha il coraggio di confessare alla sua donna che non prova più nessun trasporto per lei.. Quando non può farne a meno racconta scuse patetiche e banali. L’ammogliato poi, se pressato dall’amante che lo vuole tutto per sé, accampa “tragiche” condizioni familiari che ostacolerebbero il divorzio.
E tuttavia l’italiano, bisognoso di affetto e di cure materne, non è un briccone. In quanto al rapporto con “l’altra”, da quella relazione spera di risolvere il complesso edipico. L’italiano si aspetta che “l’altra” cancelli la troppo preponderante immagine della moglie-madre. Tuttavia, prima o poi, egli trasforma la relazione con l’amante in un’altra situazione edipica, e pertanto non risolve i propri problemi, anzi, li moltiplica.
L’italiano, anche se non vuole ammetterlo è maschilista, orgoglioso, narcisista e quindi non accetta che la compagna sia stanca di lui e lo voglia abbandonare.
Le cronache narrano, purtroppo, che qualche malaugurato,”abbandonato dalla compagna”, in qualche caso ne fa una tragedia.
Malgrado queste debolezze, l’italiano è però, tra tutti i maschi europei, il più affettuoso e servizievole. A differenza degli anglosassoni che amano far le ore piccole fuori casa, al pub o al circolo, che rientrano mal volentieri in famiglia e amano scorrazzare in gruppi, andare al golf, bighellonare per bere l’ultimo sorso “della staffa”, l’italiano rientra volentieri in seno al focolare domestico. Anche perché, a differenza dell’esemplare anglosassone, l’italiano è incapace, o fa finta di esserlo, di badare a sé stesso, e si vanta persino di non saper cucinare nemmeno un uovo alla coque. Tutto l’opposto insomma del maschio nordico che tende ad essere indipendente dalla mamma e dalla sua compagna.
Paradossalmente, l’italiano piace alle donne proprio perché è tanto geloso. La gelosia fa sentire la donna importante, e pertanto il geloso è ritenuto compagno appagante.
Da qualche decennio, inoltre, l’italiano ha imparato a gestire meglio il rapporto di coppia: con più criterio di parità e con meno arroganza di un tempo.
Egli, di regola, bada, più che in passato, alla psicologia della donna. Tutto ciò lo fa meno maschilista dei personaggi brancatiani

l’italia al femminile (32)

La psicologia della donna italiana ha radici profonde nella società romana imperiale: le matrone romane non avevano possibilità di essere socialmente responsabili né avevano alcun peso politico e tuttavia, “dietro” molti antichi romani di successo e affermati, c’era sempre lo zampino delle loro donne, anche se esse non apparivano mai come le artefici di quel successo. Il “filone” psicologico delle antiche matrone romane si ritrova ancora in quelle italiane che appaiono remissive ed arrendevoli, ma che in realtà adottano la strategia della “docilità” per apparire meno “forti”, il che consente loro, alla fine, di prevalere sul partner.
Anche le italiane risolute ed energiche, che sanno competere, che non si danno per vinte e, che, con le loro insistenze, alla lunga, piegano il maschio, sono discendenti delle tenaci signore romane. Per molti aspetti, dunque, nella nostra società, le donne, malgrado le apparenze, proprio come nella Roma dei Cesari, hanno un peso determinante. Un atteggiamento questo che, lungo l’arco dei secoli, è stato tipico delle italiane più intraprendenti, molte delle quali hanno manovrato dietro le quinte facendo eleggere imperatori, mettendo sul trono i loro figli, e persino favorendo l’elezione di molti papi, il tutto, senza mai apparire in primo piano. Donne come Marozia, artefice prima dell’anno Mille delle elezioni di due pontefici, come Maria Beatrice d’Este, che seppe impedire persino al proprio marito, Giacomo II Stuart ,di impossessarsi dei domini del proprio casato, la contessa di Castiglione che seppe tramare per condurre in porto l’Unità d’Italia, tanto per citare qualche nome, sono da ritenersi eredi delle antiche romane.
Questo “istinto” alla manovra, che tende ad influenzare senza farlo apparire è rimasto anche alle italiane del nostro secolo. Prendiamo per esempio l’italiana di mezza età: essa è legata all’immagine della donna ottocentesca e ne ricalca atteggiamenti e mentalità; anche le italiane più decisamente moderne ed emancipate sono apprensive e invadenti e trattano i figli come eterni bambini, “monitorando” la loro vita anche quando diventano adulti. Spesso le mamme italiane, così come avveniva nella Roma imperiale (vedi le madri dei grandi imperatori) prendono decisamente in mano le redini della famiglia della figlia o del figlio, dopo che questi si sono sposati. Ciò a volte fa di esse delle suocere petulanti e indiscrete.
L’italiana affonda però le sue radici anche nella psicologia della donna greca quella dell’antica polis: da essa ha ereditato il bisogno di sentirsi “protetta” dal proprio uomo, (esigenza che oggi, come allora, si rivela però riduttiva della propria libertà) e una certa “resistenza” al fascino dell’avventura sessuale fuori menage.
Penelope, figura di moglie descritta da Omero nell’Odissea, rimase fedele al suo uomo malgrado le lusinghe e le adulazioni dei Proci che la frequentarono e la tentarono durante tutto il decennio in cui lei era senza marito.
Inoltre, così come emerge dalla descrizione che Platone fa della donna greca, anche la donna italiana preferisce essere considerata una sentimentale più che una intellettuale. Ma, a differenza di Santippe, moglie di Socrate dal carattere pernicioso, la maggior parte delle donne italiane sono arrendevoli e remissive e, sicuramente, meno competitive col maschio delle anglosassoni, delle scandinave e delle americane. E in ciò, forse, esse hanno ereditato anche un po’ del Dna delle arabe. L’italiana ama la casa, come l’amavano le greche e le romane, e sta volentieri in cucina. L’italiana è reattiva al pettegolezzo, lo pratica ma soprattutto lo subisce. Nel gineceo greco e in quello romano si respirava la stessa aria.
Le italiane però, a differenza delle greche e delle romane, cercano di scrollarsi di dosso il passato di subalternità, ma non sempre riescono ad avvalersi facilmente delle conquiste occidentali. E così, l’italiana, educata in maniera rigida e restrittiva, sente maggiormente il gravame dei sensi di colpa. Questo stato di cose la rende, in qualche caso, insicura e repressa e così essa si ritiene spesso inidonea a decisioni gravose, compito che lascia volentieri all’uomo.
