Biografie

SEDUZIONI ANCILLARI

Molti autori considerano nei loro romanzi la relazione ancillare un amore che evita le complicazioni di una relazione adultera condotta all’esterno della famiglia, e talvolta persino una scappatoia per certe mogli sessuofobiche. Se l’uomo ha una relazione con la persona che serve a casa, ciò consente alla signora sessuofobica di restare in castità lasciando che il marito si sfoghi sessualmente con la serva. Ma la seduzione ancillare non si esaurisce in una semplice alternativa. Anche quando non c’è una padrona di casa, sappiamo da molte biografie che molti datori di lavoro si incapricciano della persona che si dedica alla loro casa. É probabile che un’attrazione segreta si sprigiona tra padrone e donna delle pulizie, così come si sprigiona ( è un classico) tra datore di lavoro e segretaria. Forse si tratta di un transfert molto intenso e precisamente di un transfert edipico. La persona di servizio rappresenta la persona di famiglia col quale il maschio sogna l’incesto. E viceversa il maschio rappresenta par la persona di servizio. Tuttavia oggi per quanto riguarda i rapporti ancillari le cose sono cambiate. La domestica non è più, salvo rare eccezioni, come l’edera che muore ove s’attacca. Nelle famiglie moderne sfilano figure sempre nuove di cuoche, di cameriere, di servitori, con rapidità e senza attrazioni particolari. Si direbbe che, come si sono rallentati i vincoli famigliari, s’è perduto l’attrazione che nelle famiglie antiche avevano su padroni le domestiche domestici. Una volta, la persona di servizio faceva quasi parte della famiglia, vi rimaneva a lungo, ne divideva le gioie e i dolori, e in un certo senso diventava anche “la donna del padrone”: oggi, non è che una salariata che dopo pochi mesi va via. La prostituzione ancillare ha varie forme: la più antica certo, la più semplice e forse anche la più comune è la prostituzione domestica: quella che l’occasione, più che il vizio, determina quasi fatalmente. È il padrone o un servitore o un frequentatore della famiglia che, approfittando di circostanze favorevoli, prendono la fanciulla…. la cui resistenza non è mai molto energica.
V’è la prostituzione larvata dei caffè delle trattorie degli alberghi (la cui forma più tipica è offerta dalle kellerinnentedesche), ove l’avventore sa di trovare soddisfazione per tutti i suoi appetiti. E v’è infine la prostituzione vera e propria ma clandestina esercitata da certe agenzie che, mediante avvisi sui giornali o agenti speciali, ingannano le fanciulle e col pretesto di trovar loro un posto di cameriera o di cuoca le fanno invece servire come strumenti di un turpe guadagno.

Maupassant contrasse la sifilide da giovane, pare con una cameriera, e così come anche suo fratello, malattia che lo porterà alla fine della sua vita, aggravandosi la malattia, a un tentativo di suicidio e al ricovero in una casa per malattie mentali del dott Blanche a Passy. La sifilide che forse era pure una malattia che aveva ereditato dal padre, a poco a poco divenne sempre più drammaticamente grave. Iniziarono i problemi alla vista, le emicranie, l’insonnia, tutti disturbi che lo sottoposero ad uno stress logorante. I dolori continui gli causarono un tracollo psicofisico. Consultò numerosi medici a Parigi e a Nizza, senza riuscire a trovare rimedio alle sue sofferenze. Mentre si trovava a Cannes, nella notte del 1° gennaio 1892 tentò il suicidio. Dopo qualche giorno fu trasportato a Parigi e ricoverato presso una clinica psichiatrica, dove, ormai in preda alla follia, il 6 luglio 1893, morì all’età di quarantatre anni. Ma le cameriere erano nel destino di Maupassant il quale ebbe tre figli da una cameriera, Joséphine Litzelmann, unica figura femminile di qualche importanza nella sua vita.

Il dramma della condizione femminile è rappresentato dal romanzo Giacinta, di Luigi Capuana. La trama è lo specchio delle situazioni drammatiche che sfociavano dai pregiudizi, dalla irragionevolezza della passione e dalla fatalità. Lo scrittore siciliano lo imbastì prendendo spunto da una storia vera. Una ragazzina che aveva subìto brutalità sessuali da parte di un cameriere perse per anni la memoria di quell’accaduto. Il dramma le ritorna in tutta la crudezza quando sta per sposarsi. La memoria della orribile vicenda rende consapevole Giacinta di non essere illibata. Sentendosi condannata dai pregiudizi sociali, non vuole profanare il sacro vincolo del matrimonio e ad Andrea, lo spasimante che l’adora e che ella stessa ama, propone di divenire la sua amante, ma non gli confessa il triste motivo per cui ricusa d’essere sua moglie legittima.
Samuel Pepys, scrittore inglese celebre, che nel suo Diario[1], narra i pettegolezzi, le manie quotidiane, le scappatelle sessuali e i segreti della gente del suo tempo, confessando che egli stesso, sebbene “si sentisse in colpa”, non disdegnava di avere avventure galanti sia con le cameriere di taverna, che con le mogli degli amici di famiglia o di uomini d’affari conosciuti.
Leonardo da Vinci fu figlio illegittimo di un notaio e di una povera cameriera di cui presto se ne persero le tracce. Quando in seguito il padre naturale di Leonardo si sposò ed ebbe dieci figli, quel matrimonio complicò la vita del giovane, per cui egli fu ben contento, appena il suo genitore glielo consentì, d’andare via da casa e lavorare a bottega da messer Verrocchio per imparare l’arte della pittura e della scultura. In grande pittore molto impegnato nelle vicende della propria vita, dedicò poco tempo alla ricerca di sua madre e solo quando fu adulto la conobbe, ma solo fugacemente.
Dopo il matrimonio, Gabriele D’Annunzio, non volendo imborghesirsi, convinto che amare è un’attività da non essere inquadrata negli stereotipi della routine, tornò ad innamorarsi follemente di attrici, scrittrici, donne dalla personalità regale ma anche di sartine, guardarobiere e cameriere. Verso tutte si sentiva attratto, di volta in volta, da passione folle e insensata. Gabriele era adorabile con le donne che incontrava, ma non appena avvertiva che stava per subentrare la monotonia della routine, fuggiva via verso nuovi lidi. D’Annunzio fu precocissimo in tutto: imparò a leggere e a scrivere prima dei cinque anni, a dieci componeva sonetti, a tredici andava letto con la cameriera, dando così inizio alle sue proverbiali maratone erotiche.
Carlo Marx, ebbe una figlia da Helene Demuth, la giovane donna che prestava servizio come cameriera nella casa sua casa. Marx temendo lo scandalo non riconobbe la bambina avuta da Helene come sua. Commosso dalla disperazione della donna, e anche su insistenza dell’amico Carlo, Friederic Engels assunse la paternità della neonata, per evitare a Marx dissidi nel ménage familiare.
Helene Demuth era arrivata “ in dote”, come serva, dalla suocera di Marx. Helene era una donna intelligente, che sapeva far tutto in casa ed era forse più efficiente della sua stessa padrona. Di notte la Demouth , a causa delle ristrettezze dell’ambiente i cui viveva la famiglia Marx, dormiva in un pagliericcio posto a terra, nella stanza dove il filosofo studiava fino a tarda notte. Si può comprendere come non siano mancate le occasioni a Carlo di «avvicinare» la bella popolana. Le relazioni con il personale di servizio erano frequenti un tempo. Ma quando la donna con la quale Karl aveva fatto una figlia gli chiese di riconoscerne la paternità, il padre del comunismo, dispose che, avendo già fatto fare alla moglie, La bella baronessa prussiana Jenny von Westphalen, sei figli in dieci anni, non volle altre noie.
Jonathan Swift incappa in uno dei suoi amori tormentati, con miss Jane Waring, da lui denominata Varina. Ma quando le propone di sposarlo, Varina oppone un netto rifiuto.
Jonathan conosce Esther Johnson (Stella), una ragazzina di otto anni, figlia di una cameriera della sorella di Temple, (e forse figlia naturale dello stesso Temple) e alla quale il ventiduenne scrittore dedicò tutta la sua attenzione e la sua arte di educatore, e alla quale rimarrà legato per tutta la vita e che forse sposò in segreto.
Per raggiungere l’indipendenza economica prende gli ordini religiosi nel 1694: l’anno seguente viene nominato parroco di Kilroot, in Irlanda, vive però prevalentemente a Londra dove partecipa alla vita politica religiosa e letteraria e frequenta i circoli politici più importanti. Grazie al suo estro Jonathan Swift diviene una delle persone più influenti della città. Tra il 1710 e il 1714 è consigliere del governo Tory appoggiandolo con libelli ed articoli dalle pagine dell'”Examiner”, che lo stesso Swift diresse, e attraverso lo “Scriblerus Club”, di cui facevano parte i suoi pochissimi amici: Pope, Gay, Harley, Arbuthnot.

Garibaldi a Caprera, dove s’era ritirato, il generale, sedusse Battistina Rovello, una ragazzotta diciottenne analfabeta, figlia d’un marinaio, che l’eroe teneva preso di sé come cameriera. Essendo uomo d’onore, poiché la ragazza era vergine, Garibaldi le propose di sposarlo. Ma le autorità papali non gli concessero il certificato di morte della moglie e Garibaldi si tenersi la ragazza come amante. Garibaldi sedusse anche Francesca Ambrosino, cameriera della pensione Vauchet dove Garibaldi dimorava fecero dimenticare a Garbibaldi la brutta avventura.

Arthur Schopenauer ebbe varie avventure tra cui una con una cameriera d’albergo, la veneta Teresa Fuga. Ma Schopenauer non vole legarli a questa donna, che pure apprezzava per le doti di affabilità e di dedizione. Arthur era assolutamente contrario al matrimonio e non si legò mai a nessuna donna stabilmente: né alla corista Caroline Richter Medon, né alla commerciante d’arte Flora Weiß e ad altre. Il filosofo avendo il proposito di non contrarre matrimonio, dopo pochi mesi rompeva la relazione. Solo con Teresa, la sua cameriera, rimase a lungo legato, soprattutto perché lei gli accudiva la casa.
Un menage non dichiarato ma supposto quello che legò per dal 1923 al Cesira Carocci, figlia di un sarto di Gubbio, con Benito Mussolini, del quale fu cameriera , governante, di certo anche amante non dichiarata. Quando Mussolini la assunse, Cesira aveva trentanove anni. I due andarono a vivere in Via Rasella a Roma. Lei divenne la sua dama di compagnia, segretaria, custode. Seguì Mussolini nella visita che il duce fece a D’Annunzio, e il vate apprezzò molto quella donna. tanto che i due rimasero in corrispondenza. Cesira fu con Mussolini quando lui di recò in Tunisia. Ma il loro legame disturbava troppo Rachele e Mussolini fu costretto dalla moglie a licenziarla nel luglio 1934, quando la famiglia si era riunita a villa Torlonia, e dopo una lunga malattia di Cesira, forse ulcera, forse cirrosi, che la tenne lontana dai Mussolini quasi un anno. Tuttavia, i contatti tra il duce e la sua donna di servizio non si interruppero mai. Lui licenziandola le lasciò un lascito di 600 lire mensili. Cesira e Mussolini s’incontrarono più volte. Sembra che lui l’avesse andata a trovare a Gubbio. Nel 1937 Cesira ebbe un’udienza del duce a Roma. Nel 1939 lui le concede un aumento di stipendio. Nel gennaio del 1943 lei gli scrive una lettera. Mussolini le rispose e le chiese di tornare con lui a Salò, ad accudirlo. Ma lei non era più in grado di farlo. Muore, sola e povera nel maggio 1963 .
Octave Mirbeau che, ormai sul viale del tramonto, grazie alla generosità di Misia, potè pubblicare e vendere con successo persino un libro di scarso valore artistico, come Il diario di una cameriera, che aveva stampato in Italia nel 1936.
Alla generosità di Marie-Sophie, la donan che gli fece anche da governante, Stravinskij dovette la conquista di Parigi e anche la salvezza economica.
Kierkeegard fu seduttore di cameriere. Nella primavera del 1837, Kierkegaard conosce la figlia del consigliere di stato, Regina Olsen, che allora ha solo quattordici anni. Si fidanzeranno brevemente solo nel 1840, ma Kierkegaard romperà presto il fidanzamento a causa della sua convinzione di non poter compiere una vita normale, tematica che nel suo pensiero svilupperà come irriducibile individualità del singolo. Regina Olsen si sposerà più avanti con Friedrich Schlegel. Kierkegaard parlerà della sua relazione con Regina solo molti anni dopo nel suo Diario. Il padre di Kierkegaard, dopo la morte della prima moglie, sposò, dopo aver abusato di lei, la sua cameriera Ane Sorensdatter Lund, e Soren fu il loro primo figlio.
Victor Hugodi notte era solito “fare il giro” delle stanze delle persone di servizio in cerca “di pace”. E quando fu in esilio nell’isola di Guernesey, divenne l’amante della quindicenne cameriera, Céline, che prestava servizio presso gli Hugo. Lo scrittore sedusse inoltre molte mogli dei suoi amici e tra esse la bionda Madame Biard che, accusata d’adulterio dal marito, fu arrestata. Il vecchio Victor ebbe una relazione con la bellissima Alice Ozy, “rubando” così la fidanzata persino a suo figlio Charles. Tra le più importanti conquiste di Hugo vi fu l’attrice Sarah Bernhardt, per la quale il vate di Francia scrisse una parte di rilievo in Ruy Blas.
Qualcosa del genere accadde tra il settantanovenne Bertrand Russell si mise con la ventiseienne moglie del figlio John, e con lei il filosofo intraprese una relazione della quale in seguito, nel 1997, il nipote, Felicity Russell, diede notizia pubblicamente in una trasmissione alla Bbc. In quell’occasione il nipote di Russell raccontò che suo nonno non disdegnava flirt con le cameriere.
Sulle relazioni di George Simenon si raccontano tanti strani episodi: una delle amanti fu una certa Henriette Libèrge, diciottenne figlia di pescatori, che lo scrittore teneva come cameriera. Di quel legame la moglie di Simenon, Regine Renchon, se ne accorse solo quando la ragazza partorì un vispo maschietto.
Non volendo rompere la relazione col marito, Regine non poté che accettare un ménage a trois, anche perché non voleva mandare allo sbaraglio la giovane Henriette il cui neonato era figlio di Simenon.
Guillaume Dubois, cardinale e uomo politico francese del XVII secolo, ebbe un illimitato numero di relazioni con nobildonne, con seducenti signore d’alto rango, ma anche con modeste cameriere e con umili guardarobiere che apprezzava molto, era solito dire, perché erano le più schiette e le meno rompiballe.