Infatti, la donna italiana, rispetto alle anglosassoni che hanno un carattere decisamente indipendente e non ammettono alcuna sudditanza ai maschi, è più remissiva. A differenza delle inglesi e delle americane, che gestiscono la loro vita con autonomia, fanno spesso “vacanze separate” e quando non hanno figli, addirittura abitano, durante l’anno, in una casa diversa da quella del partner, le italiane tengono a creare “un nido” e a vivere quasi sempre all’interno del focolare domestico.
Al contrario delle italiane, la maggior parte delle teutoniche, antropologicamente tenaci e determinate, rivelano una marcata tendenza al dominio, e spesso hanno la meglio sui loro compagni, che, per indole, sono invece condiscendenti e tolleranti. Le danesi, le svedesi, le norvegesi e le olandesi, straordinariamente progressiste, hanno conquistato da tempo la parità col maschio, sia nel campo professionale e lavorativo, sia nella conduzione della famiglia, nell’assistenza dei figli, e persino nella gestione della propria sessualità.
Ma l’esempio delle occidentali più evolute ha spinto le italiane delle ultime generazioni a mostrare maggiore combattività, ad avere uno più spiccato desiderio di avventura e di libertà. Molte italiane, le più giovani e le giovanissime hanno oramai capito la trappola nella quale erano cadute le loro madri e le loro nonne, e mostrano chiari segni di ribellione. Infatti le loro mamme e le loro nonne in passato furono tenute spesso in condizioni di sudditanza. L’imbonimento più evidente era quello di ritenerle inidonee a influenti ruoli sociali e a responsabilità pubbliche che, secondo luoghi comuni atavici e pregiudizi, “appartenevano” al patrimonio culturale e lavorativo maschile.
Le nuove generazioni di italiane hanno così in parte abbandonato gli aspetti caratteristici regionali e si sono uniformate a modelli sociali europei. Le italiane di oggi, più evolute ed europee lo sono certamente. Nella metà del ‘900 erano, per caratteristiche psico-sociali e per abitudini quotidiane, simili alle donne di fine ‘800, più di quanto allora non fossero le europee e le nordamericane, che viaggiavano già con una mentalità progredita e rinnovata. Infatti, negli anni cinquanta del ‘900 le nonne e le mamme italiane erano gravate da una società ipocrita e colma di pregiudizi. Invece in quello stesso periodo, le francesi, le inglesi e le tedesche (per non parlare delle scandinave) avevano raggiunto una libertà e uno spiccato senso d’indipendenza inimmaginabili per le nostre rappresentanti.
Le ragazze italiane delle ultime generazioni rassomigliano ormai sempre più in tutto e per tutto alle loro coetanee europee e sempre meno alle “nonne greche e romane”, e tanto meno alle donne dell’800.
Le giovani italiane non hanno nessuna soggezione del maschio, si comportano con una spontaneità che a volte sfiora l’arroganza, usano un linguaggio con espressioni tipiche dei camionisti, sono sfacciate anche se sanno essere simpatiche. Sono più pragmatiche delle loro madri, meno attente all’etichetta, strafottenti al punto da rivelarsi sguaiate, sfrontate e tracotanti fino ad apparire insensibili verso i sensi di colpa.
Insomma, rispetto al passato, sono tutta un’altra generazione, nel bene e nel male.

comportamenti e amori della gioventu’ d’oggi (37)

Adolescenti e giovani danno oggi di sé un’immagine di libertà, anzi, di libertinaggio che qualche decennio addietro avrebbe scandalizzato persino i più progressisti.
Le adolescenti delle ultime generazioni appaiono “sveglie ed aggressive” e più consapevoli delle loro mamme e delle loro nonne, soprattutto in tema di sessualità. Iniziano ad avere rapporti giovanissime (tra i 14 e i 16 anni), ma solo se convinte di amare il partner. Infatti, paradossalmente, vanno ancora a caccia del principe azzurro. Per i maschi, invece, ogni scusa è buona per fare l’amore.
Maschi e femmine preferiscono il rapporto interrotto perché contrari al profilattico. In quanto alla pillola, solo il 10 % delle giovani ne fa uso, e la accettano se prescritta con intenti curativi, per l’acne ad esempio.
Molte ragazze e tanti ragazzi hanno paura di ingrassare. L’angoscia della bilancia porta molti di loro al limite dell’anoressia. Coloro che, viceversa, sono in forte soprappeso non riescono a dimagrire perché non vanno dal dietologo e preferiscono seguire diete “fai da te” o consigliate da amiche o amici, finendo così con l’essere molto vicini all’obesità.
Maschi e femmine sono attenti ai messaggi della moda. Le ragazze s’innamorano dei cantanti più “in” nelle classifiche; maschi e femmine vanno pazzi per la musica pop, rock, per quella del new age e quella psichedelica, purché ad alto volume.
Le giovani d’oggi mantengono buoni rapporti con le loro madri dalle quali accettano ( a volte subiscono) consigli e suggerimenti. Le genitrici, seguendo l’evoluzione e i cambiamenti fisiologici e psicologici delle figlie, le guidano alla ricerca del marito. Malgrado l’apparente aggressività e sfacciataggine, le ragazze sono fragili, senza esperienza e con scarsa cultura di base; quasi tutte utilizzano in maniera dissennata i cellulari con un fitto scambio di sms, per scambiarsi frasi insulse e insignificanti.
Ragazzi e ragazze si tengono al corrente dell’oroscopo, non leggono libri, ritengono i letterati dei tromboni e preferiscono l’assordante discoteca.
Sia maschi che femmine amano scorrazzare per strada con auto e moto, come se fossero in un circuito. Non si fanno scrupolo di avere, sia gli uni che le altre, un linguaggio da scaricatore di porto. Le ragazze esibiscono modi rozzi, decisi. Una volta si sarebbe detto di loro: “sono dei maschiacci”, oggi si sottolinea che “sono determinate a non farsi prevaricare”.
Ai giovani è stato insegnato, a torto o a ragione, ad essere malcontenti della società. Per tale motivo gridano il loro disappunto nelle strade, durante le adunate e i comizi e lo scrivono negli striscioni che trascinano per le arterie principali delle città.
In qualche caso la gioventù spera di liberarsi del malumore correndo a centonovanta all’ora “per evadere da un mondo tiranno e senza lavoro”. Ebbra di alcool ed eccitata dalla musica al massimo volume, la gioventù sfreccia ad alta velocità con fari abbaglianti che sono pugni negli occhi degli automobilisti che incrociano oppure procede a forte andatura a luci spente per provare l’ebbrezza del pericolo.