Di Dino Frescobaldi e di Guido Cavalcanti erano note le scorrerie nei letti di signore, fanciulle e cameriere. Cecco Angiolieri, più che un poeta maledetto era un vero e proprio avanzo di galera, seduttore di donne, soprattutto di popolane, e cameriere, truffatore e quant’altro. Lo stesso si può affermare per Forese Donati, che, sebbene poetasse l’amore trascendente, trascorreva il suo tempo tra prostitute e servette delle taverne.
Franz Kafka amò e desiderò segretamente la propria cameriera Hansi Julie Szokoll. Kafka disse di lei che sul suo corpo erano passati reggimenti di cavalleggeri, e tuttavia la desiderava. Hansi fece soffrire molto Franz di gelosia. Pare che Kafka avesse una predilezione per le cameriere: i suoi rapporti con le donne del suo ceto erano infatti compromessi, non perché lui fosse tutto spirito, ma perché aveva bisogno di sesso «sporco» con persone socialmente inferiori, come lasciano intendere la sua collezione pornografica sado-masochista e i tradimenti sistematici delle fidanzate.

Il commerciante Datini, uno dei fiorentini più ricchi del Rinascimento, oltre alla moglie, Margherita, ebbe un imprecisato numero di amanti, sue clienti alle quali vendeva merce, oppure cameriere, tra cui note la sedicenne Ghirigora, che gli diede un figlio e la ventenne Lucia, che gli diede una figlia. La moglie, non potendogli dare un figlio, si prese cura di quelli che il marito aveva dalle altre.
Si vociferava che Giuseppe Verdi, donnaiolo impenitente, avrebbe avuto dalle cameriere e dalle cuoche che aveva a servizio ,alcuni figli che mai riconobbe. Verdi in fatto di donne e di legami familiari era davvero strano: pare che abbia vietato alla cantante Strepponi, divenuta poi sua moglie, di rivedere i figli che la donna aveva partorito prima delle loro nozze.

Agli inizi del 1800, quando era lettore all’università, Hegel ebbe un figlio, Ludwig, dalla sua affittacamere di Jena, Cristiane Charlotte presso la quale visse a lungo, prima di sposare nel 1811 la ventenne Maria von Turcker.
Lo scrittore Jorge Luis Borges fu quello che Freud avrebbe chiamato “un figlio edipico. Finché visse sua madre rimase sempre attaccato a lei e non solo non volle mai legarsi a nessuna donna, ma impedì che anche una governante entrasse a casa sua. Quando ormai era sessantenne, morta sua madre, Jorge gioco forza fu costretto a cercare una segretaria che facesse anche le veci della scomparsa. Il caso volle che proprio in quei giorni la giovanissima Maria Kodama aveva perso il posto in un’azienda dove lavorava perché la ditta era stata distrutta da un incendio. Sensibile e generosa, la Kodama assistette lo scrittore senza fargli pesare “la perdita della madre”. E non solo: colta e intelligente, la ragazza seppe arricchirsi dell’erudizione di Borges e scrisse e pubblicò anche due libri. Dopo dodici anni, Jorge Louis volle testimoniarle il suo affetto e la sua riconoscenza, sposandola; ma il loro amore, sebbene affettuoso, rimase platonico, dal momento che le angosce edipiche non avevano abbandonato lo scrittore. «Senza Maria – tuttavia ebbe a dire Borges – una parte della mia produzione non sarebbe potuta essere stampata: è stata lei che mi aiutato a rivederla».
Emilio Fede, ha scritto : Le tentazioni ancillari. Diana De Feo, giornalista del Tg1 e candidata al Senato per il Pdl, è sposata da oltre quarant’anni con Emilio Fede. Donna paziente e dotata di una filosofia che la rende equilibrata , la De Feo dice del marito: Emilio ha sempre attratto le ragazze. E lui è stato sempre attratto da loro. La De Feo racconta che c’è sempre qualcuno che le dice di averlo visto dove non dovrebbe essere: “Viviamo lontani, lui a Milano, io tra Roma e Napoli, ma siamo molto legati, ci telefoniamo più volte al giorno e parliamo a lungo”. Ma la De Feo però confessa: “Considero i suoi legami come amori ancillari d’altri tempi, visto che una sua collaboratrice ha avuto il cattivo gusto di definirsi ‘badante di Emilio Fede’. Certi rapporti disturbano il mio buon gusto, ma non tanto da farmi trincare la relazione con mio marito”. Il riferimento è alla showgirl Raffaella Zardo, che proprio in un’intervista allo stesso settimanale Chi qualche settimana fa si era definita “badante” di Emilio Fede
Lo scrittore Thomas Mann, nei suoi Diari[2], confessò di avere avuta una passione amorosa per “il fanciullo divino”, cioè il cameriere Franzl Westermeyer, incontrato e amato platonicamente dallo scrittore all’Hotel Donier di Zurigo[3]. Aristocratico e pessimista, Mann visse consumato dal senso di colpa e dal bisogno di espiazione. Nel tentativo di passare sotto silenzio la propria diversità, Mann sposò Katia Juger dalla quale ebbe ben sei figli. Colpito profondamente dalla morte del figlio Klaus[4] ed avvilito per la perdita dei fratelli Heinrich[5] e Viktor, quando Mann incontrò il giovane Franzl, sublimò in quell’amore l’angoscia per tante gravi perdite. Il sentimento per Franzl fu l’ultima grande passione che il settantacinquenne narratore ebbe e la espresse con toccanti e struggenti accenti.
Gli scandali, i tormenti, sentimentali, la lascivia e le gelosie che si trovano nelle eroine di Puccini, secondo Rugarli sarebbero rifacimenti delle sue esperienze e in particolare di quelle con Elvira. Giacomo amava Elvira e una volta che l’amica divenne vedova la sposò, sperando che il matrimonio risolvesse i loro contrasti; ma non fu così, anzi li acuì, tant’è che molte volte i due addirittura passavano alle vie di fatto con schiaffi e bastonate.
A Torre del Lago, l’ossessiva gelosia di Elvira nei confronti della giovane cameriera Doria Manfredi, oggetto delle continue e vessanti persecuzioni della signora, causò la disperazione e il conseguente suicidio della ragazza. A seguito di quella tragedia, tra Puccini ed Elvira s’aprì una insanabile frattura, anche perché i parenti di Doria denunziarono Elvira per percosse, e la signora Puccini, ritenuta colpevole, venne condannata ad una pena detentiva e a una sanzione pecuniaria. Puccini, a quel punto, generosamente si riavvicinò alla disperata moglie e, per tacitare i parenti della ragazza suicida, pagò una grossa somma alla famiglia.
Nella novella San Giorgio in casa Brocchi (1931), Carlo Emilio Gadda racconta l’amore ancillare. La vicenda si chiude, infatti, con il liberatorio amplesso fra il «contino» Gigi e la domestica Jole, che pare celebrare un vitalistico trionfo dell’amore e una provvisoria uscita dal regime asfittico ed austero dei Brocchi. Tuttavia, se il San Giorgio fosse solo questo, ci troveremmo davanti a un ordinario episodio tutto sommato banale; letto in tal senso, il racconto non può che prestarsi a giudizi riduttivi, come quello che Roscioni avanza: Gigi e la Jole sono manichini di cui l’Autore si serve per allestire il favorito spettacolo, misto di verità e di banalità, della Vita mortificata dalla Virtù e dall’Idiozia. L’assunto antipedagogico ha però preso la mano a Gadda, obliterando il principio, non meno essenziale per la sua arte che per la sua filosofia, della molteplicità e complessità delle motivazioni, e quindi della difficoltà delle scelte. Roscioni nota che di per sé l’elogio degli amori ancillari non garantisce una liberazione dal perbenismo dei Brocchi, e riconduce l’insufficienza della satira di Gadda. Questa muoverebbe da un’etica formalizzata, separata dalle riflessioni sulla complessità del reale; il risultato è necessariamente la forzatura a fini didattici. Ma l’opposizione fra Vita e Idiozia sta davvero al centro del San Giorgio? Il problema merita di essere approfondito, come hanno mostrato del resto saggi più recenti: (4) l’analisi di alcune scelte stilistiche e narrative permetterà di valutare gli ambigui rapporti che intercorrono, nella pagina gaddiana, fra satira, valori e senso del complesso. Jole, la cameriera del conte, usciva ogni sera per far fare la passeggiatina a Fuffi e frotte di bersaglieri ritardatari in corsa con piume nel vento di primavera e dicevano a Jole dei madrigali a tutto vapore. In San Giorgio vi è una lotta simbolica fra S. Giorgio, il santo cavalleresco e femminista, e san Luigi Gonzaga, il santo ascetico e rinunciatario» (Gadda 1984b: 92). La grande idea fissa dei Brocchi consiste nella moralistica opposizione fra il virtuoso Ottocento e lo scandaloso Novecento. Nella loro ottusità, i Brocchi non sanno leggere gli eventi da una prospettiva storicamente fondata, e si limitano a una risibile laudatio temporis acti davanti all’immoralità contemporanea; Gadda convoglia la tensione narrativa, per esaltare quell’«antipedagogismo» che starebbe alla base del racconto; dall’altra parte, il valore su cui la satira pare poggiarsi non garantisce sufficienti prospettive di liberazione. Il Journal d’une femme de chambre di Ottavio Mirabeau è un’opera d’arte e nello stesso tempo uno studio sociale, ardito fino all’indecenza e triste fino alle lagrime. Il romanzo narra la vita d’una cameriera, e lascia comprendere qual è, in generale, la vita di tutte le cameriere.
Il tipo di Célestine, di questa bella fanciulla venuta d’Audierne a Parigi per corrompersi, come un fiore viene dai campi per avvizzir nei salotti, ricorda la figura malinconica di Germinie Lacerteux; ma mentre i Goncourt nel loro romanzo avevano analizzato soltanto la psicologia d’una donna, il Mirbeau seppe compiere nel suo volume l’analisi di tutta una classe sociale. È la classe delle persone di servizio che nel Journal d’une femme de chambre confessa audacemente, cinicamente le sue miserie e le sue vergogne, svelando quelle dei suoi padroni. Società ibrida, che non ha più il sangue generoso del popolo donde esce, e che ha già acquistato i vizi della borghesia ove vuol penetrare; esercito di malcontenti e di invidiosi che noi manteniamo nelle nostre case per sua o nostra sventura, che avvelena la nostra vita corrompendo la propria, che imita ciò che abbiamo di peggio e desidera ciò che abbiamo di meglio, che si mescola necessariamente alla nostra intimità, ed è quindi complice o spia di quanto abbiamo di più geloso e di più segreto…. *
Forse molti leggendo il libro del Mirbeau l’avranno creduto una descrizione fantastica o esagerata, dovuta allo spirito ironico e paradossale dell’autore francese. Malauguratamente la lettura in questo caso non è stata che lo specchio della verità.

Jonathan Swift, il celebre umorista inglese, ha scritto un piccolo libro interessantissimo: L’arte di rubare ai padroni. – Consigli ai domestici dei due sessi. Secondo Swift le persone di servizio, vivono in una condizione in cui le offese le irritano e le inaspriscono e si vendicano dei loro padroni nella maniera più crudele e più atroce. Talvolta seducendo e inguaiando il padrone.

Nato nel 1881 a Saliceto sul Panaro, in provincia di Modena, Guido da Verona nobilitò con la preposizione dannunziana il suo cognome semita e organizzò il mito del proprio personaggio attorno a una vita dispendiosa, fatta di internazionalismo, macchine da corsa, purosangue, affascinanti amanti e scandali. Egli esaltò l’amore ancillare come reazione al perbenismo morale che si respirava ipocritamente in seno della famiglia. Goldoni nella commedia Gli amori di Zelinda e Lindoro , racconta del segretario del padrone di casa che ama la giovane cameriera.
Holland Poland così scrive in una sua novella: “Mi chiedo che cosa sarebbe successo se io fossi vissuto nell’800 dove ogni famiglia aveva il personale domestico e in particolare delle cameriere. Il dubbio nasce da una mia infatuazione per una ragazza che ho conosciuto (o meglio sto cercando di conoscere) al bar dove vado a trascorrere i pranzi a Correggio. Ironia della sorta non è la prima volta che mi piace una cameriera, chiaro non mi riferisco a quelle che si vedono normalmente nelle discoteche che quelle fanno innamorare anche il più freddo dei cuori, ma cameriere di alberghi per esempio. Ricordo ancora che il mio primo pseudo-amore è stata proprio una cameriera: ero in vacanza sulla costa romagnola con i miei genitori, avrò avuto si e no 14 anni e c’era lei, Arianna, una ragazza con un caschetto castano e carnagione chiara con occhi castani. Un amore di ragazza, gentile e dolce, io ragazzino un po’ sprovveduto e inesperto persi la testa, era mia coetanea visto che era una parente dei gestori dell’hotel e lei nulla. Le mie avances sono state goffe ma qualcosa ho combinato anche se non come speravo, a parte qualche scambio di battute e passeggiate sul lungo mare nient’altro. Io ero proprio cotto”. Il pittore Vermeer e la cameriera. Johannes Vermeer, artista dalla vita senza clamori autore di un piccolo numero di dipinti affascinanti quanto sommessi. Il pittore olandese ritrasse La ragazza con l’orecchino di perla (1665-66 circa) ispirato dall’amore segreto per una diciassettenne, Griet, a servizio nella sua casa di Delft. Sposo di una moglie perennemente incinta, più rubensiana che prossima allo stile del marito, Johannes è in sequestro volontario nel proprio studio. Pian piano, però, si accorge della fanciulla, timida e schiva ma sensibile alla bellezza: meglio ancora, alla materialità, delle cose; A sua volta Griet è attratta dal maestro, pur non comprendendo di esserne ricambiata.
L’amore ancillare è anche descritto con grande verosimiglianza e dovizia di particolari da Luis Bunuel ne Diario di una cameriera. In una intervista il regista ha assicurato che trattasi di un racconto abbastanza veritiero e soprattutto di una storia che si ripete molto di frequente Un altro esempio di amore ancillare è quello raccontato da Dickens Monica, Diario di una cameriera , edito da Longanesi, nel 1957
ll regista Renoir sempre attento a mettere in luce squarci di sociologia, filmò nel 1946 Diario di una cameriera , ritenendo che l’amore ancillare a quel tempo fosse ancora in voga.
Nietzsche fu sedotto dalla bella cameriera Alwine Il 3 gennaio Nietzsche da gravi segni di squilibrio mentale ; nei giorni successivi scrive lettere esaltate ad amici e a personaggi pubblici . Burckhardt riceve una di queste lettere e , allarmato , avverte Overbeck , che l’ 8 gennaio è a Torino ; con lui Nietzsche ritorna a Basilea , dove viene ricoverato in una clinica per malattie nervose . “La diagnosi è paralisi progressiva” Il 24 marzo Nietzsche può lasciare la clinica e abitare con la madre a Jena . Il 13 maggio madre e figlio lasciano Jena e tornano Naumburg : è quasi una fuga . Il 16 dicembre la sorella rientra dal Paraguay. A partire dal ’94 Nietzsche che non parla più , spesso urla mentre il volto esprime grande serenità Il 20 aprile 1897 , all’ età di 71 anni , muore la madre di Nietzsche . La sorella porta il malato a Weimar presso di se . Ma chi si occupa materialmente del malato è Alwine Freytatag , da anni al servizio della madre .

Ivan Turgenev ebbe una figlia dalla sua cameriera. Durante l’estate del 1841, Turgenev soggiornò nella tenuta di Spasskoe. Qui conobbe e s’innamorò di Avdot’ja Ermolaeva Ivanova, una bella e intelligente ragazza che faceva parte della servitù della casa materna. La madre di Turgenev non tollerò la relazione, soprattutto quando si trovò di fronte al desiderio del figlio di sposare la ragazza. Avdot’ja venne mandata in un lontano villaggio della steppa, mentre la piccola Pelageja, nata dalla relazione, tolta alla madre naturale, venne affidata ad un servo della tenuta che la fece crescere come una serva qualsiasi. Nel 1850 Turgenev tornò in Russia; durante un breve soggiorno a Spasskoe venne a conoscenza di avere una figlia, Pelageja. Egli provò uno sgomento indicibile e dopo un pesante litigio con la madre, portò via con se la figlia affidandola alle cure di Pauline. Tornato all’estero, Turgenev venne raggiunto dalla notizia dell’improvvisa e grave malattia della madre. Tornò immediatamente a Spasskoe, ma non riuscì a rivederla in vita, perché il 16 novembre 1850 la madre morì, lasciando incompiuta la procedura intrapresa, contro di lui, per diseredarlo.

L’attore Clooney ancora con una cameriera George Clooney ha una nuova relazione con una cameriera. A un anno dalla rottura con Sarah Larson, anche lei una cameriera incontrata in una discoteca di Las Vegas, Clooney ha incontrato a Miami la barwoman e aspirante modella Lucy Wolvert. Secondo alcune voci, conferate dal settimanale Us Weekly, i due si starebbero frequentando in segreto da settimane, ed ora i sospetti su una possibile storia sebrano trovare conferma nelle persone vicine alla coppia. “Anche se George le aveva chiesto di mantenere il massimo riserbo, lei non ha resistito e l’ha detto ad alcuni amici. Da qual momento tutti hanno iniziato a parlarne”, ha detto un’amica della Wolvert allo stesso magazine US Weekly.

[1]S. Pepys, Diario (brani tradotti da M. Dandolo), Bompiani, Milano, 1982.
[2] T. Mann, Diari, Vol. VIII, anni 1949 e ‘50. [3] Il diciannovenne Franzl “dai begli occhi e dalla voce affascinante”, conquistò Mann, che narrò poi quella sua passione in Morte a Venezia, mentre nel diario, lo scrittore descrisse l’amore, i sentimenti, la sofferenza e la tristezza per quell’amore impossibile. [4] Commediografo, suicidatosi a quarantatré anni.
[5] Scrittore e saggista, verso il quale Thomas nutriva un profondo affetto.