Qualche volta, purtroppo, anche perché “strafatti”, i giovani schizzano col mezzo senza ormai più controllo su un palo o investono l’auto in senso opposto.
Come conciliare codesto disprezzo per la vita con l’amore che propagandano per la natura allorché sono intruppati in manifestazioni ecologiste o pacifiste?
Spesso la gioventù non sa di preciso ciò che vuole, e si lamenta di quello che ha. Ai giovani “paninari” non interessa la cucina raffinata, perché prediligono patatine fritte, hamburger e qualche bicchiere di birra, nei Mac Donald o nei camion food.
Maschi e femmine leggono poco o niente, e ciò che sanno lo ricavano dalle canzoni degli autori preferiti. I maschi seguono però l’informatica e sono esperti col computer. Assieme alle femmine frequentano le palestre, fanno footing, hanno modi spicci e senza fronzoli e hanno comportamenti molto rumorosi.
Le ragazze sono allegre, disinibite, il più delle volte senza problemi “esistenziali”, amanti delle discoteche dove si scatenano per ore ed ore in balli “da sballo”.
Specialmente i maschi ritengono tramontati concetti come romanticismo, sentimentalismo, languore.
Sono molti i ragazzi e le ragazze che seguono le dottrine esoteriche e s’interessano del paranormale. Tuttavia hanno rari problemi di ordine religioso e utilizzano le parrocchie per gite, meeting, e attività socialmente utili di gruppo.
Maschi e femmine sono indolenti, trasandati e poltroni; vestono casual e mimano l’abbigliamento dei divi idolatrati in quel momento. Le loro orecchie, le loro labbra e altre parti del corpo sono perforate da anelli e oggetti ornamentali; braccia, spalle e addomi, anche quelli delle donne, sono ricoperti da tatuaggi di cui la gioventù va fiera.
Tuttavia i giovani d’oggi sono meno tenebrosi e pessimisti della generazione del secondo dopoguerra del ‘900; e meno impegnati dei sessantottini. I giovani dell’ultima generazione non sono sfiorati da dubbi esistenziali, non si interrogano sull’aldilà, sono certi che li “dovrà” aiutare la buona stella, non sanno nulla della storia e tanto meno l’apprezzano come maestra di vita.
Ragazze e ragazzi sono visceralmente allegri e simpatici. Quelli che s’interessano di politica lo fanno per marciare rumorosamente nelle strade e far casino quando se ne presenta l’occasione. Pochi sono impegnati intellettualmente
I giovani preferiscono stare in gruppo e non apprezzano né la solitudine né la meditazione. La coppia giovane ama sbaciucchiarsi in pubblico, in qualsiasi posto si trovi: al bar, in un museo, nella metropolitana, in banca, al cimitero o in chiesa.
Giovani e ragazze sono intransigenti nel difendere i loro diritti, che spesso identificano con le loro voglie e le loro passioni.
In quanto ai doveri li considerano delle strumentalizzazioni e delle coercizioni nei loro confronti. Pertanto quasi sempre cercano di sottrarsi ad essi, tant’è che nessun giovane sta al proprio posto senza con questo “sentirsi limitato”.
I giovani si rivolgono poco alla divinità. Amano in maniera narcisistica; credono che all’amore non si possa sfuggire, così come non si può sfuggire all’umidità, allo scirocco o all’infuriare di una tempesta. Ma se finisce il sentimento tagliano corto: non subiscono, come fecero le generazioni dei loro padri e dei loro nonni, una situazione sentimentale deteriorata. Questo atteggiamento, a conti fatti, è forse alquanto sano, perché recriminazioni, animosità e rancori vengono ridotti al minimo. I loro genitori e i loro nonni subivano, per assecondare le consuetudini sociali, per “salvare la coppia” ma soprattutto per salvare la faccia, acredini e conflittualità del tutto sconosciute ai giovani d’oggi
La gioventù odierna è persuasa, come nessuno mai prima di adesso, che il mondo debba essere a disposizione dei giovani e debba riconoscere necessariamente i loro diritti. Ottimistica convinzione che spinge i giovani a non osservare nessuna delle vecchie regole di bon ton. Essi scorrazzano sui marciapiedi con le motorette mettendo a repentaglio i pedoni, superano in maniera spericolata e dalla parte destra le auto, sorpassano le zone pedonali a grande velocità incuranti di chi sta attraversando.
«Ahimé – lamentano gli anziani – viviamo in tempi senza ordine e disciplina!»
Tuttavia ai tempi che i vecchi ricordano, l’ordine e la disciplina erano imposti con metodi estremamente dittatoriali, senza comprensione per le necessità della gioventù. Ed allora, tutto sommato, forse è meglio oggi.

single e divorzi sprint (43)

La maggior parte della gioventù ama metter su un ménage familiare a lungo termine e si prepara con zelo a fare il padre e la madre come si faceva una volta, mantenendo la propria unione al meglio e senza gettare la spugna ai primi intoppi.
Tuttavia non si può ignorare che vi è una tendenza, in molti, giovani e meno giovani, a restare single. Famosa la risposta che Alberto Sordi, grande amatore ma eterno scapolo,diede ad una giornalista che gli chiedeva perché non si fosse mai sposato: «E le pare che mi sarei messa una estranea in casa?». Altrettanto fulminante, come la sorniona Lalla Romano raccontò in seguito, fu la risposta della scrittrice al regista teatrale Guido Urbani quando costui le chiese di fare all’amore con lei: «Purché “dopo”, Guido, non mi chiedi di sposarti…»
Alcune persone, anche se legate affettuosamente al partner, preferiscono vivere in casa propria, con abitudini da celibe o da nubile, persino dopo sposati. La tendenza non è moderna: a metà del ‘900, gli attori Aroldo Tieri e Luciana Lojodice, vissero in case separate anche dopo le nozze. Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, legatissimi tra loro, abitarono appartamenti separati. Lo stesso fecero Spencer Tracy e Katerine Hampburn, Anna Magnani e Massimo Serrato, tanto per fare alcuni esempi.