CRISTINA TRIVULZIO di BELGIOIOSO (1808-1871)
Purtroppo la tradizionale tendenza maschilista ha condizionato anche la storiografia del nostro Risorgimento e così sono state messe in luce solo alcune delle eroine che hanno contribuito alla unificazione dell’Italia. Una donna che avrebbe dovuto avere molto spazio nella storiografia italiana, e invece ne ebbe pochissimo, fu Cristina Trivulzio, donna di alto ingegno, di grande temperamento e di coraggio schietto e determinato che contribuì non poco ai moti per l’Unità d’Italia. Cristina a 4 anni rimase orfana di padre, e sua madre, ventenne, si risposò con il marchese Alessandro Visconti d’Aragona, dal quale ebbe quattro figli. Il Visconti, patriota rivoluzionario, destò nella figliastra l’interesse per la politica, ma poco dopo venne arrestato e sfuggì per un pelo al capestro. Quell’esperienza lo depresse e lo rese psicologicamente quasi una larva. In quel periodo sua moglie Vittoria accolse in casa il patrizio siciliano conte di Sant’Antonio che a sua volta invitò a casa Trivulzio anche Vincenzo Bellini. La madre di Cristina flirtava un po’ con tutti, e la figlia, seguendo l’esempio, ebbe il primo flirt con un ragazzo della servitù, che dopo il matrimonio di Cristina si rinchiuse in un convento. Cristina sebbene cagionevole di salute ( soffriva di epilessia) era molto studiosa e brillante conversatrice sin da ragazza e, come sua madre, non era insensibile agli intrighi d’amore e alla mondanità. Nel 1824,all’età di 16 anni, desiderosa di sottrarsi ai noiosi tutori, e anche perché sua madre, che faceva la bella vita e non voleva la figlia tra i piedi la spinse a fare quel passo, Cristina volle diventare moglie del principe Emilio di Begliosioso, il più illustre nobile lombardo in quanto principe del Sacro Romano Impero e gran dilapidatore di patrimoni, oltre che infaticabile amante di dame, cameriere, ballerine, cantanti. Emilio inoltre da buon patriota partecipava a varie cospirazioni contro il governo austriaco. Nei primo tempi Cristina accompagnò il marito nelle riunioni dei cospiratori e persino delle lascive scorrerie notturne. Ma il menage si sfaldò quando Cristina s’accorse che il marito le aveva contagiato la sifilide e che continuava a collezionare avventure erotiche senza ritegno. Ferita nell’orgoglio e innervosita per la malattia contratta, Cristina andò via da casa. A Milano subito dopo scoppiò lo scandalo. A Genova, dove approdò Cristina, la Belgioioso conobbe il marchese Antonio da Passano, amico di Mazzini e di molti patrioti. In breve Cristina fece varie amicizie nella città ligure e cominciò ad impazzare nei salotti, dove era molto apprezzata per la sua verve e la sua cultura. Venne circuita dal marchese Raimondo Doria di San Colombano, un briccone , il quale andò dicendo in giro che Cristina era nella Carboneria cosa che le creò molti fastidi con la polizia. Nel 1829 Cristina lasciò Genova ed arrivò a Roma, dove entrò veramente nel mondo della cospirazione. A casa del principe Borghese, Cristina conobbe il conte d’Alton-Shée. Incontrò anche Napoleone Luigi, figlio di Ortensia, indaffarato nelle cospirazioni clandestine. Da Roma Cristina passò a Firenze e da qui passò in Svizzera, dove trovò a Ginevra e a Lugano i relitti delle tempestose guerre napoleoniche. Il Metternich in persona diede ordine di cercare e arrestare Cristina, e la Belgioioso dovette fuggire prima a Genova e poi in Francia. A Parigi Cristina fece amicizia con lo storico Thierry che la istradò alla Carboneria. Tra i due sorse un rapporto molto complesso, forse non sessuale, ma certamente intimo. A Cristina piacevano gli uomini deboli, malati e inoffensivi. Inoltre la sifilide e la epilessia le frenavano qualsiasi impulso erotico. La Belgioioso , ricchissima, fu abbondantemente spremuta da uomini che la corteggiavano, da avventurieri che le proponevano opere pie. Persino il suo segretario Pietro Bolognini la indusse a spogliarsi di tutti i suoi beni. A Cristina, di spirito veramente umanitario e generoso, non interessavano le ricchezze, e si buttò a capo fitto nella rivoluzione creando attorno a sé l’alone di eroina risorgimentale. A Parigi Cristina praticò la professione di giornalista e di scrittrice. A soli 23 anni, dimostrando eccezionali doti di ingegno, di parlatrice e persona di cultura, divenne la donna più ammirata della capitale francese! Nel 1931 incontrò Francois Mignet, che riporterà al trono Luigi Filippo d’Orleans, che le aprì le porte della nobiltà. Tra i due sorse una amicizia e un legame che durò tutta la vita . Per anni costituirono una coppia fissa, quasi coniugale, ma tra il casto Mignet e Cristina pare non ci fosse sesso. Lei poteva così frequentare Adolphe Thiers, Malfred de Musset, Heinrich Heine, Franz Liszt, (col quale intavolava duetti; lei cantando e lui al pianoforte) senza che l’amico se ne avesse a male. Un legame importane fu quello che Cristina ebbe con il settantatreenne La Fayette e Cristina, grazie alla sua protezione, potè avere libero accesso ovunque a Parigi. Femminista ante litteram Cristina appoggio il movimento sansimoniano, preoccupata delle sorti del marito, lo invitò ad abitare con lei a Parigi. Emilio divenne in breve l’amico degli amici di Cristina. Una corte spietata in quel periodo fece a Cristina Alfred de Musset, nobile decaduto, scapestrato. Era stato l’amante di Marie d’Agoult( che odiava Cristina) e di George Sand. In quel periodo il pittore Henri Lehmann la corteggiò e l’amo e le fece uno splendido ritratto. Malgrado tanta spregiudicatezza, Cristina però era sempre ossessionata dalla “rispettabilità”, per cui sembra che di quella girandola di uomini nessuno fu probabilmente veramente il suo amante. Cristina fece sposare la sorella Teresa. In quell’occasione la madre Vittoria arrivò a Parigi, e poichè le avevano detto che c’erano dei bravi chirurgi che le avrebbero tolto la pappagorgia, si fece operare e a soli 44 anni, per una infezione, morì. Cristina era spartana nel modo di fare e anche nei suoi giudizi: quando Chateaubriand in un salotto parigino lesse le sue “Memorie d’oltre tomba” e alla fine chiese alla Belgioioso cosa ne pensasse, lei senza un momento di esitazione ripose: «Le confesso visconte che mi sono annoiata a morte». Tuttavia tra lei e Chateaubriand si creò un forte legame intellettuale. Ogni pomeriggio, dalle tre alle quattro lei riceveva lo scrittore e i due conversavano piacevolmente di politica, di letteratura, di arte, dietro una fumante tazza di te. Sebbene Cristina soffrisse di dolori atroci alle ossa, seguiva la politica e si immergeva nei dibattiti letterari e artistici senza risparmio. Nel 1883 conobbe Vincenzo Bellini che si presentò a lei con una lettera di raccomandazioni di donna Vittoria. Bellini piaceva molto alle signore parigine, perché tra l’altro usava un francese-siculo che le faceva divertire e le attraeva. In quello stesso periodo Cristina conobbe Niccolò Tommaseo, Vincenzo Gioberti, Giuseppe Poerio, Francesco Orioli. Il salotto di Cristina era anche frequentato dal filoso Cousin, da Honoré de Balzac, da Prosper Merimée, da Heinrich Heine. La frequentazione di tanti uomini fece scattare alcune maldicenze nei confronti della Belgioioso, ma d’altro canto c’era anche chi sosteneva che fosse soprattutto una donna frigida. Il somma la sua sessualità era un vero enigma, perché a Cristina piaceva essere amata, desiderata, riverita, e magari, in qualche caso amava essere avvicinata fisicamente, ma senza che ciò portasse all’atto sessuale. Nemmeno il dubbio che fosse lesbica, sebbene in quel periodo era di moda il lesbismo, era ma stato chiarito. Qualcuno sospettò di una liaison tra Cristina e George Sand, ma nulla di certo fu appurato. Nell’estate del 1883 Cistina scomparve misteriosamente per qualche tempo. Il 23 dicembre di quell’anno comunicò di avere partorito una figlia, Maria Gerolama. La cosa destò scalpore, perché nessuno aveva mai visto Cristina incinta. Ma non c’è traccia che Maria sia stata registrata come figlia del principe Emilio di bel gioioso, o di qualsiasi altro padre. Qualcuno sospetto che il padre fosse Pietro Bianchi, che quando nacque Maria era da sette anni al servizio di Cristina. A quel punto Cristina chiese che Maria avesse il nome di Belgioioso. Il marito mori poco dopo, roso dalla sifilide a 58 anni. Cristina tornò in Italia, si diede agli studi storici e religiosi. Non aveva un salotto né ne frequentava, e il suo passatempo erano i tarocchi giocati col parroco. In quel tempo si dedicò alla cura dell’infanzia, aprì il primo asilo infantile in Italia, aprì a spese sue anche le scuole elementari per entrambi i sessi. Ma l’attività filantropica della Belgioioso suscitava oltre invidia, timori perché fu vista come una sovversiva femminista libertaria. Cristina pensava che aiutare le masse povere era un buon investimento per il futuro dell’Italia, i nobili e i ricchi invece sospettavano che ciò comportasse una accresciuta pretesa delle masse e la loro ribellione verso i ricchi. Erano i tempi in cui Papa Pio IX aveva rifiutato che nello Stato Pontificio passasse la ferrovia, perché diceva che assieme ai vagoni con le merci sarebbero entrate le idee moleste e libertarie! Frutto delle ricerche sulla religione fu il libro Essai sur la formation du dogme catholique che Cristina scrisse non senza suscitare critiche e una certa ironia perché era frutto della fatica di una donna. Allora era inconcepibile che una signora scrivesse di argomenti di culto e di teologia. Ma Cristina non si curava delle critiche, lei tendeva a stupire, a manifestare la propria genialità in ogni campo e a rendersi protagonista in ogni circostanza della vita col suo carattere proteiforme e la sua genialità “mascolina”. Questo suo atteggiamento fece sì che durante tutta la sua vita non passò mai inosservata! Cristina fondò un giornale, La Gazzetta Italiana , che poi si chiamò in Ausonio, e che lei scrisse quasi tutto da sola, perché molti uomini si rifiutarono di scrivere su un giornale diretto da una donna. Nel giornale Cristina si scaglia contro la classe dominante lombarda, che chiama ottusa e pavida, ed è anche contro Mazzini, ritenendolo un illuso. Lei si schiera con i patrioti moderati. Gioberti la ammira e legge tutti i suoi articoli. In quel periodo Cristina incontra Gaetano Stelzi, di quindici anni più giovane di lei, bello, biondo e tisico, che la collabora nella stesura del giornale. Stelzi le è sempre vicino, devotamente, e la gente si convince che sia diventato il suo amante. Forse si tratta di amore, ma non di sesso. Cristina arriva a Roma preceduta dalla fama di rivoluzionaria, di capopopolo , di simbolo della riscossa nazionale. Con lei sono la figlia Maria e il fedele Scalzi. Ciceruacchio la accoglie e le apre le porte della “resistenza” al papato. Popolano e borghesi erano entusiasti di lei, dei suoi discorsi della sua affabilità. Fu oggetto persino di una serenata che un camorrista. divenuto poi tribuno della plebe, certo don Michele, innamoratissimo di lei si permise di portare sotto le sue finestre. Ma poiché Milano in quei giorni insorse, la Belgioioso tornò nella città per dar manforte ai rivoluzionari. Cristina fondò subito un giornale “Il crociato” per commentare gli avvenimenti e per esortare alla rivolta e criticando i politici che litigavano tra loro invece di avere come scopo la liberazione di Milano dal giogo nemico. Purtroppo un grave lutto colpì Cristina, lo Stelzi sempre più malato di tisi, morì improvvisamente e la Belgioso lo fece imbalsamare Il colpo per la principessa fu duro, cominciò a vedere fantasmi a credere nella reincarnazione, a fare sedute spiritiche per mettersi in contatto col giovane che aveva perduto. Passata la bufera emotiva, Cristina a poco a poco si riprese e tornò a Roma. Roma era degradata da secoli di mal governo, e tuttavia i romani amavano ancora il loro pontefice e a Cristina sembrava strano che nono comprendessero in quale arretratezza il pontefice li teneva. I volontari milanesi, venuti per aiutare i pochi insorti, si trovarono a dover combattere con le forze francesi che sbarcate a Civitavecchia per liberare il papa. Durante l’assedio di Roma Cristina diresse le operazioni sanitarie, mise su tende da campo ospedaliere, formò un corpo di crocerossine e però riguardo ad esse la principessa ebbe molto a doverle convincere che non dovevano darsi senza alcun ritegno a feriti e militari . Milanesi, garibaldini e bersaglieri morirono fianco a fianco ella battaglia per la difesa di Roma, e poiché le cose si mettevano male, fuggì da Roma, lasciando dietro di sé un bell’esempio di patriota ma anche molte critiche da parte della borghesia e del papato, che criticarono, tra l’altro, furiosamente quelle che definirono le infermiere-prostitute, alle quali non riconobbero, invece il merito di avere curato e salvato molti feriti Ma erano feriti che erano della controparte, e dunque coloro che stavano col papato, non avevano nessuna pietà per essi! Cristina arrivò in Grecia dopo essere salpata da Civitavecchia in compagnia della figlia Maria e di miss Parker. In Turchia comprò un appezzamento di terreno che chiamò Chanq-Mag-Oglou, e che trasformò in fattoria modello, suscitando la simpatia e il rispetto delle autorità turche che riconobbero subito le sue doti umanitarie e manageriale. Dal,a Turchia, Cristina fece una puntata a Gerusalemme, per approfondire la conoscenza della mentalità mediorientale. Al ritorno in Cappadocia, un grave episodio colpì la comunità della Blegioioso. Un certo Lorenzoni, amante della Parker, dopo averla perseguitata, indusse la Blegioso a convocarlo e a indurlo a non essere così incivile con la Parker. Ma l’uomo che sulle prime parve convinto, covando vendetta contro Cristina che lo aveva rimproverato, una sera tentò di uccidere, pugnalando al collo la principessa. L’uomo poco dopo fu arrestato. La ferita lasciò alla Belgioioso una infermità cronica alla nuca: in quanto il suo collo le rimase curvato per il resto dei suoi giorni. Nel 1855 Cristina torna in Francia e sbarca a Marsiglia. Era una donna fisicamente finita: curva col collo storto, emaciata. A Parigi Cristina trovò che era la Contssa di castigliane che furoreggiava nei salotti, e che la sua fama era ormai offuscata dalla cugina di Cavour. Nel 1862, ottenuto il dissequestro dei suoi beni, Cristina tornò a Milano. Ma i nobili milanesi non avevano dimenticato le critiche che la principessa aveva loro rivolto e quando fu fatto un ricevimento in onore del re Vittorio Emanuele, Cristina non fu invitata dalla nobiltà milanese. Anche Cavour non era stato benevolo con lei, diceva il ministro piemontese che non vedeva di buon occhio le donne troppo intelligenti e politicizzate. Intanto il declino di Cristina, all’età di cinquanta anni, era sempre più evidente: a causa dei dolori e delle nevralgie faceva ormai anche uso di droghe che spesso le causavano però più problemi di salute che sollievo ai suoi malesseri. Ma non sempre fu bersaglio di critiche: Carlo Cattaneo la definì la prima donna d’Italia. Cristina volle intanto sistemare la figlia Maria e la diede in sposa al marchese Ludovico Trotti Bentivoglio. Questo matrimonio procurò a Maria di essere dama di compagnia della regina Margherita. La vita della figlia della Belgioioso fu dal quel momento serena e felice. Nel ritiro di Locate scrisse la “Storia della casa di Savoia”, che gli fu pubblicata in francese, a Parigi, nel 1860. A poco a poco anche i riconoscimenti vennero a Cristina, considerata la prima giornalista professionista d’Italia, e prima storica di vera competenza. Cristina si sistemò in una villa sul lago di Como, circondata da un gruppetto di amici e di amiche e dal quella dimora poté venire a conoscenza che Roma era divenuta capitale d‘Italia. Pare che in quell’occasione abbia detto agli amici “Ora il mio compito è finito. Posso morire in pace” I suoi funerali furono semplici e senza folla. Se la Belgioioso fosse stata un uomo, per suo contributo alla Storia d’Italia avrebbe avuto solenni funerali. Invece andò all’estrema dimora in semplicità, e fu sepolta senza nessuna solennità tra le tombe della povera gente.

CRISTINA BELGIOIOSO TRIVULZIO
(1808-1871)
Patriota e scrittrice italiana, a sedici anni si sposò con il principe Emilio Borbiano di Belgioioso d’Este. Fin da giovane ebbe contatti con il gruppo liberale della nobiltà milanese e mise tutto il suo impegno e la sua cultura a disposizione della causa italiana.
Dopo essersi separata dal marito si trasferì in Svizzera, soccorrendo i profughi lombardi e finanziando la spedizione dei Savoia (1834). Tornata per un breve periodo in Italia, fu ben presto esiliata a Parigi, dove accolse nella sua casa i patrioti italiani. Grazie a questa donna e al suo salotto, diventato famoso, i patrioti riuscivano ad incontrare diversi personaggi illustri, tra i quali il principe Luigi Napoleone. A Parigi fondò inoltre il giornale la Gazzetta italiana. Nel 1848 sbarcò a Napoli e, dopo aver raccolto un gruppo di volontari, si recò a Milano dove sostenne, anche con la fondazione di giornali, la causa della fusione col Piemonte. Quando nel 1849 Roma fu assediata, si impegnò nella cura dei feriti, ma dopo il fallimento del movimento nazionale, scoraggiata, si recò in Oriente per un viaggio. Stabilitasi a Locate scrisse la “Storia della casa di Savoia”, che gli fu pubblicata in francese, a Parigi, nel 1860

A. VIRGINIA STEPHEN WOOLF:
UN CASO CLINICO

Virginia Stephen Woolf è una delle donne da ricordare per la complessa psicologia, per loro genialità e per il cumulo enorme di poliedrici interessi intellettuali, sociali e sessuali.
Dotata di grande intelligenza e sensibilità, dalla psicologia conturbante, dagli interessi poliedrici ( volle provare un po’ tutto nella vita), e afflitta da una nevrosi che non la lasciò mai e che alla fine la condusse alla morte, Virginia può essere ricordata solo per la quantità e qualità dei libri che scrisse, ma anche per tutte le multiformi esperienze di vita, che nella sua esistenza volle sperimentare. LE ORIGINI
Leslie Stephen,il capofamiglia aveva studiato a Cambridge per diventare un uomo di chiesa, ma gli era mancata la fede, e non era portato a vivere un’esistenza al servizio di Dio. Cosicché, sebbene avesse ricevuto gli ordini nel 1857, alla morte del padre, sentendosi sciolto dal timore di deludere il genitore, abbandonò Cambridge, i voti e l’insegnamento e andò a Londra a fare il giornalista e si interessò di politica e letteratura. In veste di giornalista conobbe molti scrittori e tra questi il noto scrittore e autore teatrale William Thackeray, e la cui figlia Anny, era romanziere alla moda. L’altra figlia di Thackeray, Minny, suscitò l’interesse di Leslie che se la sposò. Purtroppo il matrimonio tra Leslie e Minny era nato sotto cattiva stella: la sposa morì giovanissima, durante la seconda gravidanza, era il 1875 ed erano passati pochi anni di matrimonio. Dalla breve unione era nata Laura destinata a finire i suoi giorni in manicomio. Leslie attribuì la malattia della figlia ad una tara ereditaria della famiglia della moglie, e in particolare alla nonna Thackeray che era morta in manicomio. Non era una diagnosi tecnica, ma con essa Leslie Stephen , senza essere un tecnico della materia, aveva cercato di darsi una spiegazione del motivo della follia della figlia affinché il fatto gli apparisse giustificabile ed egli potesse avere la sensazione di essere arrivato a conoscerne la causa. In questi casi, si dà credito anche ad affermazioni arbitrarie per far calmare l’ansia. E questa fu, probabilmente, la scelta di Leslie quando si rese conto che la figlia era malata. Un tentativo cioè di evitare l’angoscia sull’ignoranza delle cause della malattia di sua figlia. Ma quando Virginia cominciò ad avere i primi segni di squilibrio mentale, la tesi di Leslie vacillò e s’insinuò il dubbio che una parte di follia la avesse trasmessa ai discendenti anche il ramo degli Stephen.
UNA FAMIGLIA COMPLESSA
La seconda moglie del quarantacinquenne Leslie fu una vedova, la trentaduenne Julia Jackson, la quale aveva avuto dal defunto marito, Herbert Duckworthy, tre figli: George, Stella e Gerald.
Julia e Leslie unirono le loro vedovanze con un devoto matrimonio che portò dal 1879 al 1883 altri quattro figli: Vanessa,( Adeline) Virginia, Thoby e Adrian. Leslie fu un tipico patriarca vittoriano, che però si autodefiniva anticonformista e bohemien, anche se in pratica era tradizionalista e rispettoso delle buone maniere.
Nella nuova unione convissero, assieme a Leslie e Julia, la prima figlia di Leslie, Laura, i tre Duckworthy e i quattro Stephen. Questi ultimi uniti in una fratellanza affettuosa, che li staccava dai fratellastri, considerati degli intrusi.
Julia dominava con grinta la vasta tribù, ( il marito era anziano e misogino e si disinteressava della conduzione familiare) e, inoltre, stimolata da un interesse morboso per i malati, era sempre a dare aiuto a sofferenti e diseredati. Casa Stephen era frequentata dalla la vasta parentela di Julia e da una flotta di intellettuali, che la neo signora Stephen aveva conosciuto per mezzo del padre o che erano amici di Leslie, tra essi vi era Henry James, James Russell Lowell, George Meredith e altre personalità di spicco.
Malgrado l’amore tra Leslie e Julia, la divisione e i rancori tra i figli di primo letto di Julia( George Stella e Gerard) e l’inferma Laura e quelli venuti dal matrimonio tra i due vedovi, cioè Vanessa, Virginia,Thoby e Adrian furono insanabili. A rattristare maggiormente l’atmosfera c’era la malattia mentale di Laura, che viveva isolata e sotto la stretta sorveglianza di una infermiera perché dava spesso in escandescenze. Lamenti e grida di Laura erano ritenuti da Leslie più che il lato oscuro della malattia mentale di cui era affetta la figlia, “capricci caratteriali della ragazzina”. Nell’epoca in cui si pretendeva dai giovani obbedienza e passività, le grida, i lamenti, i pianti o le risa erano considerati maleducazione. Julia per parte sua era anch’essa esageratamente severa con la figliastra Laura, alla quale imponeva punizioni e sedativi, convinta, come lo era Leslie, che dovesse essere sottoposta a una ferrea disciplina per guarire.
MASCHI E FEMMINE UNA MARCATA DIFFERENZA EDUCATIVA
Era abitudine a quel tempo, che solo i figli maschi studiassero fuori casa, e che le femmine ricevessero l’educazione culturale entro le mura domestiche. Stando così le cose, i fratelli andarono a Cambridge, le sorelle rimasero a casa a studiare sui libri della biblioteca paterna. Il risentimento per la disparità che regnava tra maschi e femmine, fu uno dei traumi che segnò la vita di Virginia. Inoltre, una certa frustrazione avvilì le sorelle Stephen che, non frequentando la scuola, risentirono molto della mancanza del rapporto con le compagne di classe. Le Stephen era molto dotate: Vanessa s’interessava di pittura, e Virginia di letteratura. Quest’ultima, grazie alle sue doti letterarie, era la preferita di Leslie che sperava divenisse un giorno una scrittrice. Virginia era considerata più bella e più intelligente di Vanessa, ma quest’ultima non era invidiosa della sorella. Per Julia il figlio preferito fu Adrian, che la madre riteneva avere un carattere simile al suo.
UNA CALMA APPARENTE
La vita a casa Stephen non era pacifica come all’apparenza poteva sembrare. Sotto una coltre di tranquilla convivenza si snodavano vessazioni e comportamenti ambigui. Virginia scriverà da grande che il fratellastro Gerard le metteva le mani sotto le vesti per esplorare il suo corpo e toccarle le parti intime, cosa che le procurò una nausea nei confronto per gli uomini che le durò tutta la vita. L’altro fratellastro George andò anche oltre e pare che avesse approfittato sessualmente di Virginia, pur preservandole la verginità. Queste continue insidie impressero nel cervello della giovane un marchio indelebile di disgusto per il maschio e per la sessualità. La ripetizione di tali abusi, avvenuta per anni, si impresse in maniera indelebile nella memoria della giovane. Virginia avvertì sempre più una marcata incapacità a sopportare la vicinanza fisica del maschio. I contatti incestuosi le avevano creato una ripugnanza incancellabile nei confronti della sessualità e avevano dato vita a somatizzazioni e insofferenze che comparivano anche al semplice pensiero di avere un contatto fisico con l’altro sesso. Da Si andava sviluppando inoltre nella mente della ragazza un crescente senso di frustrazione e di rabbia verso se stessa per non essersi saputa opporre alle molestie del fratellastri, e questa constatazione d’impotenza a reagire aveva creata nella sua mente un progressivo senso di odio e ripugnanza verso se stessa, che la porterà, ritenendosi indegna, alla eliminazione drastica della propria persona.
UN INCESTO DEVASTANTE
Ciò che avveniva tra la giovane Virginia, e il fratellastro George nessuno lo sospettava, anche perché quest’ultimo, in famiglia, era considerato un giovane impeccabile, dalla morale cristallina e ben educato. Egli dava poco peso alle molestie verso la sorella, e riteneva, come accade di pensare ad ogni individuo incestuoso, di avere una specie di diritto di proprietà sulla sorella, diritto che gli derivava dall’essere Virginia una sua congiunta. George non si rendeva contro, o non voleva ammetterlo con se stesso, che attentava alla vita psichica di Virginia con quelle scorribande notturne nel letto della sorellastra. Virginia paralizzata dalla vergogna, dalla paura e da sentimenti di colpa, non raccontò né al padre né alla matrigna ciò che le si svolgeva tra lei e il fratellastro. Anche Vanessa, circuita con fare subdolo e accattivante, subì da George le medesime attenzioni sessuali. Per un certo periodo addirittura la giovane divenne in pieno l’amante del fratellastro. Ma nemmeno lei fece mai menzione in famiglia del plagio nel quale l’aveva indotta George. E così nessuna delle due sorelle ebbe il coraggio di accusare i fratellastri, i quali, continuavano ad essere considerati modelli di virtù. Vanessa, che aveva un sistema nervoso più vigoroso della sorella, quasi immunizzato alle prevaricazioni psicologiche, risentì solo in parte dei rapporti col fratellastro. Virginia invece portò dentro di sé, fino ad adulta una devastante disistima di se stessa, autoaccusandosi di essere responsabile di non aver saputo evitare l’incesto. Ad aggravare la situazione delle due sorelle, nel 1895 una tragedia sconvolse la famiglia. Julia, ammalatasi di influenza, morì dopo qualche mese per le complicanze. La morte della madre lasciò campo libero ai Duckworthy che continuarono ad approfittare delle sorellastre senza che nessuno più potesse scoprirli. Poco dopo la morte di Julia Virginia ebbe un grave esaurimento nervoso che venne attribuito al dolore per la perdita della matrigna, anche perché nessuno poteva immaginare le sofferenze che covavano nella mente della giovane a causa degli assalti sessuali del fratellastro George.
La perdita della moglie raggelò Leslie il quale si chiuse in un isolamento doloroso e ostinato, disinteressandosi di ciò che accadeva in famiglia. La perdita del punto di riferimento che era stato per Virginia la matrigna, acuirono lo sbandamento psichico di Virginia. Si creò il caos nella conduzione familiare, dal momento che il padre era incapace a badare alla famiglia ed era egli stesso anzi più bisogno degli altri membri di avere qualcuno che lo accudisse.
Quando nel 1897 Stella, poco dopo le nozze con Jack, si ammalò di peritonite e morì prima di essere operata, la famiglia attonita si sentì falcidiata: Julia e Stella erano sotto terra e Laura in un manicomio.
SETTE TERRIBILI ANNI
Per sette anni, dalla morte di Stella alla morte del loro padre Leslie, Vanessa e Virginia continuarono a subire le angherie del fratellastro George divenuto capofamiglia, dal momento che il padre non accudiva agli obblighi familiari e aveva demandato a lui la direzione della casa.
Vanessa che sopportava meglio la prepotenza psicologica del fratellastro si assunse anche il compito di consolare psicologicamente e sessualmente il povero Jack Hills, vedovo attonito e sconsolato di Stella. La complicità che si sviluppò tra lei e il vedovo di Stella causò in Virginia una reazione nervosa dovuta alla gelosia di sentirsi allontanata dalla sorelle ed esclusa dal rapporto che s’era creato tra i due. George chiese a Virginia di convincere Vanessa a non incontrarsi più con Jack, perché lo riteneva una unione indegna degli Stephen, ma Virginia si schierò dalla parte della sorella rivendicando per lei il diritto di libertà delle proprie scelte. George si oppose non solo alla relazione nascosta tra Vanessa e Jack, ma ritenne “inammissibile” , quando i due cominciarono a ventilare una loro possibile unione matrimoniale. George insorse affermando che un matrimonio tra cognati sarebbe stato ritenuto dalla società in cui vivevano un legame incestuoso. E pensare che la predica veniva dal pulpito di un fratellastro che non si vergognava né metteva in discussione il suo comportamento nei confronti delle sorellastre! Egli era invece preoccupato che la gente potesse criticare il matrimonio di Vanessa con Jack ritenendo persino che quella unione potesse influire negativamente sulla propria carriera. George affermava che non avrebbe permesso che una Stephen non si adeguasse alla morale dei tempi!