L’identikit dello scapolo o della nubile ad ogni costo lo troviamo nel libro di Virginia Despentes, “Teen sprint”, che narra di adolescenti-adulti che si fanno accudire dalla famiglia e dalle fidanzate e non rinunziano allo status di single. Il tema è ripreso in “Il manuale del perfetto adolescente”, di Paula Guagliumi, autrice che, in “Scopami”, difende le tendenze di quei single che “non s’impegnano”. Significativo è anche il romanzo di India Knight, “Single senza pace”, che sottolinea le ambiguità di chi evita il matrimonio. Il cantautore Tom Wait in una canzone dichiara: “Non voglio crescere/ Non voglio fare un mutuo/ Non voglio innamorarmi, sposarmi e poi scoppiare”.
Il rifiuto delle responsabilità coniugali fu anche un atteggiamento alquanto consueto in passato (non vollero mai contrarre matrimonio Leonardo, Michelangelo, Baudelaire, Nietzsche, Montesquieu, Elisabetta I° d’Inghilterra, Cristina di Svezia, Emily e Anne Brontë, Olympe de Gouges famosa per la sua Dichiarazione dei diritti della donna, Jean Austen, tanto per fare alcuni esempi, ma la lista è lunghissima). Oggi inoltre vi è una vera e propria cultura del single. Come se non bastassero le collane di libri per i single, equivalenti della letteratura rosa che favoriva il sogno del matrimonio d’amore, ora pure il cinema esalta la vita da single.
E l’industria s’interessa sempre più a questa categoria così vasta di persone, diventata una forza economica. La produzione infatti non ignora più le esigenze dei single, e così si trovano molti prodotti in monodosi ad uso delle persone sole.
Vivere da soli a volte, forse, è quasi necessario: la scarsa occupazionalità e gli stipendi bassi non inducono a creare una famiglia; la mobilità del lavoro è pure un handicap: molti preferiscono restare single dovendo cambiare ripetutamente sede e attività. Molte donne sviate dagli impegni di lavoro non sentono più l’impellente bisogno di una famiglia; le manager, sopratutto, rifiutano il legame matrimoniale. Il diffuso bisogno, maschile e pure femminile, di non avere ingerenze nel privato e la sempre più frequente promiscuità sessuale non incentivano di certo i matrimoni.
Gli anglosassoni chiamano kidadults, e i francesi “adultescenti” gli adulti che si comportano da adolescenti, restii a far coppia fissa e che si crogiolano nell’essere single e «mai e poi mani» si farebbero “intrappolare”. La tendenza a rimanere single è attribuita anche all’utilizzo di Internet e della televisione. Secondo alcuni, molta gente, in comunicazione “virtuale” attraverso la rete telematica, non sente più il bisogno di una presenza reale al proprio fianco. Il sociologo Somersit Myers afferma: «La televisione tronca il contatto familiare. Spesso ogni membro del nucleo ha un televisore nella propria stanza ed è quasi indifferente avere una famiglia »
Analisi però troppo radicale e pessimista: infatti attorno al televisore spesso la famiglia si riunisce. Genitori e figli facendo il tifo per la squadra del cuore, o seguendo programmi a quiz, rinsaldano il legame emotivo intenso.
In quanto a Internet, se fa restare per ore “isolati”, tuttavia, chattando e incontrandosi in rete, molte persone comunicano più di quanto non facciano di presenza. Alcuni incontri telematici si tramutano in appuntamenti reali e sfociano in relazioni sentimentali. Le persone timide, favorite da un periodo di “conoscenza telematica”, alla fine si aprono con minor paura.
È probabile dunque che oggi si tenda a gestire in maniera diversa la propria vita. Si ha meno paura di ammettere i propri errori nella scelta del partner e di conseguenza si ha meno paura di “cambiare”. Motivo di tensione e di separazione è pure quando il matrimonio è ritenuto da uno dei due partner una conquista e dall’altro una sconfitta.
La quotidianità, insomma, non è più condotta con le antiche regole della convivenza familiare, quando, per esempio, si preferiva restare uniti in un matrimonio mal riuscito piuttosto che tornare “zitelle”, e quando gli uomini temevano di ridivenire “scapoli” perché non avevano imparato “nemmeno cucinare un uovo sodo”.
Tra i giovani che vogliono farsi una famiglia, alcuni di essi hanno però ritmi sbrigativi. Spesso fanno appena il tempo a dire “ti amo”, che qualche settimana dopo decidono di sposarsi, e così dopo un fugace approccio, si apprestano con superficialità alle nozze. In questi casi, trascorsi pochi anni, o addirittura mesi, appena le difficoltà appaiono all’orizzonte, è facile che si arrivi alla separazione o al divorzio. E ciò avviene spesso anche negli ambienti più “in”.
Claudia Pandolfi si è separata da Massimiliano Virgili dopo meno di due mesi di matrimonio. Nicolas Cage e Lisa Marie Presley si sono lasciati mesi dopo le nozze. Lo stesso tempo è durato il matrimonio tra Jennifer Lopez e Chris Judd.
Secondo l’Istat, nel 2000 la media globale dei matrimoni in Italia era di 13 anni. La quota è però ingannevole, perché è di molto alzata dai matrimoni di anziani con trenta anni di vita in comune! Negli Usa 47 coppie su 100, tra i 20 e i 30 anni, divorziano nel giro di due o tre anni. In Inghilterra il 32% dei coniugi si separa entro cinque anni. Statistiche più confortati in Spagna e in Germania, ove è solo il 20% che conclude il ménage nei primi 5 anni di matrimonio.
Il fatto più paradossale è che, a volte, nelle coppie che hanno convissuto per anni in buon accordo, passando al matrimonio, l’intesa viene meno, come se il vincolo impedisca la continuazione di buoni rapporti.
Il sociologo Ferrarotti afferma che le coppie giovani sono le più a rischio: vanno al matrimonio sognando una vita simile a un lungo viaggio di nozze, e così, alle prime incrinature, ritornano nella famiglia d’origine. In qualche caso i doveri matrimoniali, l’appartamento da gestire in tutto e per tutto, l’allevamento dei figli, il vincolo stesso, diventano un peso che arreca fastidio e intolleranza in quanti furono abituati dai genitori ad essere esentati da responsabilità e da obblighi familiari.
Dopo il fallimento della vita in coppia, non tutti i separati però rientrano nella famiglia d’origine; alcuni affittano un appartamento e vivono da scapoli o da nubili.