Alla fine del 1897 l’unione tra Vanessa e Jack declinò. George colmava le sorelle di regali (abiti, collane, braccialetti, ventagli, fiori e quant’altro) ma le ragazze non erano contente di quelle attenzioni che il fratellastro aveva nei loro confronti, anche perché egli continuava ad insidiarle e le costringeva ad accettare i doni intendendoli “come una qualche forma di compenso” e ciò produceva in loro un forte disagio e una devastante umiliazione. Spesso George portava spesso le sorellastre a teatro o a ballare, ma se Vanessa si lasciava trascinare, Virginia invece si sentiva imbarazzata e paralizzata dalle attenzioni del fratellastro. Il riserbo pubblico delle Stephen, spesso taciturne e scontrose in presenza di George, ebbe un effetto negativo nei salotti londinesi. Le due sorelle furono tacciate di essere scontrose e saccenti. Pochi diedero peso all’ambiguo comportamento del fratellastro il quale le copriva anche in pubblico di lascive tenerezze e di sensuali baci. In quei “sette anni infelici”, come li chiamò Virginia, si delineò in lei la presa di coscienza della propria omosessualità. La prima donna che Virginia amò fu Magda Addington Symonds, verso la quale la Stephen provava un intenso amore e forse anche un trasporto sessuale. Nessun uomo aveva prima di allora suscitato in Virginia l’erotismo e il desiderio che provava per Magda. Era quella la prima ribellione contro il mondo maschilista e prevaricatore del fratellastro e contro le mortificazioni e gli abusi che lui le aveva imposto. Tuttavia, la “ribellione omosessuale” non portò mai Virginia ad infrangere la barriera fisica tra lei e le donne che amava; quella stessa barriera che s’era innalzata tra lei e gli uomini vigeva anche nei confronti delle donne. Un’altra donna entrò poco dopo nel cuore di Virginia, e fu Violet Dickinson. Per lei il cuore della Stephen palpitò di sincero amore. A Virginia le donne sembravano assolutamente migliori degli uomini in tutti i sensi.
LA FINE DELLA SCHIAVITÙ
Quando nel 1904 morì Leslie Stephen, le sue due figlie si sentirono finalmente libere di sottostare alle voglie del fratellastro, e avvertirono di essere oramai padrone del proprio destino. Virginia però, come spasso accade in occasione della morte di un parente, dopo la morte del padre ebbe forti sensi di colpa, accusandosi di non aver mai fatto nulla per avvicinarlo e consolarlo; e mentre lei scivolava nella depressione, sua sorella, libera da ogni impegno familiare, moltiplicava scelte e progetti di vita futuri. Vanesse cominciò a viaggiare per dimenticare e per stordirsi, Virginia invece continuava rimproverarsi di non essere stata una buona figliuola nei confronti del vecchio padre e di non averlo mai accudito psicologicamente. A Firenze Virginia fu colta dall’angoscia e nemmeno la presenza dell’amata Violet riuscì a tranquillizzarla e a distrarla. Vanessa invece gustò con grande fervore i viaggi. La presenza di un amico di suo fratello Thoby, Clive Bell le rendeva i viaggi gradevoli e rilassanti. Rientrata a casa, Virginia tentò il suicidio. Solo dopo molti mesi la depressione accennò a scomparire e la Stephen riprese a leggere e a scrivere con buona lena. In quel periodo Virginia ebbe una proposta di collaborazione da parte dello storico F. W. Maitland che le chiese di aiutarlo a scrivere la biografia di Leslie Stephen. Virginia inspiegabilmente e duramente sconsigliata dal cognato Jack Hill non accettò la proposta. Probabilmente Jack, al corrente dei fatti poco edificanti verificati nella famiglia Stephenì, volle evitare che Virginia li spiattellasse nella biografia del padre. Anche Vanessa, ancora legata a Jack, per far cosa gradita all’amante impose alla sorella di rinunziare al progetto di Maitland.
IL GRUPPO CREATO A BLOOMSBURY
Un taglio netto col passato le sorelle Stephen lo diedero di li a poco, scegliendo di andare a vivere nel quartiere di Bloomsbury, un posto ritenuto poco elegante e frequentato da gente mediocre. La scelta era stata fatta proprio ad hoc dalle sorelle: in quel quartiere non avrebbero messo piede i loro parenti più nobili e arrogati e così le Stephen avrebbero potuto davvero staccarsi dai loro insulsi familiari e frequentare liberamente amici e conoscenti per i quali nutrivano stima e affetto. Il fratellastro George era furente per la scelta delle due donne, ma dovette arrendersi. Andando via dalla casa paterna, George prevedeva che il suo morboso affetto per le sorellastre non avrebbe avuto più possibilità di essere soddisfatto. Persino Violet non fu d’accordo nella scelta delle Stephen di abitare a Bloomsbury, considerando quel quartiere se non malfamato, quanto meno poco idoneo ad ospitare delle Stephen. Tuttavia, in seguito, visto il successo del salotto delle Stephen anche lei si aggregò alla comitiva. Dopo qualche tempo che le due sorelle lasciarono la casa paterna, George, con gran sollievo di Vanessa e Virginia, sposò una signorina dell’alta società, lady Margaret Herbert. A Bloomsbury, a poco a poco si venne a costituire attorno alla due sorelle un gruppo di intellettuali, di amici del fratello Thoby, e di gente di estrazione varia e a volte persino di dubbi costumi. Il giovedì la Stephen ricevevano a casa loro una folto gruppo di invitati. Non era d’obbligo discutere di argomenti intellettuali e ognuno dei presenti poteva comportarsi come voleva. Virginia e Vanessa scoprirono nuove amicizie e nuovi approcci, ben diversi da quelli compassati e fatui ai quali erano state abituate vivendo nell’ambiente asfittico dei salotti bene londinesi. Nel gruppo di Bloomsbury si era ammessi “per meriti intellettuali” e per simpatia, ma senza pregiudizi sui gusti e le scelte sessuali dei partecipanti, senza controllo sulla loro moralità, senza far caso al loro galateo, che del resto la nuove generazioni anti vittoriane, ritenevano costumanza tramontata. In quelle serate di frequente sbocciavano idilli e forse anche rapporti sensuali. In quel clima di forte promiscuità, nel 1905 Clive Bell decise di chiedere a Vanessa di sposarlo. Sul momento ottenne un rifiuto, ma con un margine di ripensamento. Gli amici di Bloomsbury decisero una gita in Grecia, ma il viaggio risultò un disastro. Vanessa si ammalò, Thoby non sentendosi bene rientrò in Inghilterra dove poco dopo morì e non si seppe mai per quale causa. Aveva solo ventisei anni! Le due sorelle furono assalite dai sensi di colpa perché si ritennero responsabili della morte del fratello, perché lo avevano indotto a fare quel viaggio. Vanessa, come al solito, più forte della sorella, reagì al dolore sposando Clive ! Virginia a quel punto, rimasta sola, andò ad abitare in un appartamento vicino a quello della sorella e del cognato, ma si sentiva continuamente depressa. Aveva perso il fratello più amato, la sorella s’era sposata e l’aveva lasciata sola. Stimolata anche dalla sorella, Virginia reagì alla solitudine aprendo a casa sua un salotto tra il letterario e lo scapigliato in cui si parlava di tutto, di politica, di letteratura, di sesso e si facevano pettegolezzi. In quel periodo il poeta e grecista Walter Headlam, che era quindici anni più anziano di Virginia sembrò attrarre l’attenzione della Stephen, forse perché quell’uomo le ricordava il padre, forse perché la scrittrice, sbandierando con lui una specie di flirt poteva farsene scudo verso coloro che volevano sedurla, mentre lei invece era attratta solo da Magda e da Violet.
UN MANCATO MATRIMONIO
Quando Headlam le chiese di sposarlo Virginia oppose un netto rifiuto. Un altro che in quel periodo cercò di fidanzarsi con Virginia fu Edward Hilton Young, socievole, ironico, spiritoso e colto. La Stephen lo introdusse nel gruppo di Bloomsbury, e lui la corteggiò e le chiese di sposarlo. Ma anche stavolta lei oppose un netto rifiuto, così come lo ribadì a Sydney Waterlow. Nel 1909 l’omosessuale Lytton Strachey le propose di sposarla, e Virginia, sempre spaventata di dover finire preda di un “vero” maschio, accettò la proposta di Lytton, certa che lui, portato verso i maschi, l’avrebbe “lasciata in pace” dal punto di vista sessuale. Lytton però era una garanzia per Virginia perché con la sua presenza di marito avrebbe fatto fuggire tutti coloro che la insidiavano sessualmente. Il matrimonio con Lytton insomma avrebbe messo a tacere le chiacchiere che si facevano sul conto della sessualità di Virginia, la quale sia pur non facendo troppo caso ai pettegolezzi, voleva evitare che si sparlasse di lei. Tuttavia il matrimonio con Strachey non sarebbe sfuggito alle critiche: Lytton era soprannominato da tutti “l’arcipederasta di Bloomsbury”, e il suo matrimonio con Virginia non avrebbe fugato le maldicenze sul conto della giovane donna. Vanessa fugò le esitazioni della sorella essendo favorevole al matrimonio di Virginia con Lytton. Chi invece fece sfumare il legame fu proprio Lytton che ad un certo punto, immaginando che Virginia si fosse innamorata di lui come uomo, si tirò indietro inorridito al pensiero che” la futura moglie potesse chiedergli prestazioni sessuali”. Come s’è detto, a Virginia non importava nulla delle tendenze omosessuali di Lytton, anzi per lei sarebbero state una garanzia che non l’avrebbe mai toccata. Ciò che più le interessava di quell’uomo era la cultura e la vivace curiosità intellettuale. Tuttavia al rifiuto dell’amico Virginia fece buon viso a cattivo gioco e i due rimasero legati ancora da una profondo feeling intellettuale.
LA FIAMMATA TRA CLIVE E VIRGINIA, E GLI AMORI DI VANESSA
In quel periodo Vanessa ebbe un figlio, Julian ( che morirà durante la guerra di Spagna) ma il marito si allontanò da lei infastidito “dall’invadenza” del nuovo arrivato. A quel punto Clive prese a corteggiare la cognata, ed era pentito di non averla scelta prima come sposa e di averle preferito Vanessa, che riteneva più sensuale ma meno attraete dal punto di vista intellettuale. Vanessa, troppo dedicata a Julian, non gli interessava più, mentre egli era estasiato dalla comunanza di interessi con la cognata. Da parte sua Virginia trovava che egli era un intellettuale straordinario. Ma la loro relazione non andò oltre il flirt, anche se i due si scambiarono baci e carezze; il blocco sessuale i Virginia era dovuto anche dal fatto che Clive, come uomo, non le piaceva. Vanessa ebbe a soffrire del legame tra il marito e la sorella ma lo comprese. A togliere parzialmente dalla mente di Virginia il cognato fu uno straordinario personaggio femminile: Ottoline Morrell, dalla prepotente personalità, che infiammò l’animo di Virginia. Lady Ottoline Morrell aristocratica, eccentrica e fortemente religiosa, divenuta vicina di casa delle sorelle Stephen a Bloomsbury, venne subito attratta da Virginia che inizialmente la ricambiò con una maligna e snobistica duplicità. Ottoline era una delle poche donne eterosessuali che affascinava e nello stesso tempo disgustava Virginia”, che la trovava irresistibile ma ne criticava i costumi e le velleità artistiche. Ottoline nelle sue memorie pubblicate postume, annotava un lucido giudizio su Virginia: “Sembrava certa della propria superiorità. E’ vero, ma è una cosa schiacciante, perché sento in lei un grande disprezzo degli altri. Quando ho teso la mano per toccare un’altra donna, ho incontrato solo un bellissimo, chiarissimo intelletto”. Ottoline si sentirsi al confronto di Virginia ” noiosa, vecchia, antiquata e pedante”, mentre riteneva Virginia “intelligenza fantasiosa e magistrale”. A placare l’imbarazzo di Vanessa per la presunta relazione del marito con la sorella fu l’incontro con il pittore critico d’arte Roger Fry, la cui moglie era impazzita e da anni stava “sepolta” in un manicomio. Roger s’innamorò ei Vanessa e lei di lui. In quel periodo il gruppo di Bloomsbury fece un viaggio in Turchia, ma come era consueto , la sfortuna si accanì ancora con loro. Vanessa ebbe un aborto e volle rientrare a casa con Fry. Clive ingelosito del legame tra i due , cercò di riconquistare la moglie e Vanessa da questo ritorno di fiamma s’augurò che il marito “lasciasse in pace” Virginia. Ma la rottura tra Clive e Vanessa era inevitabile, e forse perché la Stephen aveva notato che il riavvicinamento a lei del marito era dovuto solo a gelosia nei confronti di Fry e non a un sentimento sincero. Roger Fry dal canto suo, equivocando sul ricostruirsi della coppia Vanessa-Clive trasse occasione per defilarsi, essendo troppo preoccupato dei risvolti di un legame stabile tra lui e Vanessa. Questa sempre più disinibita, portò nel circolo una ventata di lassismo sessuale, organizzando addirittura “il gioco delle coppie” che doveva servire ad avvicinare con assoluta anarchia sessuale, durante le serate del gruppo, chiunque volesse accoppiarsi con chiunque, senza badare ai legami che i due avevano. Era una provocazione con la quale Vanessa cercò di cancellare la umiliazione di essere stata “mollata” sia dal marito che da Fry e si legò all’economista Maynard Keynes, subito invaghitosi della straripante libertà sessuale di quella donna. All’ inizio dell’estate del 1910, stress e frustrazioni del passato avendo continuato a scavare nella psiche di Virginia le avevano creato un devastante malessere che ora emergeva allo scoperto. Era chiaro che la malattia della Stephen non era stata né circoscritta né tanto meno guarita, ammesso che un simile male potesse scomparire del tutto. Lo stato d’animo confusionale e depresso si acuì e Virginia dovette essere ricoverata in una casa di cura per malattie mentali, a Twickenham, dove rimase per vari mesi. La cura consisteva nel restare relegata in un letto “ a riposare la mente” , senza poter leggere ( le letture le furono consigliate per non affaticarla) e senza ricevere visite. Lo stato della sorella fece temere a Vanessa che Virginia rimanesse invalida per tutto il resto della vita. Ad agosto Virginia fu accompagnata da Jean Thomas , direttrice della casa di cura in Cornovaglia. Li le due fecero molte passeggiate che avrebbero dovuto ridare vigore allo spirito della malata. La Thomas incoraggiava e spronava Virginia all’ottimismo. Quando Virginia poté andare a trovare la sorella che aveva partorito il secondogenito Claudian, Vanessa la trovò migliorata fisicamente, ma ancora “traballante nel ragionamento e nell’umore” . Virginia parlava ininterrottamente di sé, con un certo disordine nei pensieri e un ottimismo quasi esaltato sulla propria guarigione, che impressionarono la sorella. A ottobre il miglioramento di Virginia fu apprezzato dai medici che però le consigliarono ancora molta cautela, molto riposo e la spinsero a non sforzarsi né nelle letture né nella scrittura.