Ma i divorzi sprint non sono tipici solo di questa epoca. Giuseppe Garibaldi, centocinquanta anni addietro, dopo una fitta e ardente corrispondenza epistolare con la marchesina Giuseppina Raimondi, che fece salire la furia amatoria dell’eroe, fu indotto a fissare impetuosamente le nozze. Ma si trattò di una cerimonia “esplosiva”, in sintonia con le circostanze della vita del patriota. Infatti, celebrate le nozze, sul sagrato della chiesa qualcuno diede al generale un biglietto. Garibalidi lo lesse e sbiancò; dominando a stento la rabbia chiese a Giuseppina se era vero che fosse incinta, come riferiva la lettera. Colei che da pochi minuti era diventata la signora Garibaldi, arrossì.
L’Eroe allora gridò alla sposa: «Siete una puttana!» e la piantò sul sagrato.
Giuseppina era gravida (l’aveva inguaiata Luigi Caroli, un donnaiolo da strapazzo) e per “sanare” l’infortunio, i parenti della ragazza l’avevano spinta a sposare Garibaldi.
Insomma, anche in passato non mancavano motivi per divorzi sprint.

ipocrisie sociali (40)

Diceva lo scrittore inglese J.B. Shaw che i campi in cui c’è più doppiezza sono la politica e la sessualità, ma che l’ipocrisia regna sovrana in particolar modo proprio nel secondo di questi due campi.
L’eros nella nostra cultura ha un alcunché di ambiguo e imbarazzante anche in Paesi che si definiscono di idee libertarie. Per fare un esempio: nella pur liberale Bibliothèque azionale di Parigi, le opere sull’argomento sono relegate in una sezione nascosta, chiamata l’Enfer, abbreviazione di enfermée, cioè chiusa al grosso pubblico. Nel British Museum di Londra, città di più larghe vedute, invece, a questo genere di libri è riservata una sezione appartata, ma non “chiusa al pubblico”.
Per dimostrare quanta incoerenza e impostura vi sia in materia di sessualità basta dare uno sguardo al passato: in Francia al tempo della costruzione di Notre Dame, le prostitute furono invitate a offrire una grande quantità di ducati per aiutare il re alla costruzione di quel tempio. E così, proprio grazie alla raccolta dei fondi ricavati dai contributi elargiti dalle “donnine allegre”, si arrivò alla realizzazione delle bellissime vetrate di quella cattedrale.
Lo storico Paul Larivaille riferisce che nella Roma del Rinascimento il papato ricavava notevoli introiti dal “capitano dei lupanari”, cioè da colui che sovrintendeva al commercio più antico del mondo, tant’è che nel 1517 Leone X ordinò la famosa “tassa delle p…”, dalla quale, visto il gran numero di professioniste che viveva in quella città, poté attingere notevoli proventi.
Il Governo di Venezia da un lato “fingeva” di voler moralizzare le piazze, facendo sgombrare le adescatrici, dall’altro guadagnava somme enormi sui proventi di quelle povere donne. In quello Stato, nel 1514, venne emanata una tassa straordinaria “sulle prostitute” per finanziare importanti lavori nell’arsenale.
Tra il ‘400 e il ‘600 la pressione moralistica diede origine all’inasprimento della condanna del meretricio. In molte grandi città si espulsero le adescatrici, ma l’allontanamento delle professioniste portò scompensi economici notevoli. Le cortigiane di alto bordo erano così ricche che con i loro depositi finanziavano anche grossi banchieri. Tanto per dirne una, l’espulsione delle donne di mestiere provocò a Roma, a Venezia e in altre città notevoli fallimenti, tant’è che i governi di quelle città rinunziarono alla moralizzazione e ridiedero a quelle donne la libertà di esercitare il loro mestiere!
Altrettanto irragionevole risulta il fatto che nello stesso periodo in cui gli Stati chiedevano contributi alle donne che esercitavano il mestiere, con dubbia coerenza si imponessero restrizioni nel campo dell’arte: il Giudizio Universale di Michelangelo venne fatto più volte correggere perché, secondo una commissione di moralisti, “c’erano troppi nudi”, e “alcuni angeli erano senza ali”, etc. etc. Clemente VIII pensò di distruggere quel capolavoro, ritenendolo immorale.
A Venezia, città che, secondo le cronache del tempo, ospitava più di 700 prostitute, le quali contribuivano, con soddisfazione dei governanti, ad impinguare le casse della Repubblica, l’Inquisizione veneziana costrinse il Veronese a cancellare ne La cena di Casa Levi, i personaggi ritenuti “troppo lascivi”.
In quanto agli intellettuali, c’è una schiera di autori “insospettabili”, dalla morale ipocrita, puritani di facciata ma trasgressivi in alcune opere o nella vita privata. Tra essi ricordiamo il “severo” Machiavelli, che scrisse un saggio sull’argomento, l’Erotica, opera manco a dirlo quasi sconosciuta; Charles Dickens, considerato un moralista per i suoi celebri libri per ragazzi era padre di dieci figli (avuti da Catherine Hogart) ma nel contempo ebbe varie relazioni, tra cui una con la sorella minore della moglie e un’altra con l’attrice Nelly Terman; il “sentimentale” Antonio Fogazzaro, nel romanzo “Il Santo” esaltò però l’eros; Giosuè Carducci, poeta e moralista, fu nella vita un grande amatore ; Felix Salten, ideatore di Bambi, notissimo capriolo “adottato” da Walt Disney, scrisse molti libri per bambini, ma compilò pure, non dandoli alle stampe per non perdere la reputazione, racconti di avventure lascive. Voltaire che da ragazzo aveva ricevuta dai gesuiti una rigida educazione religiosa, divenuto in seguito assertore della libertà di pensiero, a ottantadue anni scrisse L’Odalisca, racconto licenzioso ed erotico, pubblicato dopo la sua morte. In quanto a La Pulzella d’Orleans, anch’essa opera licenziosa, gaia e spensierata, Voltaire, temendo la galera, la diede alle stampe come opera di anonimo. E un altro illuminista, il Diderot, si cimentò nella letteratura erotica con Les Bijoux Indiscrets. E persino Mirabeau, pensatore impegnato politicamente e sociologicamente, scrisse “di nascosto” Le Rideau se lève, ou la Education de Laure che contiene straordinarie descrizioni pornografiche.
E che dire di Parini? Scrittore serioso e sussiegoso del Settecento, egli scrisse anche un’opera erotica: la Novella di Baccio Pittore. Jonathan Swift, autore de I Viaggi di Gulliver, compose, senza avere il coraggio di pubblicarle, molte poesie pornografiche. Horace Walpole, letterato e uomo politico inglese del Settecento, in pubblico si mostrava serioso e compunto, ma, in un suo saggio storico dal titolo Memorie sui regni di Giorgio II e Giorgio III, predomina il gusto della narrazione piccante. Anche il romantico poeta Alfred De Musset scrisse un racconto erotico, Gamiani, che pubblicò a sue spese e fece circolare tra gli amici intimi.
Persino Federico Garcia Lorca, forse il più sentimentale dei poeti, ha scritto gustosissime poesie erotiche.
Giovanni Verga se ne “La storia di una capinera” e in “Eva”, esaltò l’unicità dell’amore «perché da’ il senso più profondo nella vita», in pratica sconfessò col suo modo di vivere quotidiano i moralismi propugnati in molti suoi libri. Infatti, lo scrittore ebbe molte amanti e condusse una esistenza trasgressiva. Solo in Eros, un Verga fattosi più sincero, quasi con una confessione, dice per bocca del protagonista del racconto: «Noi avveleniamo la nostra vita esagerando e complicando i piaceri dell’amore sino a farne dei dolori».
«La sensualità – osservava Oscar Wilde – è il più difficile degli impulsi da frenare, ma è quello che più si cerca di tenere nascosto. Infatti, se da un lato ufficialmente predominano bigottismo e critiche nei confronti della libertà dei costumi, dall’altro in segreto, la gente tende a divertirsi in questo campo». Una riprova della verità delle affermazioni di Wilde si ha se si considera, per esempio, come sono affettatamente ignorate, ma solo in pubblico, le opere del siciliano Domenico Tempio, mentre in privato questo autore ha molti lettori e grande successo.
Del resto, ad osservare con attenzione la società, si può notare che la gente sotto sotto ammira e invidia i comportamenti libertini, però, per non sentirsi in colpa, accetta ufficialmente solo le trasgressioni dei personaggi pubblici più di spicco. E così, se certe libertà scandalose vengono contestate alle persone comuni, le stesse esperienze invece affascinano se ne sono protagonisti divi e dive, intellettuali, magnati dell’industria e del commercio.
Pertanto le personalità che più contano nel campo dell’arte, della cultura, della finanza, del cinema e in altre attività di pubblico dominio, ostentano impunemente le proprie licenziosità, col risultato che ricevono perfino un ammirato consenso dalla gente. Le persone comuni, invece, non protette dalla immunità morale concessa a chi ha un vasto e rilevante consenso popolare, vengono ipocritamente condannate per le medesime disobbedienze nel campo dell’amore e dell’eros che, al contrario, sono considerate il fiore all’occhiello dei personaggi famosi.
Ciò fa riflettere su quanto l’ambiguità sociale in questo campo regna sovrana ed anche su come è maldestramente dissimulata.

il senso del pudore (42)

Sul pudore si è detto e si è scritto molto. Ma soprattutto in suo nome si sono commesse prepotenze e soprusi. Il pudore, dicono i vocabolari, è “timore di fare o di sentire scostumatezze”; “senso di avversione e di difesa nei confronti di aspetti equivoci e morbosi del sesso”. Esso comporta dunque sia “il bisogno di allontanare il sospetto di una disponibilità a fare cose che il comportamento sociale avversa”, sia “un imbarazzo per certi atteggiamenti altrui”. Dante, con fine intuito psicologico, lo definì: «ritraimento d’animo da laide cose con paura di cadere in quelle».
Se il pudore è la virtù di ritrarsi da ciò che è sconveniente, quando diventa una caccia alle streghe mostra un accanimento sospetto. Infatti, l’esagerata esternazione della pudicizia potrebbe nascondere la paura inconscia di “accettare” ciò che esteriormente si critica. Da questo punto di vista, il pudore, secondo gli psicologi, è un meccanismo di difesa. Il temere di mostrare l’”ego” impudico, fa scaturire il senso del pudore. Esso esprimerebbe, sempre secondo gli psicologi, un conflitto tra il bisogno di soddisfare necessità istintuali e il timore di essere coinvolti in desideri proibiti. Da ciò si scatenerebbero sensi di colpa con relative, grottesche estrinsecazioni di pudore.
Assurda sfuriata fu quella che fece Oscar Luigi Scalfaro nel luglio 1950, all’interno del ristorante Chiarina, a Roma, quando si scagliò contro «le indecenze» della signora Edith Mingoni-Toussan, colpevole d’indossare un abito con bretelle che lasciavano intravedere le spalle nude. Scalfaro entrando nel ristorante e notando la donna s’infuriò e alludendo al decolleté della donna gridò: «È abominevole! È uno schifo!». Poi rivolto alla malcapitata: «Le ordino di rimettersi il bolero!». Forte della carica che rivestiva, Scalfaro invitò la polizia a portare in questura la signora.
A metà del ‘900 il senso del pudore non fu solo prerogativa di uomini della DC, ma anche nel Partito Comunista vi furono episodi di intolleranza. Nel 1948, Pier Paolo Pisolini, dirigente del partito, venne radiato perché omosessuale. Identico provvedimento nei confronti di Pietro Tresso. Alle Botteghe Oscure vigeva a quel tempo una inquisizione durissima. L’Ufficio Quadri, diretto con squallida pudicizia da Edoardo D’Onofrio, controllava la moralità sessuale degli iscritti.
In questo clima va inserito l’episodio che vide protagonista Palmiro Togliatti, il quale diede del “degenerato” allo scrittore omosessuale André Gide, e considerò J. P. Sartre un depravato perché difendeva i gay. In questo contesto, c’è da ricordare che a Domenico Modugno fu censurata la strofa di una sua canzone, ritenuta impudica, perché un verso così recitava: «resta cu’ me, vita da vita mia, nun m’importa chi t’avuto….». Frase considerata licenziosa.
Gli strali del comune senso del pudore si abbatterono anche su Carlo Sforza, pupillo di De Gasperi, diplomatico e politico molto quotato. Indicato nel 1948 come uno dei possibili presidenti della Repubblica, alcuni influenti del partito, farisei e bigotti, non sopportando la sua sensibilità al fascino femminile, sostennero che, “essendo un dongiovanni”, non garantiva serietà alla carica.
E così, a Sforza fu preferito Luigi Einaudi.