IL RITORNO A LITTLE TALLARD HOUSE E NUOVI AMORI
Ritornata “libera”, Virginia trovò abitazione a Firle che chiamò Little Tallard House e, aiutata dalla sorella, arredò la nuova casa con entusiasmo. Virginia per non essere criticata che viveva da sola, fu costretta a prendere con sé il fratello Adrian. A quei tempi per una donna le uniche alternative erano o sposarsi o vivere in famiglia; vivere da sola era ritenuta una cosa sconveniente. Poco dopo il suo “rientro a casa, Walter Lam manifestò a Virginia i propri sentimenti. Le disse che era follemente innamorato di lei e che avrebbe voluto sposarla. Virginia come sempre tenne lo spasimante in bilico, senza mai dare risposte definitive. Il fatto era che in quello stesso periodo Virgina s’era infiammata di Katharine Fox. L’agenda sentimentale di Virginia s’era inoltre accresciuta della amicizia con Rupert Brooke, legato a Katharine. Con Rupet Virginia instaurò un rapporto spregiudicato e intenso, fecero i bagni nudi, abitarono alcuni periodi assieme , ma ancora una volta ciò che Virginia degli uomini più amava era la loro compagnia, non gli approcci sessuali che la spaventavano. La paura di perdere la verginità era per Virginia una scusa per non avvicinare sessualmente gli uomini, sicché badando con ogni mezzo a preservarla, con questo “nobile” pretesto si teneva distante dai maschi. Vanessa che aveva ormai una famiglia abbastanza numerosa affittò un appartamento a Brunswick Square e invitò Keynes ad affittare il pianterreno, Virginia il secondo piano, Adrian il primo, e Leonard Woolf una parte del primo piano e il pittore omosessuale Duncan Grant il monolocale al’ultimo piano. Con lui Vanesse ebbe una figlia, Angelica (che da grande sposerà l’ex amante del padre, David Garnet). Quando Leonard entrò in contatto delle Stephen fu folgorato dalla personalità di Virginia, che ritenne bella, intelligente e stravagante. In quella casa gli intrecci erano molti; Ducan Grant era l’amante di Keynes e Vanessa l’amante di Fry. Virginia, ventinovenne, nubile, sempre sull’orlo della depressione cominciò ad interessarsi a Leonard, nella speranza di poter mettere ordine nella propria vita. Clive sentimentalmente legato a Virginia non vide di buon occhio l’avvicinamento della cognata a Woolf che definiva un rivoltante ebreo. Quando Virginia gli manifestò la volontà di sposare Leonard, egli disse alla cognata che l’avrebbe sempre continuata ad amare. La proposta di matrimonio fatta da Leonard Woolf a Virginia fu dopo molte esitazioni accattata. Virginia volle “provare le proprie capacità di donna”, e di dimostrare che non era del tutto frigida, e non voleva sentirsi una donna che sapeva solo amare delle femmine.
L’amicizia femminile era per Virginia, come lei stessa scrisse,”una relazione così segreta e intima, in confronto alle relazioni con gli uomini” (“Diario”, 1924). “Mi piacciono le donne. Mi piace il loro anticonvenzionalismo. Mi piace la loro completezza”. Negli anni formativi lo sviluppo psicologico e sessuale di Virginia viene plasmato da “una sequela di donne insolite, enigmatiche, talvolta tragiche”, dalla eccentrica prozia Julia Margaret Cameron, pioniera della fotografia, alla madre bellissima alle pretese di un marito autoritario”, prematuramente scomparsa a 49 anni L’adorata sorellastra Stella, le trasmette un modello estremamente realistico e negativo dell’eterosessualità, rafforzato dai suoi fratellastri con le molestie sessuali imposte sia a sua sorella Vanessa e a lei, che ebbero pesanti conseguenze psicofisiche sulla sua vita. Al complesso rapporto con Vanessa, la sorella pittrice, è dedicato un capitolo del libro. Una testimonianza di Angelica Garnett, nipote di Virginia e figlia di “Nessa”, lo descrive efficacemente: “Si capivano alla perfezione tra loro e probabilmente erano al loro meglio quando stavano insieme. Erano legate dal passato e forse anche dalla sensazione di avere due temperamenti opposti e che quello che a ciascuna mancava potevano trovarlo solo nell’altra”. Al di fuori della famiglia, la prima amica e complice di Virginia fu Violet Dickinson, “a lungo oggetto dei suoi desideri”. Dopo una “cotta” adolescenziale per sua cugina Madge Vaughan, Virginia, quasi ventenne, sviluppa rapidamente una “attrazione appassionata e struggente” per Violet, 17 anni maggiore di lei, lesbica soddisfatta di esserlo, indipendente e grande viaggiatrice. Dal 1902 le scrive firmandosi “la tua amante”, “la tua capretta innamorata”, o con il vezzeggiativo “Sparroy”.
La esistenza sessuale del loro rapporto è dimostrata da alcune frasi: “E’ sbalorditivo quali profondità – profondità vulcaniche – il tuo dito ha agitato in Sparroy” (lettera di Virginia a Violet, luglio 1903). Violet assisterà Virginia quando le sue condizioni di salute si aggraveranno, la sosterrà i ogni circostanza, la fa diventare critica letteraria e la avvia alla carriera di scrittrice.
Con Leonard Virginia avrebbe provato com’era e cos’era, dal punto di vista sessuale, come donna che stava con un uomo. Dopo il matrimonio i Woolf andarono in Spagna, Francia e Italia. Per Virginia fu quasi un calvario quel viaggio, irretita dalla richieste sessuali del marito, inorridita “dal disagio che le davano le stimolazioni fisiche, e inoltre infastidita dalla sporcizia degli alberghi e dalla mosche che la perseguitavano ovunque”. Tuttavia, sebbene avesse constatato il fallimento della vita sessuale con la moglie, Leonard non cessò di amare Virginia, e l’astinenza non impedì a lui e alla moglie di vivere una placida amicizia. La gente intuì subito il disagio sessuale che intercorreva tra i coniugi Woolf, ma nessuno lo fece pesare. Virginia spossata sempre da più stress, scivolò a poco a poco nella depressione. I medici questa volta la attribuirono alla mancanza di figli, ma questa diagnosi a Virginia apparve ridicola e fuorviante. In ogni caso, pensava la Stephen , anche se fosse stato quello il motivo della propria depressione, preferiva tenersi la follia piuttosto che mettere al mondo dei figli. Virginia avvertiva che a mano e mano che i pensieri molesti e perturbanti si inserivano sempre più stabilmente nella sua mente, venivano memorizzati saldamente e si trasformavano in maniera irreversibile in macigni che facevano affondare la sua serenità. Paure, disgusti, disagi, sensi di colpa avevano raggiunto nella sua mente una tossicità tale che da eventi psicologici erano divenuti alterazioni biochimici. Senza l‘aiuto Leonard,Virginia sarebbe precipitata ancora più in basso nella sua malattia. Infatti aveva sempre bisogno di qualcuno che l’accudisse psicologicamente che l’amasse e le desse conferme sulle quali saldare la propria vita. Il suo dramma quotidiano era l’incapacità di sopportare anche il minimo disagio, il più lieve stress, disturbi che, per “persone normali” non rappresentavano alcun problema mentre a lei la faceva sprofondare negli abissi della confusione mentale. La scelta del matrimonio, le avance sessuali di Leonard, che per una donna qualsiasi sarebbero state motivo di orgoglio e di narcisismo femminile, per lei divennero insopportabili e “schifosi” fardelli. Nella sua mente, già provata in passato dalle “sudice” attenzioni dei fratellastri Duckworthy, erano stati la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Tuttavia non era nemmeno certo che la sua depressione dipendesse solo dal traumatico vessarla di George. Virginia era sin da piccola incapace di sopportare qualsiasi tensione nervosa, ed era soggetta non solo ad improvvisi crolli psicologici ma anche ad istantanea ire furenti (furiosi litigi ebbe con Clive, con Lytton e con Adrian per ricordarne alcuni) che sfumavano appena l’instabilità psicoemotiva cessava. La malattia psichica di Virginia era curata male, anzi, forse non era curata affatto, perché a quei tempi la psichiatria vagava alla ricerca di spiegazioni oltre che di cure. Tutto ciò che gli specialisti erano in grado di consigliarle era la quiete, i sedativi, la fuga dalle incombenze quotidiane, l’abbandono della lettura e della scrittura. In cambio di quelle rinunzie, qualche medico le sollecitava una gravidanza. Un figlio “avrebbe attenuato la sua irascibilità e placato le sue ansie”. Poiché il disturbo di cui soffriva Virginia era molto comune il consiglio fornito da qualche prete di provincia o da qualche popolana “di buon senso” erano appunto la gravidanza. I figli, si diceva, placano l’ansia delle nubili e affrettano la guarigione delle isteriche. E ciò, ne più ne meno sull’onda dell’interpretazione ippocratica che riteneva l’isteria derivata dai danni causati dall’utero incattivito di vergini, nubili, vedove o sterili, creando così un legame tra l’osteria e la vita sessuale. In questo senso Oribasio di Pergamo( 325-403), medico dell’imperatore Claudio Giuliano, consigliava, per la cura di questo male, la titillatio clitoridea, che medici esperti avrebbero dovuto praticare portando la malata isterica al parossismo. La avrebbero così fatto scaricare la tensione psicofisica e ristabilito l’equilibrio mentale. La malattia di Virginia, dopo Ippocrate (460-375 a. C.) era stata sempre oggetto di equivoche interpretazioni. Nel Medio Evo, per esempio, era stata attribuita a possessioni diaboliche. Solo nel XVII secolo, un medico britannico, Thomas Sydenham, diede una svolta alla interpretazione della malattia, da lui riscontrata anche in alcuni maschi, riconducendola non a disfunzioni dell’utero ma a disturbi causati da sostanze endogene che disturbavano la efficienza del cervello. Nell’800 l’isteria divenne una delle manifestazioni sintomatiche più comuni nelle donne e i medici, impotenti a guarirla, tornarono ai massaggi vaginali di ippocratica memoria, e, per evitare l’impatto diretto della mani del medico sulla donna, nel 1873 venne inventa in Francia il primo vibratore. I massaggi al ventre nella zona pelvica, le docce fredde, l’alimentazione igienica, e l’ipnosi praticata in primis da Charcot a Parigi, apportarono un certo beneficio alle malate. Con l’avvento di studi freudiani e di quelli psicologici, a partine dagli inizi del ‘900 cominciarono a delinearsi come cause della malattia le angherie maschili nei confronti delle donne, la misoginia, le ipocrisie e i moralismi beceri di una società che imponeva al maschio di esprimere orgogliosamente la propria carica sessuale e alle donne di reprimerla. L’origine della nevrosi di Virginia Erano di certo di carattere psicologico le cause scatenanti che aveva prodotto lo squilibrio mentale di Virginia: erano dovute all’aver subito le attenzioni dei fratellastri, al dover mantenere il silenzio sulle molestie subite, alla rabbia repressa contro il maschilismo e alla soffocante aria vittoriana, ambiguamente moralista, ma scossa da devastati, immorali e perversi atteggiamenti dei quali nessuno osava parlare ma che erano da tutti conosciuti. Sia Bertha Poppenheim, la protagonista del saggio “Anna O. “ di Sigmund Freud, che Virginia Stephen furono emblematiche figure della malattia psichica descritta per primo da Ippocrate. Con la differenza che Bertha dopo il miglioramento delle proprie condizioni mentali si diede alla causa del femminismo, mentre Virginia, forse perché meno psicologicamente forte della Poppenheim, e probabilmente perché non si sottopose a una terapia psichica appropriata, subì una sorte bene diversa. Quando nel 1913 il marito di Virginia diede il manoscritto della moglie The voyage out al di lei fratellastro Gerard, divenuto editore, Virginia cadde nel marasma. La Woolf prima fu ricoverata a Burley Park, poi condotta dal dottor Savage e in fine dal dottor Henry Head che fu molto reticente sulla possibile guarigione della scrittrice, si credeva al centro di un complotto contro di lei e tentò il suicidio bevendo una boccetta di Veronal.

LA VITA SESSUALE MATRIMONIALE
Virginia inoltre si lamentava del marito perché non si rendeva conto che lei non poteva seguirlo nella attività sessuale matrimoniale, cosa che la stressava terribilmente. Anche ricevere gli amici rendeva nervosa Virginia, soprattutto se erano in gruppo. Virginia alternava momenti di lucidità a settimane di grave crisi e confusione, di esaltazioni e avvilimenti. Nemmeno la sorella Vanessa riusciva a calmare e a rendere tranquilla la vita di Virginia.
Leonard amava tanto Virginia che accettò non solo la sua follia, ma anche il suo rifiuto di far sesso con lui. Nel 1916 Virginia conobbe Katherine Mansfield, e le sembrò sulle prime un personaggio ambiguo e senza scrupoli. Katherine Mansfield ebbe “un impatto profondo” su di lei, “sia sul piano personale, sia soprattutto dal punto di vista professionale”. Diversissime per esperienze malgrado fossero quasi coetanee, avevano la passione per la scrittura cosa che fece superare l’enorme diffidenza reciproca percepita al primo incontro. L’anno seguente, nel 1917, trascorsero alcuni giorni da sole ad Asheham e scoprirono la loro affinità segreta. Katherine scrisse a Virginia una lettera di ringraziamento che inaugurò la loro amicizia: “E’ stato bello avere tempo di parlare con te; noi facciamo lo stesso mestiere, Virginia, ed è davvero molto curioso ed emozionante che entrambe, cosi’ distanti l’una dall’altra, ci dobbiamo occupare quasi della stessa cosa”. E Virginia scriveva nel suo diario: “Con nessun altro posso parlare dello scrivere in modo cosi’ disincarnato, senza alterare il mio pensiero”. Il loro fu però un legame intermittente e breve, interrotto dall’improvvisa morte della Mansfield: un legame vissuto in modo più evidente e continuativo nei loro libri e nella tessitura dei loro testi, piuttosto che nel quotidiano e nella realtà. Virginia, che a lungo dopo la scomparsa di Katherine cercò di analizzarlo, fu delle due quella che cercò di renderlo più intimo, ma invano. In quella fase della sua vita era troppo tranquilla e “normale” per Katherine, irrequieta bisessuale che “si era innamorata di molte donne e aveva con loro relazioni appassionate”. Ne aveva parlato senza mezzi termini nei suoi diari e nel 1907 aveva scritto il racconto lesbico “Leves Amores”, ritornando poi sul tema dell’attrazione tra donne nei racconti “Garofano”, “Felicità”, e nella poesia “Tulipani scarlatti”. Virginia, invece, scriverà un racconto dichiaratamente lesbico (“Le spille di Slater non hanno punta”, 1927) solo molto più tardi, al culmine del suo rapporto con Vita Sackville-West.
Nel 1917 a Bloomsbury venne creato il “Club 17” . Virginia tornò a frequentare gli amici. Nelle riunioni si parlava di tutto. Bessire Ward in varie riunioni tenne conferenza sulla educazione sessuale e delle malattie veneree. Fino al 1921 Virginia tenne quelle riunioni a casa sua. Quando ebbe successo il romanzo di Lytton Strachey, “Eminent Victorians”, Virginia ne fu gelosa, sentendosi messa da parte nella stima di scrittrice. In quello steso periodo virginia dopo aver letto “Ulisses” di Joyce sconsigliò al marito che dirigeva la editrice Hogarth Press di pubblicarlo. Nel 1919 Vanessa fu di nuovo in gravidanza e Clive, ancora suo marito ufficiale, s’infuriò, dato che non era con lui che la Stephen l’aveva avuto. Del resto Clive era legato con una signora dell’alta borghesia inglese. In quel periodo Virginia rimase a lungo a letto, per settimana, a causa di forti mal di testa e per gravi nervosismi che la spossavano. “Per distrarsi” Virginia volle iniziare lo studio della lingua russa, ma l’abbandonò presto. Nel 1919 Virgina trascorse buona parte dell’inverno con l’emicrania. Nel marzo 1921 pubblicò Monday or Tuesday, e ne vendette solo 300 copie. Virginia invidiava Lytton Strachey che vendeva moltissimo i suoi libri. E tuttavia egli continuava ad essere amato da Virgina, anche su lui era legato a Ralph Partridge e nel contempo anche a Dora Carrington. Dora a sua volta amava Lytton, ma dormiva con Ralph. Alla fine Dora fuggì da Ralph per rifugiarsi nell’affetto di altri amanti. Dora Carrington, e Virginia fecero lentamente amicizia a partire dal 1916 attraverso “l’affetto che entrambe nutrivano per un uomo difficile, effeminato, omosessuale, Lytton Strachey”. La pittrice Carrington si era innamorata di Strachey e aveva accettato una lunga convivenza casta con lui, sopportando i suoi amanti e anche un pesante “ménage à trois”, sacrificandogli una “giovinezza piena di ammirazione e sollecitudine” e suicidandosi nel 1932 subito dopo la sua morte per cancro. Dapprima gelosa dell’intesa intellettuale di Virginia con Lytton, l’aveva però presto accettata, ammaliata dalla sua “anima lesbica”, come la chiamava. La univano a Virginia l’indifferenza per gli abiti e per le forme esteriori dell’essere, il rifiuto della maternità, l’amore per la natura e la campagna, l’abitudine di usare nomignoli per sé e per tutte le persone care, il bisogno di appoggiarsi ad un partner con il quale non condividevano la sessualità, i dubbi tormentosi sulla propria creatività “combinati con un perfezionismo spietato”, l’attivismo con cui cercavano di “tenere a bada le ombre oscure dell’insicurezza, della disperazione e della depressione”, la “tendenza a stati d’animo foschi” che però non impediva loro di “diffondere intorno a sé il buon umore” e di “essere una compagnia ambita” grazie ad un energetico senso dell’ umorismo. In quel periodo si vociferò che anche Virginia era di larghe vedute sessuali, e che non resisteva a uomini più giovani di lei, se erano spiritosi, intelligenti e anche omosessuali. Ma proprio in quel periodo Vriginia, colta dalla depressione, fu costretta a restare giornate intere a letto. Era dispotica e irascibile , si sentiva infastidita da tutto e da tutti. Insomma aveva un atteggiamento di vera nevrotica. Nel 1922 un nuovo disturbo, questa volta cardiaco, gettò a terra Virginia. Clive Bell la andò a visitare spesso e tornò ad innamorarsi di lei, con la quale intraprese una schermaglia amorosa che ridiede fiducia a Virginia. Ma nemmeno da malata Virginia abbandonò i suoi amici, e in particolare T. Eliot. Di lui era molto preoccupata sia perché lavorava in banca ed era un lavoro stancante, sia perché quel lavoro lo distoglieva dalla poesia. Virginia brigò per farlo entrare in una redazione di giornale, ma Eliot rifiutò preferendo il suo impiego in banca.
In quel periodo Virginia conosce Vita Scakville . Virginia era innamorata di quella donna protagonista della sfera sentimentale di Virginia. Vita irrompe come un ciclone nel suo ordinato e ormai platonico matrimonio con Leonard Woolf: la travolge, scuotendo e spronando il suo “personale”. Passionale e incostante, la costringe ad accettare la sua libertà, a rinunciare al possesso e alla gelosia; per 19 anni, sarà una presenza fascinosa e stimolante nella sua vita. Vita, figlia di un Lord, cresciuta nel più grande castello d’Inghilterra, Knole, dotato di 365 stanze e di un grande parco pieno di daini, era 10 anni più giovane di Virginia. Aveva sposato nel 1913 il giovane diplomatico Harold Nicolson, omosessuale, con il quale conciliava il desiderio di maternità e la reciproca libertà di vivere altre relazioni. Esperta di giardinaggio, poeta e romanziera di successo, aveva narrato in “Challenge” (1919) la sua scandalosa storia d’amore con Violet Trefusis: con lei era scappata in Francia finché i rispettivi mariti, per quanto comprensivi, non erano accorsi a riprenderle. Alla fine del 1922, trentenne, conobbe Virginia ad un pranzo e subito scrisse a Harold: “Darling, m’ha proprio rubato il cuore… Caro mio, come amo quella donna”. A sua insaputa, Virginia invece registrava nel suo diario forti dubbi sulla sua nuova conoscenza, giudicando entrambi i Nicolson “inguaribilmente stupidi”. Ma capitolò nel 1924, durante un intervallo del turbolento “affair” di Vita con Dorothy Wellesley. Il dono propiziatorio di Vita fu il suo nuovo libro “Seduttori in Ecuador”, che consegnò a Virginia perché venisse pubblicato dalla casa editrice che aveva recentemente aperto, Hogarth Press, rialzandone le sorti finanziarie. Dopo essersi concretizzata, la consistenza della passione che unì le due scrittrici venne da loro accuratamente nascosta per anni sia ad Harold che a Leonard, a scopo di rassicurazione. Virginia cercava eroicamente di ignorare le sue numerose rivali, dalla Wellesley alla bella poetessa Mary Campbell e alle giornaliste Hilda Mateson ed Evelyn Irons. Si concentrava sulla scrittura, producendo “Al faro”, “Le onde”, la prima stesura de “Gli anni” e “Orlando” (1928), dedicato a Vita e definito da Nigel Nicolson “la sua più elaborata lettera d’amore”. E anche Vita, influenzata positivamente da Virginia, scrisse in quegli anni i suoi libri migliori, “La signora scostumata” e “Ogni passione spenta”.
Un dolore immenso ebbe Virginia nell’apprendere che era morta Katherine Mansfield, a soli trentaquattro anni. La morte dell’ amica le fece tornare la paura della morte: Questo sentimento la faceva sentire confusa, depressa, e le procurava rabbia, e anche disperazione. Leonard la convinse a prendersi un periodo di riposo. Un periodo che fu proficuo perché Virginia compose la tranma del libro “Sull’essere amati” . Intanto Vita si sposò con Harold Nicolson, ma il matrimonio ebbe breve durata, a lei piacevano le donne e a lui i giovanotti nerboruti.Vita non aveva mai occultato la sua omosessualità, si vestiva semore con abiti maschili e aveva atteggiamenti da macho; Vita non aveva mai occultato il suo amore per Virginia, la persona che le piaceva di più. Clive una volta chiese a Virginia se fosse mai stata letto con Vita, e lei fu molto reticente, il che fece infuriare Clive Un episodio significati della vita di Virginia fu l’acquisto di un’auto, il voler prendere la patente e il rinunziare subito dopo a guidare perché passando con la macchina vicino a un piccolo ciclista aveva procurato la caduta del ragazzino. A Quarantasette anni, e all’apice del successo,Virginia ebbe un’altra innamorata: Ethel Smith, un’anziana scrittrice femminista piena di verve e di iniziative. Virginia era rimasta colpita da quella personalità vibrante, di straordinaria vitalità, che entrò di prepotenza nella vita della Woolf. Tra Virginia ed Ethel si instauro una specie di ponte psicoanalitico attraverso il quale la Woolf raccontò all’amica le sue paure, i suoi fatti sessuali più intimi dell’infanzia, i suoi propositi di suicidio. L’amicizia tra le due fu più solida di quella con Vita, perché toccò le corde psicoanalitiche dell’inconscio. Per Virginia, Ethel Smyth fu uno straordinario personaggio: famosa musicista e compositrice, si era invaghita dell’attivista Emmeline Pankhurst e aveva entusiasticamente aderito al movimento suffragista, per il quale creò la “March of Women”, che diresse con uno spazzolino da denti dalla finestra del carcere in cui era stata rinchiusa per aver tirato un sasso contro lo studio di un ministro, mentre duecento sue compagne di lotta cantavano il brano nel cortile. A 72 anni Ethel si infiammò per Virginia, che accettò il suo impeto con naturalezza: “A volte è un sollievo incontrare un animale primitivo come Ethel, un elefante solitario che non obbedisce al gregge”. Anche se non ricambiò mai il suo ardore, Virginia si confidava con Ethel “più apertamente che con qualunque altra donna, parlando di sesso, masturbazione e altri argomenti che prima non era mai riuscita a nominare”. Grazie alle accese conversazioni con lei, condensò la lucida rabbia necessaria alla stesura di Le tre ghinee, e rappresentò l’amica nel personaggio della regista lesbica di Tra un atto e l’altro. Vita finì per esserne piuttosto gelosa: l’accusava di monopolizzare Virginia e nelle sue lettere la chiamava con malumore “la tua intima Ethel”. Ma Ethel alla fine superò l’ossessivo innamoramento per Virginia, sostituendolo con un autentico affetto; anzi, a 80 anni, ebbe persino un altro amore. Sconvolta dal suicidio dell’amica scrisse a Vanessa: “Io… capisci, non è solo (a lei questo non l’ho detto) che l’amavo, era che la mia vita si basava letteralmente su di lei… era il continuo emozionante contatto con una mente geniale”. Agli inizi della loro relazione, fu un vero assedio quello di Ethel nei confronti di Virginia, e questo preoccupò e ingelosì Vita. Virginia ebbe un’estate molto stressante anche a causa ella visita del fratellastro George sempre prevaricatore e presuntuoso nei suoi confronti e per la visita che dovette fare alla madre di Leonard, con la quale non c’erano buone relazioni. Un giorno a causa di quelle snervanti emozioni Virginia svenne e dovette restare e letto per qualche settimana. Virginia fu accudita da Vita e da Ethel, ma dopo un po’ quest’ultima sembrò alla Woolf troppo invadente, la scrittrice si sentiva soffocata dalla attenzioni di Ethel. Ethel per patrte sua stava anche scoprendo lati negativi nella sua amata fiamma: l’egocentrismo di Virginia, la sua indisponibilità a curarsi degli altri, e l’accusava di non saper capire gli altri, e di trattarli in maniera fredda e disincantata. Insomma tra le due fu rottura se non dichiarata, strisciante. Un altro evento che abbatté Virginia fu la morte di Lytton Strachey, evento che sconvolse anche Dora Carrington e la indusse a tentare il suicidio, sparandosi alle tempia. Leonard spinse Virginia a fare un viaggio in Grecia per allontanare l’atmosfera cupa creata da quegli eventi . Ma al ritorno dal viaggio Virginia tornò ad essere depressa, ricominciò ad udire “le voci” e a soffrire la gelosia di Ethel ritornata alla carica con una passione più veemente che mai. In quel tempo Virginia conobbe Ottoline Morell e le due divennero amiche. Ma questo nuovo incontro non sollevò Virginia, caduta ancora una volta in depressione per la morte del fratellastro George, da lei di certo odiato, e proprio per questo suo sentimento, alla morte di lui, Virginia fu assalita da sensi di colpa. Le frequenti morti avevano fatto a pezzi l’umore di Virginia e questo aveva creato anche uno stato di indifferenza tra Vita e Virginia, che erano ormai come la Woolf diceva “solo dei vecchi coniugi annoiati”. Nel 1935 Virginia fu in Germania, ma fu una scelta poco opportuna, perché in quella nazione c’era una ventata anti ebrea e Leonard era ebreo. A peggiorare la situazione che metteva troppo in vista i coniugi Woolf, era il fatto che Leonard aveva comprato una scimmietta e la portava sempre appresso nei suoi spostamenti, sollecitando la curiosità della gente. I Woolf a quel punto andarono via dalla Germania e rientrarono in Italia, dove a Spoleto si unirono a Vanessa. Poi tutti assieme andarono in Inghilterra. La salute di Virginia peggiorava: emicranie, ansia, svenimenti. La sua nevrosi era diventata sempre più ingombrante e aveva somatizzato, sicché intaccala la salute fisica oltre che quella psicologica di Virginia. Sebbene la Woolf era considerata una grande autrice, la sua posizione esistenziale non cambiava: era sempre depressa. E una terribile mazzata la diede al suo umore la morte dall’amato nipote Julian Bell che era partito volontario per la guerra di Spagna e vi era moro sul campo. Vanessa accusò più di tutti il colpo della morte del figlio e rimase “muta e cieca” per due mesi a letto. Virginia si torturava sentendosi colpevole di non aver impedito al nipote di partire per la guerra. Inoltre l’umore di Virginia fu ancor più depresso dalla paura della guerra imminente, dalla morte di Lady Ottoline, di Jak Hills, e di altri amici i che le dava la dolorosa sensazione che anche la sua vita era ormai attaccata a un filo. Nel 1939 Leonard e Virgina andarono a trovare Sigmund Freud che era rifugiato a Londra. Di lui Virginia disse di averlo trovato stanco e ammalato. Molto diverso da come aveva immaginato che fosse l’inventore della psicoanalisi. Poco dopo al Gran Bretagna entrò in guerra. Quando si prospetto l’ipotesi che i nazisti invadessero l’Inghilterra, Virginia e Leonard decisero che si sarebbero uccisi non appena avessero avuto sentore dell’invasione. L’incubo della guerra, le sofferenze fisiche (emicranie, insonnia, doloro alle ossa) avevano ridotto l’umore di Virginia Woolf ai livelli più bassi. Aveva ricominciato a sentire le voci che l’avevano torturata quando era ragazza. “Temo che sto per impazzire” scrisse la Woolf in una lettera alla sorella Vanessa. Questa convinzione disperata di non poter più essere lucida e attiva come avrebbe voluto, la paura che eventi tragici l’avrebbero coinvolta senza che lei potesse evitarli, indusse la scrittrice in un fredda mattina a raggiungere la sponda dell’Ouse a prendere una grossa pietra e a immergersi nell’acqua con essa e con la determinazione di non nuotare e di non voler più salvarsi. A poco a poco la figura femminile sparì nelle acque del fiume e non riemerse se non come cadavere.