Anche nel cinema la censura del “comune senso del pudore” ha avuto mano pesante, e a volte è stata molto ridicola. Ne Il bell’Antonio fu censurata la frase: «come si fa’ a fare i figli?». Nel 1955 il film Totò e Carolina venne mutilato di quindici minuti. Si dovette sostituire la parola prostituzione con sregolatezza, la protagonista non fu più definita peripatetica ma svitata; la parola donnaccia sostituita da povera disgraziata. Censurati persino Totò cerca casa, Totò e le donne e Guardie e ladri. Ne I dolci inganni di Lattuada, censurata una scena in cui la Spaak si alza dal letto al mattino con una corta camicia di notte. Per la televisione si pretese che le ballerine, sotto le vesti, tenessero sottovesti rigide, perché così, piroettando e ballando, non mostrassero le gambe! Luchino Visconti, nel 1961 venne denunziato perché Rocco e i suoi fratelli “turbava il comune sentimento della morale”. Nel 1962 Pasolini fu processato “per turpiloquio” del film Mamma Roma; e Alessandro Blasetti inquisito per il film Io amo tu ami. La giornata balorda di Mauro Bolognini fu sequestrata perché “poneva in eccessivo rilievo gli istinti erotici”. Il Pap’occhio di Arbore fu posto sotto sequestro nel 1980 e de L’ultimo tango a Parigi di Bertolucci si ordinò la distruzione dell’originale. L’avventura di Michelangelo Antonioni fu sequestrata per una appena accennata scena d’amore tra Ferzetti e la Vitti. La censura più incresciosa fu quella de La dolce vita di Fellini, film ritenuto dall’Osservatore Romano un “ostentato invito alla dissoluzione”. Sulla rivista Settimana del clero, il gesuita padre Trapani propose che venissero celebrate messe di espiazioni e di riparazione dei peccati commessi da quanti erano andati a vedere quel film. Solo nel 1994, Città Cattolica valutò La dolce vita film di testimonianza e non di “corruzione”.
Un incidente singolare fu sollevato nel 1958 da monsignor Fiordello, vescovo di Prato. Durante una funzione religiosa, inveì dal pulpito contro due giovani definendoli «pubblici peccatori» perché sposati col solo rito civile. Denunziato dalla coppia per diffamazione, il vescovo venne condannato dal tribunale di Firenze. Ma il caso sollevò un vespaio nella Curia romana, e nel processo d’appello, il prelato… fu assolto.
Il senso del pudore, come si può intuire, non è identico in tutte le epoche e in tutte le latitudini. Oggi molti atteggiamenti e manifestazioni che furono stigmatizzati come contrari al senso del pudore non sono più ritenuti riprovevoli. Ogni cultura elabora particolari aspetti del pudore, talvolta in netto contrasto con quelli di altre epoche e di altri popoli. Il pudore nasce anche dal particolare modo di considerare il corpo umano. Ciò comporta in qualche caso un controllo censorio sull’abbigliamento. Nella Bibbia, il Genesi attribuisce al pudore la primitiva spinta a coprirsi, e fa coincidere questo fatto col sorgere della nozione di Bene e di Male. In India invece nessuno si meraviglia se le donne espongono il seno, ma è sconveniente mostrare le gambe; in alcune tribù, le donne africane girano col viso coperto, mentre tutto il resto è esibito in maniera adamitica senza scandalo.
Il desiderio di piacere e di mettersi in luce crea l’esigenza di un vestiario adeguato a stimolare e attirare. Il modo di vestire esprime anche aspirazioni e tendenze, magari non percepite chiaramente dalla coscienza. Alcune persone indossano vestiti che modellano le forme del corpo o tendono ad avere sempre più parti del corpo scoperte. Spesso si tratta di nudità che contrastano col comune vecchio senso del pudore, e tendono a riaffermare lo spontaneo desiderio di piacere. La parità dei sessi ha prodotto il vestito unisex, ma sia le donne che gli uomini non vogliono perdere il loro ruolo erotico, e l’unisex così non è mai del tutto amorfo. Il vestiario è dunque usato anche come richiamo erotico: decolleté vertiginosi, gonne aderenti ai fianchi e al bacino, pantaloni stretti, notevoli scollature nelle camicie per mostrare petti maschili villosi, sono esibizioni per far risaltare l’appetibilità della condizione fisica. L’abbigliamento non conformista esprime atteggiamenti aperti e confidenziali, ma se sfoderato in maniera eccessiva può essere manifestazione di narcisismo.
Chi invece veste sempre in maniera rigidamente tradizionale potrebbe nascondere la paura di essere bersaglio di desideri. Infatti, quando si occultano esageratamente le proprie forme fisiche c’è da sospettare che vi siano notevoli conflitti interni.
Gli strali dei fanatici del senso del pudore si abbattono su atteggiamenti, gesti ed espressioni, ma anche su opere d’arte, manifestazioni teatrali e testi di vario genere. Imponendo una rigida censura i tormentati custodi della costumatezza cercano di attenuare qualsiasi segnale che possa apparire concupiscente. L’insistente però troppo sul senso del pudore finisce col far scattare l’interesse proprio su ciò che in apparenza si vuole nascondere, facendo così sospettare che i rigidi censori, polarizzando oltremisura l’attenzione sulla impudicizia, ne siano in qualche modo attratti, magari in maniera inconscia.

E SE FOSSE UNA TERAPIA ANTIDEPRESSIVA?

Per alcune persone la sessualità è un problema. Molte delle persone che subiscono in maniera troppo oppressiva alcuni irragionevoli divieti imposti dalla pressione sociale e dai tabù nella sfera dell’intimità, si ritrovano a volte a dover fare i conti con malesseri psicosomatici come mal di testa, tachicardie, attacchi di panico, senso di soffocamento, bulimia o anoressia, tutti disturbi dipendenti dalla conflitto tra bisogni naturali e tabù sociali.
Questi malesseri, osservati attraverso la filigrana dell’inconscio, rappresentano la punta di un iceberg. Secondo Sigmund Freud e altri studiosi, essi segnalano che la personalità è avviluppata in angosce esistenziali, inestricabili e ineluttabili che si tramutano in disagi di carattere sociale. Psicologi, psicanalisti, sessuologi e psichiatri ritengono dunque che i disturbi psicofisici, “somatizzazioni”, siano una metafora di inquietudini derivanti dai tabù.
L’antropologa Margaret Mead, osservò che: “le persone manipolate e condizionate nelle loro spontanee necessità naturali, vivono malinconiche”. Un altro antropologo, Bronislaw Malinowski, concordando con la Mead, non riscontrò forme di nevrastenia nei popoli primitivi che ignoravano quel genere di repressione, mentre osservò stati patologici nelle regioni in cui l’istinto sessuale veniva considerato pulsione vergognosa. Osservazione questa condivisa dall’antropologo e filosofo Ettore Brocca il quale constatò che quando la pudicizia occidentale impose agli Indi di indossare vestiti e di astenersi dalle effusioni, quei popoli “innocenti”, una volta ricoperti di panni che impedivano loro la traspirazione corporea in quelle terre calde e umide, ed obbligati a privarsi delle spontanee espansioni, finirono depressi.
Secondo il sociologo Jeremy Bentham la condotta umana è stimolata dal bisogno di raggiungere un appagamento psico-fisico. In linea con tale convinzione John Stuart Mill, osservò che le persone troppo soggiogate da condizionamenti sociali e dai divieti morali, trascurando di soddisfare gli appetiti naturali, vivono infelici. Questo atteggiamento, dice Freud, causa disturbi psicologici nella vita quotidiana.
William Reich psicoanalista molto apprezzato, scrisse: “Le elaborazioni mentali bloccate dai tabù, stimolano paure e depressione, impedendo così la fruizione della parte più piacevole della vita: star bene con l’altro sesso”
Nel ‘500 Machiavelli sosteneva che: «Seduzioni e pulsioni rinvigoriscono e pongono le basi per una maniera gioiosa di vivere. Infatti bisogna indursi a pensare a cose piacevoli né so cosa che diletti più a pensarvi e a farlo che stare “in piacevole diletto”. E filosofi ogni uomo quanto e’ vuole, che questa è la pura verità, la quale molti intendono così ma pochi la dicano»
Per i sessuologi Masters e Johnson quando si vuol descrivere e capire una personalità bisogna conoscerne il comportamento sessuale. “Così si potrà avere la mappa completa del suo stato psichico”.
Anna Proclemer ha confessato che il suo matrimonio con Vitaliano Brancati fu quasi “in bianco” perché il grande scrittore siciliano, pudibondo e condizionato dal perbenismo sociale dell’epoca, non riuscì mai a fruire serenamente l’intimità perché temeva qualsiasi libertà di effusioni con la moglie.
Questo tormentone personale e sociale è presente in molti suoi romanzi: “Paolo il caldo”, “Il bell’Antonio”, “Dongiovanni in Sicilia”, “Gli anni perduti”, nei quali la sessualità repressa gioca un ruolo determinante nel singolo e nella vita della società. A tal proposito, il filosofo Bertrand Russell giudicava infelice chi identifica il Bene con la rinuncia e con la paura dei tabù.
Il regista Luis Buňuel riteneva irrazionali certi tabù. In Il fascino segreto della borghesia mostrò come molti comportamenti sociali sono sei preconcetti. Beffeggiando i pregiudizi Buňuel in quel film racconta un mondo paradossale, in cui la gente quando mangia è costretta a nascondersi pudicamente, mentre le altre attività, tra cui quelle sessuali, non essendo ritenute indecenti da quella società descritta dalla fantasia del regista, le espleta in pubblico per non essere soggetta a critiche e punizioni. Insomma il regista ha inteso sottolineare che i tabù sono pericolosi punti di vista non sempre in linea con la ragionevolezza.
Honoré de Balzac non reputando sconveniente la pulsione erotica, trovava che tendono ad essere depresse le persone che ne hanno paura. Balzac visse intriganti e vertiginose esperienze passionali, ritenendole necessarie non solo per motivi fisiologici e “terapeutici”, ma anche per la sua attività intellettuale. Infatti- affermava- le varie relazioni gli avevano evitato la depressione.
Qualche critico malizioso e anche pudibondo insinuò che Honoré veicolava tali convinzioni, per tentare di giustificare il proprio libertinaggio.
Il contrasto tra condizionamenti sociali e bisogni privati era radicato anche nel poeta francese Jean de La Fontane. Egli, per non essere marchiato di immoralità, nascose le proprie inclinazione ai piaceri della vita. E così, solo dopo duecento anni dalla sua morte sono venuti in luce alcuni racconti erotici che La Fontaine scrisse e fece illustrare dal pittore e scultore Jean Honoré Fragonard, ma che l’autore tenne sempre nel cassetto.
Arthur Schopenhauer, filosofo sussiegoso e cupo, è però autore di un libro che è tutto un programma: Metafisica dell’amore sessuale. Arthur, in privato, era spesso coinvolto da passioni erotiche, tant’è che, quand’era settantenne, s’invaghì di una giovane scultrice, Elisabeth Ney. Costei aveva cominciato a frequentarlo per immortalarne l’effigie. In seguito, affascinata dal pensiero e dalla personalità del filosofo, ne divenne l’amante.
Quando il romanziere Heinrich Heine venne colpito dalla malattia che in seguito lo avrebbe condotto alla tomba, fu subito paralizzato nei muscoli facciali. A quel punto, Heine, tra il serio e il faceto lamentò: «Le mie labbra sono bloccate e purtroppo non posso più baciare una donna». Il suo stato d’animo era – disse- pieno di nostalgia e di rimpianto soprattutto perché gli erano impedite la gioia, l’ebbrezza, le effusioni con l’altro sesso.
Eppure malgrado queste esigenze umane così largamente diffuse, pregiudizi e ipocrisie fanno dell’ affaire più intimo un esecrabile tabù, appesantito da preconcetti e da proibizioni ritenute “salvifiche”. Ma non tutti concordano nel ritenere utili i divieti posti dalla società in questo campo.
Maria Ricciardi Ruocco, docente di pedagogia al Magistero di Firenze, osserva che quando il sesso è ritenuto un peccato, la personalità manca della normale maturazione. Per l’inventore della bioetica, il sociologo H. Lowen nella nostra cultura troppe persone sono afflitte da sensi di vergogna e, di conseguenza, soffrono di depressione. «Quando la vita sensoriale è piena di conflitti – osservò Lowen – è improbabile che si riesca ad avere un approccio sereno e creativo. La depressione sottolinea la sconfitta della gioia e la paura del desiderio, entrambe associate a un sentimento d’imbarazzo».
Per il filosofo Diogene Laerzio fuggire da ciò che piace è ipocrisia. Diogene riteneva che chi si vergogna dei proprie passioni amorose vive spesso con molta acredine. Lo scrittore torinese Pitrigrilli sosteneva che se si elimina il disagio della visione intransigente e puritana della vita, le effusioni diventano un antidepressivo.
D. H. Lawrence era convinto che innalzando tabù e barriere per evitare le passioni si diventa accidiosi e propensi alla discordia. L’autore inglese segnalava che: «chi fa serenamente l’amore, non ha “necessità” di fare la guerra»